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9 maggio 1978. Un giorno buio della storia italiana. A Roma in una Renault 4 rossa viene ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, