Memoria | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ Passaggi Festival. Libri vista mare Sat, 16 May 2020 17:25:50 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.5.1 https://2020.passaggifestival.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-nuovo-logo-passaggi-festival_rosso-300x300-1-32x32.jpg Memoria | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ 32 32 Emily Dickinson, dall’isolamento parlava a tutti noi https://2020.passaggifestival.it/emily-dickinson/ Fri, 15 May 2020 09:54:51 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=70736 Emily Dickinson era una poetessa sui genereis, con un forte spirito rivoluzionario. Si potrebbe quindi supporre che non avrebbe celebrato la giornata internazionale della famiglia, che cade proprio nell'anniversario della sua morte.

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Emily Dickinson

Tante supposizioni sono state fatte sulla vita di Emily Dickinson. Quasi nessuna è certa o confermata, se non la data della nascita, il 10 dicembre 1830 e quella della morte, il 15 maggio del 1880.

La vita sui generis di Emily Dickinson

Una di queste supposizioni potrebbe essere quella che la Dickinson non avrebbe celebrato la giornata internazionale della famiglia. E quest’ultima cade, ironicamente, proprio nel giorno dell’anniversario della sua morte.

Si potrebbe avanzare questa ipotesi non tanto per le opinioni politiche della poetessa americana. Anzi, lei aveva una concezione della vita molto sui generis, che non poteva essere inquadrata in nessuna corrente politica o artistica del tempo, conservatrici o progressiste che fossero. Questo lo possiamo affermare a posteriori, poiché è soltanto dopo la sua morte che il suo talento poetico è stato rivelato.

La Dickinson ha infatti sempre vissuto una vita molto appartata, uscendo solo di rado dalla casa del padre. La sua era sicuramente una scelta dettata dall’umiltà, come dimostra la sua poesia  “Io sono Nessuno” nella quale elogia chi non gracida come una rana il proprio nome al fango.

Io sono Nessuno! Tu chi sei?
Sei Nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!

Che grande peso essere Qualcuno!
Così volgare — come una rana
che gracida il suo nome — tutto giugno —
ad un pantano in estasi di lei!

Ma alcuni critici credevano che l’aver condotto una vita appartata fosse anche la dimostrazione che l’autrice strizzasse l’occhio a una mentalità conservatrice e puritana, quale era quella di suo padre e della sua famiglia in generale. Erano infatti di religione protestante e molto devota.

Invece era molto probabilmente tutto il contrario. Più che una ragazza timida e senza larghe vedute, si potrebbe definire la Dickinson un’outsider, il cui spirito ribelle trapela dalle sue esperienze di vita e dalle sue poesie.

Emily non ha mai voluto seguire le regole che il padre e la società volevano imporle. Per esempio, la poetessa abbandonò le scuole superiori dopo solo un anno, poiché intollerante al seminario femminile nel quale studiava. Il padre, comunque, fu ben contento che Emily potesse studiare a casa, preoccupato che il sapere potesse avere effetti deleteri sul modo di pensare della figlia.

Solitudine, sapere e storie d’amore

La Dickinson, però, non rinunciò agli studi e divenne un’autodidatta, riducendo anno dopo anno i suoi contatti con l’esterno, ma aumentando, grazie ai libri, le sue conoscenze nei più svariati ambiti dell’esistenza. Dopo i 25 anni, decise definitivamente di passare il resto della sua vita quasi in completa solitudine. La ragazza rinunciò persino alla carriera da insegnante, già scritta per le donne zitelle e intelligenti. Inoltre non si sposò mai, anche se non sembrano essere mancate nella sua vita relazioni extraconiugali, anche fisiche (pare che una di queste fosse con un uomo sposato).

Oltre alla corrispondenza, le uniche vere testimonianze sulla sua vita privata le abbiamo grazie alle sue poesie, poiché è qui che la poetessa esprime in maniera totalizzante se stessa. La seguente dimostra come Emily Dickinson non fosse proprio una puritana.

Notti selvagge – Notti selvagge!
Fossi io con te
Notti selvagge sarebbero
La nostra voluttà!

Futili – i venti –
Per un Cuore in porto –
Via il Compasso –
Via la Mappa!

Vogare nell’Eden –
Ah, il Mare!
Potessi soltanto ormeggiare – stanotte –
In te!

Lungi dai blogger del XXI secolo giudicare i suoi eventuali comportamenti promiscui, date anche le lacune riguardanti la sua biografia, ciò non toglie che la Dickinson stava, di fatto, conducendo una sua personalissima rivoluzione contro il vivere comune che, senza che lei lo sapesse, avrebbe influenzato positivamente molte donne delle successive generazioni nel difficile processo dell’emancipazione.

Anche lo stile è rivoluzionario

Questo spirito ribelle si può anche vedere dallo stile delle poesie. Apparentemente molto ligie alla tradizione, data la forma metrica del sonetto, non presentano però la punteggiatura. Per dividere i versi, Emily Dickinson utilizza le lineette. La lineetta è un segno peculiare per una poesia dell’ottocento e rispecchia la visionarietà del poetare dickinsoniano. Il trattino assomiglia infatti a una rivelazione che produce meraviglia e suspence di fronte a qualcosa che può sembrare comune.

Inoltre è rivoluzionario il suo lessico. Ai molti verbi di percezione, molto vaghi e quasi metafisici si alternano termini di una precisione anatomica e giuridica. Il verso Sentivo un funerale nel cervello ne è la prova: Sentivo è un verbo di percezione, cervello invece è molto preciso e riporta subito alla realtà.

Silvio Raffo, durante una lezione all’Università degli studi di Milano, ha giustamente notato come la scrittrice avesse osato ancora di più rispetto agli avanguardisti. Troppo comodo scrivere “a vanvera” come alcuni dell’avanguardia. – dice Raffo – Questo stile inquieta molto di più che il semplice “urlare” e creare effetti speciali. Il suo è un esprimersi ordinato con materiale incandescente e visionario. Questa è la perfezione, la perfezione della naturalezza.

Dì tutta la verità, ma dilla obliqua

Una delle sue poesie più famose è quella sulla sua concezione della verità:

Di’ tutta la verità ma dilla obliqua –
Il successo sta in un Circuito
Troppo brillante per la nostra malferma Delizia
La superba sorpresa della Verità
Come un Fulmine ai Bambini chiarito
Con tenere spiegazioni
La Verità deve abbagliare gradualmente
O tutti sarebbero ciechi.

Anche qui Emily svela una moralità non tradizionale. L’imperativo morale classico è infatti quello di dire tutta la verità, che lei non disdegna. Anche questo è segno di grande intelligenza, poiché non vuole essere alternativa a prescindere. Però aggiunge sempre qualcosa di suo. Qui, per esempio, dice che la verità va detta obliqua così che possa essere accettata. Spesso infatti la verità è scomoda e può spaventare. Gli uomini, secondo la Dickinson, sono troppo fragili poiché la delizia di cui si compiacciono è malferma e pertanto facilmente minabile. La verità, che è una superba sorpresa, va spiegata e interpretata, come il rumore di un tuono a un bambino.

L’ossessione di Emily Dickinson per la morte

La Dickinson scrive molto riguardo alla morte, ma soprattutto della vita dopo la morte. Anche qui, nonostante si possa avere l’impressione di una donna devota ai dettami del cristianesimo, che crede nell’importanza del vivere la propria vita in funzione dell’ammissione alle porte del Paradiso, l’aldilà dell’autrice è decisamente originale. Talvolta, anzi, sembrerebbe quasi blasfema. In questi versi, per esempio, la poetessa afferma che il suo amato potrebbe addirittura oscurare il volto di Cristo.

Nemmeno potrei risorgere – con te –
Perché la tua faccia
Spegnerebbe quella di Gesù
La nuova grazie –
Ai miei occhi nostalgici
Diverrebbe comune – e straniera
A meno che tu di lui non brillassi più prossimo –

Oppure afferma di preferire l’Inferno, piuttosto che stare senza l’amato, ricordando molto i peccatori d’amore per eccellenza, Paolo e Francesca.

tu mi saturavi la vista –
e non avevo altri occhi
per un’eccellenza sordida
come il paradiso

[…]

E se tu fossi – redento –
E io – condannata a essere
Dove non sei tu –
Quel mio essere – sarebbe un inferno

La rivoluzione di Emily Dickinson: parlare a tutti gli uomini

In quest’ultima poesia la Dickinson descrive perfettamente e rispettosamente la situazione che si crea all’interno di una casa il giorno dopo un lutto. La sua penna disegna emozioni che, purtroppo, non hanno tempo, non hanno luogo, non hanno identità.

Il Trambusto in una Casa
Il Mattino dopo una Morte
È la più solenne delle faccende
Compiute sulla Terra –

Spazzolare il Cuore
E mettere da parte l’Amore
Non avremo più bisogno di usarlo
Fino all’Eternità –

La Dickinson è in grado di descrivere in modo molto naturale ciò che è accaduto ed è come se incoraggiasse il lettore (o se stessa, visto che non ha mai voluto pubblicare le sue poesie) a prendere atto di quello che è avvenuto, sapendo che la vita deve continuare. L’amore per chi è mancato deve essere messo da parte, poiché non vi sarà bisogno di usarlo fino a quando l’eternità li riunirà.

Nonostante quindi si tratti di un quadretto “familiare”, Emily non celebra le etichette tradizionali del vivere sociale, come quella di famiglia. A lei interessavano le epifanie della vita degli uomini e dell’universo intero. Ed è questa la sua rivoluzione, il suo miracolo laico: il fatto di raggiungere il cuore di tutti e di toccare ogni punta dell’universo, dalle emozioni più alte ai cocci di una tazza di porcellana. E lo fa nonostante la sua volontà di isolarsi dal mondo. La Dickinson, anche dal suo completo isolamento, parlava ad ognuno di noi noi.


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25 aprile, Consigli di lettura per i 75 anni dalla liberazione d’Italia https://2020.passaggifestival.it/25-aprile-2020-liberazione/ Sat, 25 Apr 2020 08:38:36 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=69974 A 75 anni dalla liberazione d'Italia ci troviamo a fronteggiare nuove difficoltà ritrovando nella Resistenza una compagna fedele

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25 aprile, Resistenza, Festa Liberazione

Il 25 aprile 2019 ero a via del Pratello a Bologna. Per chi non ci fosse mai stato il 25 aprile a via del Pratello è quanto di più lontano si possa immaginare dal distanziamento sociale: un fiume di persone che occupa tutta la via, dall’inizio alla fine: si mangia, si balla, si beve, si ascolta musica, si sta insieme e, soprattutto, si fa politica.

In quel clima di festa, però, non si perde mai di vista la memoria anche dolorosa della Resistenza: ho sempre avuto l’impressione che tutte le persone che affollavano quella lunga via ed i suoi portici fossero perfettamente consapevoli che essere lì, essere parte di quella moltitudine così eterogenea, fosse il risultato del 25 aprile del 1945, il regalo della Resistenza, un regalo da custodire e coltivare nel tempo.

Storie di Resistenza, storie di tutte e tutti

Il 25 aprile 2020 lo stiamo passando quasi tutte e tutti nelle nostre case e molti saranno, forse, in grado di percepire ancora più intensamente il valore di quella liberazione avvenuta 75 anni fa. Vivendo il 25 aprile in una dimensione più intima e riflessiva potremmo riscoprire delle compagne fedeli nelle storie della Resistenza, storie di Partigiani, giovani che hanno immaginato il mondo in cui oggi viviamo quando a molti sembrava impossibile immaginare un futuro migliore e che hanno lottato per questo mondo sognato.

Ancora una volta la lotta partigiana può insegnarci molto, ancora una volta la memoria della Resistenza ci fornisce una chiave interpretativa per i tempi dolorosi che stiamo vivendo.

Pensare ad un futuro migliore può sembrare la cosa più difficile in questo momento ma uno sforzo immaginativo è necessario, soprattutto laddove questa esperienza ha evidenziato i moltissimi difetti strutturali della nostra società. Il virus, infatti, costituisce una lente d’ingrandimento sulle disuguaglianze profonde che caratterizzano la nostra epoca e la lotta partigiana per un mondo di uguali opportunità e diritti torna finalmente ad essere percepita come più attuale che mai.

Consigli di lettura per il 25 aprile

Un grande classico sulla Resistenza è indubbiamente Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino. Del romanzo Calvino stesso scriverà:

Al tempo in cui l’ho scritto, creare una ‘letteratura della Resistenza’ era ancora un problema aperto, scrivere ‘il romanzo della Resistenza’ si poneva come un imperativo; … ogni volta che si è stati testimoni o attori di un’epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale … A me questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema come troppo impegnativo e solenne per le mie forze.

Ma la responsabilità di creare una memoria della Resistenza era tanto forte che Italo Calvino affrontò la solennità del tema e nel ’47 pubblicò la suo opera prima.

Dalle montagne liguri di Calvino passiamo alla lotta partigiana milanese con un’altra opera, un altro pilastro della letteratura della Resistenza: Uomini e no di Elio Vittorini. Pubblicato nel ’45, il romanzo fu scritto dall’autore proprio nel momento di più intensa partecipazione di quest’ultimo alla lotta antifascista. Protagonista del romanzo è un giovane partigiano tormentato da un amore impossibile, la sua storia si alterna, nello svolgersi del racconto, a momenti di riflessione in cui l’autore si interroga sulla natura di uomini e sedicenti tali. In una delle pagine più commoventi del romanzo Vittorini scrive:

L’uomo si dice. E noi pensiamo a chi cade, a chi è perduto, a chi piange e ha fame, a chi ha freddo, a chi è malato, e a chi è perseguitato, a chi viene ucciso. Pensiamo all’offesa che gli è fatta e alla dignità di lui. Anche a tutto quello che in lui è offeso, e ch’era in lui per renderlo felice. Questo è l’uomo.
Ma l’offesa cos’è? È fatta all’uomo e al mondo. Da chi è fatta? E il sangue che è sparso? La persecuzione? L’oppressione?
Chi è caduto anche si alza. Offeso, oppresso, anche prende su le catene dai suoi piedi e si arma di esse: è perché vuol liberarsi, non vendicarsi. Questo anche è l’uomo.

Nuove Resistenze

Un’altra opera che affronta il tema della Resistenza un po’ di sbieco, ma che fornisce interessanti punti di riflessione, è Il sentiero degli dei del collettivo Wu Ming 2. Il libro descrive il sentiero che passando per gli Appennini collega il centro di Bologna al centro di Firenze.

Nell’opera sono presenti moltissime pagine che raccontano la storia di quel territorio teatro di numerose e drammatiche vicende della lotta partigiana. Un territorio che ha continuato negli anni ad essere ferito e che ha visto nascere nuove forme di resistenza legate principalmente alla costruzione della linea dell’alta-velocità inaugurata nel 2009. Un’operazione non sempre limpida che si è accompagnata a forti polemiche e che, nel 2004, è risultata in un processo per danni ambientali nel Mugello contro i responsabili delle aziende costruttrici, processo conclusosi nel 2014 con la condanna di 19 imputati per reati che variano dal traffico illecito di rifiuti all’omissione di bonifica.

È questo accostamento tra vecchie e nuove resistenze che fornisce a Wu Ming 2 il punto di partenza per una riflessione sulla storia e sulla memoria come fondamentale strumento di lotta nel presente:

Per fare pace non è necessario essere tutti d’accordo. Basterebbe aprire le finestre, dare ossigeno agli archivi, e non cercare tanto la storia giusta, quanto la giusta voce per raccontarle tutte.

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Tutti dicono I Love Shakespeare https://2020.passaggifestival.it/shakespeare-anniversario/ Thu, 23 Apr 2020 09:02:43 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=69907 Oggi è l'anniversario di nascita e di morte del Bardo. Scrittore visionario e al tempo stesso di una semplicità fuori dal comune, le sue opere continuano a farsi amare.

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Shakespeare

Shakespeare, oggi è nato, oggi è scomparso. Il Regno Unito, in questi giorni, Covid-19 a parte, ha due buoni motivi per festeggiare due sue grandi intramontabili icone: qualche giorno fa, il 21 di aprile, la regina Elisabetta, ha spento novantaquattro candeline e, ad appena due giorni di distanza, oggi, ricorre l’anniversario dei 404 anni dalla morte di William Shakespeare, un anniversario che, tra l’altro, coincide con la ricorrenza dei 456 anni dalla nascita del Bardo che un 23 aprile venne alla luce e sempre un 23 aprile morì, rispettivamente nel 1564 e nel 1616.

In che senso la nostra attualità è shakespeariana e perché Shakespeare è un poeta per tutti i gusti

Scrivere che William Shakespeare è un classico perché è eternamente moderno o che è un autore che né smarrisce la propria contemporaneità né esaurisce la propria urgenza comunicativa equivale a scrivere delle cose ugualmente vere e banali.

Lo hanno detto tutti, e senza timore di sbagliare, che il grande protagonista del teatro d’età elisabettiana e giacomiana è un fenomeno d’inesauribilità: la sua fortuna non ha conosciuto periodi di secca e basti pensare che un Macbeth dalla produzione hollywoodiana è uscito tra 2015 e 2016 e che, recentemente, abbiamo visto anche un Amleto con il volto di Benedict Cumberbatch. In questo momento Joel Coen, uno dei due fratelli Coen, sta lavorando a un altro adattamento cinematografico del Macbeth in cui l’autore, per sua stessa ammissione, proverà a trasporre non senza fatica tutta la tensione già racchiusa nell’ineguagliabile testo shakespeariano. E questi sono solo alcuni esempi di come l’opera del Bardo continui a parlarci e ad attraversare epoche, generi e linguaggi artistici e mediatici differenti.

Di Shakespeare si può dire di tutto, con margini d’errore davvero minimi: che è un autore che indaga l’incertezza identitaria, anticipando le scissioni interne e l’insofferenza novecentesche per le briglie definitorie del gender e dell’appartenenza; che aveva un punto di vista maschile e, allo stesso tempo, teneva in gran considerazione le donne perché certamente molte delle sue eroine sono di intelletto brillante, migliori delle loro controparti maschili  o comunque spesso loro sodali; di Shakespeare si può ricordare l’impegno nella rappresentazione delle passioni dirompenti, la corruzione di cui è foriero il linguaggio, le parole che si dicono non per costruire la realtà ma per distruggerla, per insinuare il dubbio, per sostituire al vero la sua mitologia, la sua metafisica deteriore: la parola sofistica è il peggiore dei pericoli che tutto avvelena, anche i rapporti d’amore più felici, come quello tra Desdemona e Otello.

Di Shakespeare potremmo risaltare lo slancio speculativo, l’acume introspettivo, la sintonia naturale con le posture psicologiche più varie oppure l’immediatezza, l’empatia con il nocciolo capriccioso di ogni uomo che subisce i suoi umori corporei prima dei suoi tormenti spirituali. Di Shakespeare si potrebbe suggerire che, dopo aver conosciuto varie fasi creative, approdò ad una poetica della meraviglia che cerca il rinnovamento attraverso simbologie di rinascita e di salvazione, attraverso costruzioni figurative in cui un ordine naturale e positivo nei rapporti tra i sessi e le generazioni viene ripristinato e le storture della vita raddrizzate. La sua produzione più allegorica e spirituale, quella dei drammi romanzeschi di fine carriera, se solo volessimo, ci conforterebbe molto oggi che viviamo l’incubo dell’incertezza nei confronti di un futuro che, più di prima, fatichiamo a immaginare.

La forza di Shakespeare risiede, così, nel suo non essere un’unica forza, nel suo non attingere a un’unica fonte: Shakespeare inventò pochissimo, quasi nulla, a livello di trama, sempre s’indebitò col mito greco-latino, colla storiografia plutarchea, coi romanzi bizantini, colla novellistica italiana.

Non era un genio creativo nel senso in cui oggi lo intenderemmo: il suo teatro era un teatro di riciclo. Ed era un teatro fatto di quasi niente, quasi solo di parole. Ma se le parole — come sosteneva Gorgia — sono i corpi più piccoli in grado di fare le cose più divine, allora il suo teatro ridotto all’osso riconosceva nella povertà dei mezzi e nell’assenza di distrazioni il più grande dei vantaggi.

Shakespeare lo sapeva già

E se il Bardo è da sempre tanto celebrato è per il fatto che è un autore ecumenico, né raffinato né popolare perché insieme raffinato e popolare. Sapeva intercettare il gusto dei suoi contemporanei adattandovi, ma adattandovisi senza nulla cedere, senza nulla sacrificare della qualità di ciò che scriveva e che gli interessava capire. E non è vero, come dicono, che Shakespeare è attuale, è solo la nostra attualità ad essere shakespeariana, perché oggi più che mai sentiamo l’urgenza di deporre ogni possibile illusione sul mondo, perché questo mondo ci appare al di là del bello e del brutto, del nobile e del volgare, del buono e del cattivo, sempre così come capita, arbitrario e incomprensibile.

Shakespeare lo sapeva già e, a leggerlo bene, non ci piace solo perché ci ha lasciato un fondo infinito di umanissimi guai e personaggi, ma anche perché ci ha poeticamente avvisati che la vita è spostata di molto più in là rispetto a qualunque ipotesi su di essa, a qualunque nostra pretesa di crederla sensata. Il Covid ce lo ha insegnato in queste settimane, ma Shakespeare lo sapeva già quattro secoli fa.

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Gianni Rodari, un intellettuale fantastico https://2020.passaggifestival.it/gianni-rodari-anniversario-scuola-bambini/ Fri, 17 Apr 2020 07:45:39 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=69548 Una figura importante per la scuola, la letteratura, il giornalismo e l’impegno politico nell’Italia del Novecento, un personaggio poliedrico che ha rivoluzionato i modelli educativi.

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lezione creativa gianni rodari grammatica fantasia

Qualche giorno fa ricorreva il quarantesimo anniversario della scomparsa di Gianni Rodari: era il 14 aprile 1980 e a Roma moriva quell’eccezionale intellettuale che aveva rivoluzionato tutti i modelli educativi. Una figura importante, quella di Rodari, per la scuola, la letteratura, il giornalismo e l’impegno politico nell’Italia del Novecento, un personaggio poliedrico che ha segnato la storia e che non possiamo non ricordare.

Nato a Omegna, sul lago d’Orta, il 23 ottobre 1920 – quest’anno ricorre anche il centenario della nascita – dopo alcuni anni di seminario, in cui trovava umiliante la disciplina, consegue il diploma magistrale, a soli 17 anni, preparando da solo in un anno il programma dell’ultimo biennio; poi si iscrive a Lingue ma non si laureerà. Inizia così la carriera, seppur breve, di maestro. Fin da subito si contraddistingue per la sua attenzione particolare per la parola, per incentivarne un uso insolito e anticonformista; sapeva comunicare e ascoltare i bambini, ma anche farli giocare e divertire.

Negli anni ’50 intraprende la carriera da giornalista, da prima come inviato speciale per L’Unità, e dato che era stato maestro, gli vengono affidate subito alcune rubriche per l’infanzia; poi per Paese Sera, finendo per diventare il direttore del Pioniere, a Roma, la pagina più significativa del giornalismo per ragazzi.

Il giornale, laico e progressista, parlava della resistenza, delle lotte dei lavoratori, di pace, e insieme all’Associazione dei Pionieri radunava tutti quei ragazzi che avevano voglia di studiare e conoscere la realtà.

Proprio negli anni del giornalismo inizia a scrivere, quasi per scherzo, storie per bambini, prima attraverso pseudonimi e poi in maniera esplicita, tanto da farne il suo mestiere per eccellenza. Costituisce l’aspetto più importante per cui tutti lo ricordano, lo scrittore di favole e filastrocche per bambini.

Grazie alla sua ricca produzione, Rodari nel 1970 ha ricevuto il Premio Andersen, quello che è considerato il nobel per la letteratura per l’infanzia, l’unico italiano finora ad aver ricevuto questo ambito riconoscimento. La sua fama travalica così i confini nazionali, tanto che i suoi libri vengono tradotti in molte lingue. Ha avuto il merito di sottrarre questo genere di letteratura dalla condizione di produzione minore, innalzandola a letteratura a tutti gli effetti, nella sua affascinante complessità.

Il bambino al centro e il potere delle parole

Nonostante la sua inconfondibile vena letteraria, Rodari va ricordato per come ha cercato di riformare la scuola e soprattutto la figura dell’insegnante, insieme al Movimento di Cooperazione Educativa (nato a Fano nel 1951).

Per prima cosa ha messo al centro della scuola il bambino, dandogli così uno spazio adeguato e un ascolto attento e proponendo contemporaneamente un’idea di società diversa, moderna, amica dell’infanzia e dei bambini.

Gianni Rodari è stato senza dubbio il maestro della libertà; ha sempre parlato a tutti, grandi e bambini, affinché ci si risvegliasse dal torpore della “normalità” per immaginare e cambiare il mondo e renderlo migliore. E lo ha fatto ricordandoci il potere della parola: la cosa di cui siamo più schiavi. Per evitare il rischio di cadere intrappolati nelle parole, è importante riscoprirne il potere liberatorio, imparare a usarle in maniera creativa, fantastica, controcorrente, in modo da immaginare e credere in un mondo ogni volta in divenire.

Le parole diventano così il materiale per inventare storie nuove. Il suo motto “tutti gli usi della parola a tutti” racchiude perfettamente il suo pensiero, affinché la parola sia per tutti fondamentale, non per diventare artisti ma per non essere più schiavi. E in questo sforzo di pensare le cose altrimenti e inventare nuovi mondi, Rodari ha invitato i bambini a fare le cose più difficili come “dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi”.

Ha cercato attraverso l’insegnamento, i suoi libri, il suo impegno politico di rompere gli schemi, i pregiudizi, e i luoghi comuni. Un esempio letterario è costituito da “Le filastrocche al rovescio”, in cui i protagonisti ribaltano i loro ruoli classici per rivestire nuovi panni, come il lupo buono che viene inseguito da Cappuccetto Rosso o la Bella addormentata che non dorme.

Un’altra particolarità delle sue storie è costituita proprio dai personaggi; non ha costruito un personaggio indimenticabile e assoluto, il suo personaggio per eccellenza come può essere Pinocchio per Collodi, ma ha costruito di volta in volta personaggi nuovi, come Cipollino, Gelsomino, il barone Lamberto o Giovannino Perdigiorno, che parlassero di bambini veri, calati in un tempo e in un luogo precisi, senza ricorrere a eroi di proiezioni ideali.

La potenzialità delle parole la si riscopre anche attraverso gli errori. Possono, infatti, costituire la miccia per costruire nuove storie.

Ne “Il libro degli errori” parla sia di errori grammaticali o di ortografia, sia degli errori reali presenti nel pianeta, quegli errori insomma che non stanno solo nelle parole ma anche nelle cose; alcuni sono visibili ad occhio nudo, altri sono nascosti sotto indovinelli, alcuni sono necessari o utili, altri addirittura belli, come la torre di Pisa. Rodari ha fatto così anche degli errori un elemento fantastico e ha stimolato un approccio didattico che non inibisse i bambini per la paura di sbagliare ma anzi che li stimolasse a cercare anche nell’errore nuove sfumature e possibilità della parola. E proprio in questo libro ci ricorda un altro aspetto fondamentale della sua idea di educazione: “Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?”

Perché per Gianni Rodari è importante anche ridere durante le ore di insegnamento, è proprio giocando che i bambini imparano a conoscere meglio le cose; nelle nostre scuole, allora, ma forse ancora oggi, non si ride abbastanza e “l’idea che l’educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più difficili da combattere”.

Ha, inoltre, cercato di tenere sempre alto il valore educativo dell’utopia. Si è impegnato affinché il senso dell’utopia venisse riconosciuto come un senso vero e proprio, come l’udito, la vista o l’olfatto, perché era profondamente convinto della sua importanza. Finché non arriverà il giorno del riconoscimento spetterà alla favole investire questo ruolo di mantenere acceso lo spirito della fantasia e dell’immaginazione.

Le favole, infatti, rappresentano il luogo di tutte le ipotesi, il catalogo dei vari destini e ci permettono di attivare il pensiero ipotetico-controfattuale, necessario per pensare le cose altrimenti e non rassegnarci alla ricezione passiva della realtà, continuando a chiedersi “che cosa succederebbe se …”

gianni rodariLa grammatica della fantasia di Gianni Rodari

L’opera più significativa e importante di Gianni Rodari, la si potrebbe definire il suo manifesto. Un manuale semplice e chiaro ma allo stesso tempo stimolante e dettagliato sul tema del fantastico.

Con l’intento di racchiudere alcune strategie e giochi con le parole, ha fornito un itinerario possibile per imparare a inventare storie con e per i bambini. Per creare una storia, come spiega “il binomio fantastico”, bisogna partire dall’accostamento di due parole di solito distanti tra loro, che a primo impatto sembrano non riuscire a comunicare. Il gioco consiste proprio nel trovare una connessione tra questo binomio per dar vita a una storia divertente e fantastica.

Le parole devono essere, così, estraniate dal loro uso quotidiano per calarsi in una dimensione nuova e gettarsi così una contro l’altra in un cielo mai visto prima.

Rodari è riuscito a colpire la realtà con la fantasia, per buttare all’aria l’ordine naturale e precostituito delle cose; lo ha fatto con un linguaggio semplice e chiaro, ma allo stesso tempo moderno, attuale, concreto, legato alla realtà e critico nei suoi confronti.

Concludiamo con il suo messaggio, tra i più potenti, per bambini e soprattutto adulti, presente in questo libro decisivo:

“Le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma, all’uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché, in apparenza, non servono a niente: come la poesia e la musica, come il teatro e lo sport (se non diventano un affare). Servono all’uomo completo. Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti della volontà – vuol dire che è fatta male e bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione”.

A 40 anni dalla sua morte, continuiamo a ricordare e a ringraziare Gianni Rodari per tutte le storie meravigliose e gli insegnamenti rivoluzionari che ci ha lasciato.

Grazie Giovanni per tutti Gianni
Per averci insegnato e ricordato
A interrogarci nel corso di questi anni
Su quello che ancora non abbiamo immaginato!

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Marie Curie: donna e scienziata, oltre ogni ostacolo https://2020.passaggifestival.it/marie-curie-scienziata/ Tue, 03 Mar 2020 10:12:15 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=67146 Marie Curie, una donna, una scienziata che ha dimostrato il suo valore dando un contributo rivoluzionario al mondo scientifico.

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Marie Curie

La vita di Marie Curie è la storia di una donna incredibilmente temeraria e determinata.

Partita dalle condizioni più sfavorevoli in quanto donna, ebrea e straniera è diventata la prima docente femmina alla Sorbona di Parigi ed ha ottenuto ben due Premi Nobel per l’incessante lavoro di ricerca sulla radioattività.

In una Belle Époque tesa all’innovazione e fiduciosa nel progresso, ma segnata da pregiudizi atavici e dal dominio maschile in campo scientifico, Marie è riuscita a dimostrare il suo valore dando un contributo che ha rivoluzionato il mondo scientifico.

L’amata Polonia

Di origine polacca, Maria Salomea Sklodowska nacque a Varsavia il 7 novembre 1867. Fu la sesta e ultima figlia di una coppia di insegnanti.

In quanto donna non aveva accesso all’istruzione superiore, perciò si iscrisse all’Università Volante, un’organizzazione segreta che forniva lezioni clandestine a giovani polacchi.

Dopodiché, risparmiando soldi con vari lavori, si trasferì a Parigi nel 1891 per gli studi di Fisica presso la rinomata Sorbona. Tra stenti, inedia e pregiudizi riuscì a laurearsi in Fisica nel 1893.

L’anno successivo ottenne la laurea in Matematica. Da quel momento fu un crescendo di successi. Nonostante la Francia le diede la possibilità di dedicarsi allo studio, Marie era affezionata alla terra natale.

Dopo la laurea tentò di ritornarvi, ma capendo che non c’era futuro continuò la sua ricerca in Francia. Alla Polonia dedicherà la scoperta di un nuovo elemento, chiamandolo appunto polonio.

Marie Curie e il suo grande amore

A cambiarle la vita, oltre all’amore per la scienza, fu l’amore per Pierre Curie, professore di Fisica Generale alla Sorbona di otto anni più grande di lei.

Fu un’intesa rapida dovuta anche ad interessi comuni. Si sposarono nel 1895, dopo appena un anno dal loro incontro ed ebbero due figlie Irene ed Ève.

Purtroppo il loro idillio venne brutalmente spezzato da una carrozza che investì Pierre nel 1906. Marie, vedova, riuscì a elaborare il lutto immergendosi ancora di più nella ricerca.

Sul suo diario vennero ritrovate delle lettere rivolte al marito scomparso.

“Non riesco a pensare più a nulla che sia capace di darmi un po’ di gioia, tranne forse la ricerca scientifica. Ma in verità neppure quella, poiché seppure ottenessi qualche risultato sarei triste per il fatto che tu non sarai qui a condividerlo con me. Questo laboratorio tuttavia mi dà l’illusione di potermi aggrappare a un frammento della tua vita, di custodire le prove della tua esistenza.”

A Marie Curie venne allora proposto di prendere la cattedra di Fisica Generale risultata improvvisamente vacante. Accettò, nonostante fosse traumatico ritrovarsi ad insegnare al posto del suo amato Pierre.

L’importanza delle sue ricerche

Marie Curie iniziò le ricerche ispirandosi al lavoro di uno scienziato, Antoni Henri Becquerel, che scoprì che i sali di uranio emettevano raggi di natura ignota.

Assieme a Pierre, Marie iniziò a chiedersi da dove derivasse l’energia che l’uranio rilasciava come radiazioni. Iniziò quindi a studiare questo fenomeno che lei stessa chiamò radioattività.

Nel 1898, durante alcuni esperimenti con una pietra contenete uranio, detta pechblenda, Pierre e Marie scoprirono un nuovo elemento che chiamarono polonio.

In seguito, sempre dalla pechblenda, venne poi isolato un altro elemento molto radioattivo e che prese il nome di radio.

I coniugi Curie si resero conto che non solo l’uranio, ma anche radio e polonio erano in grado di emanare radiazioni e quindi ipotizzarono che la radioattività fosse una caratteristica dell’atomo ed in particolare di quegli elementi con nuclei instabili.

Nel 1902 Marie Curie terminò il Dottorato di ricerca sulla radioattività.

Le sue scoperte a servizio della medicina

Dopo la morte di Pierre, Marie approfondì le ricerche e le applicò al contesto medico. Con l’inizio della Prima Guerra Mondiale allestì un’unità mobile di radiologia a servizio dei soldati feriti al fronte.

Lei stessa, a bordo della sua “Petit Curie”, si recava al fronte per fare radiografie grazie a delle attrezzature a raggi X. Inoltre si occupò di istruire del personale infermieristico all’utilizzo dell’attrezzatura, così da localizzare proiettili, schegge e frammenti.

Finita la guerra approfondì questa tecnica all’Istituto di Radiologia. Da allora la tecnica a raggi X ha avuto un ruolo considerevole nella medicina, costituendo tuttora un potente mezzo diagnostico.

Lei stessa nelle sue lettere parlava di “diritto all’esame radiologico come diritto generale e incontestabile per tutti i malati”.

Marie Curie, donna dei record

Marie fu la prima professoressa donna alla Sorbona. Inizialmente ottenne la cattedra come sostituta del marito, poi due anni dopo divenne professoressa ordinaria.

Inoltre Marie fu la prima donna a ricevere il Premio Nobel e l’unica assieme a Linus Pauling a riceverne due in campi differenti.

Nel 1903 fu insignita del Premio Nobel per la Fisica che spartì con il marito Pierre Curie e il fisico Henri Becquel.

Più tardi, nel 1911 ricevette anche il Premio Nobel per la Chimica per i suoi metodi di isolamento di radio e polonio.

Purtroppo durante il periodo di assegnazione del secondo premio, fu costretta ad affrontare uno “scandalo” pubblico per la sua relazione con il fisico Paul Langevin, sposato con figli.

La stampa pubblicò le lettere di Marie, mettendo a nudo alcune vicende che per poco non le revocarono il Nobel.

Per fortuna ricevette l’appoggio di colleghi che la stimavano tra cui Albert Einstein che le scrisse:

“Sento il bisogno di dirle quanto ammiri il suo spirito, la sua forza, la sua onestà. Mi ritengo fortunato ad averla conosciuta personalmente a Bruxelles. Se questa maramaglia continua a occuparsi di lei, semplicemente smetta di leggere tutte quelle sciocchezze e le lasci alle vipere per cui sono state fabbricate”.

La partecipazione alle vicende internazionali

Dopo i due Premi Nobel e l’esperienza di scienziata al servizio dei soldati, Marie Curie divenne un personaggio influente.

Le venne chiesto di prendere posizione in vari ambiti della vita sociale ma decise di mantenere un certo distacco pur appoggiando la lotta per il voto delle donne.

L’unico impegno a cui aderì fu quello della Commissione internazionale per la cooperazione internazionale diretta da Henri Bergson sotto l’egida della Società delle Nazioni.

Questa commissione si occupava di monitorare le potenzialità del progresso scientifico e indirizzarle in un’ottica internazionalistica. A proposito delle borse di studio per giovani, scrisse nel 1926:

“Nessuna iniziativa può dunque essere più importante di quelle che tendono a stabilire legami internazionali tra i più attivi elementi pensanti dell’umanità, e in particolare tra i giovani, da cui dipende il futuro del mondo.”

In questi anni ebbe fortuna anche oltreoceano. Il presidente degli Stati Uniti Harding, durante un ricevimento alla Casa Bianca, le consegnò una fiala contenente un grammo di radio dal valore di 121.407 dollari.

In ricordo di Marie Curie

Gli studi a stretto contatto con materiale radioattivo ebbero delle ripercussioni personali causandole una malattia al midollo osseo che la portò alla morte il 4 luglio 1934.

Il suo corpo è sepolto al Pantheon, dove riposano le più grandi personalità di Francia. La bara venne ricoperta di piombo per contenere le radiazioni.

Nel 2020 uscirà il film “Radioactive” che racconta la sua storia e fa riflettere sull’enorme contributo della sua persona sia nel campo scientifico ma anche umano rendendola una figura di ispirazione per tante donne nel mondo della scienza.

Fabiola Giannotti, Direttrice del CERN di Ginevra, ha confessato in varie interviste di aver scelto Fisica perché folgorata dalla biografia di Marie Curie.

A seguire, la sua dichiarazione d’amore per la scienza:

“Sono tra coloro che pensano che la scienza possegga una grande bellezza. Uno scienziato, nel suo laboratorio, non è solo un tecnico: è anche un bambino messo di fronte a fenomeni naturali che lo affascinano come una favola. […]. Cosa saremmo senza la curiosità dell’intelletto?”.

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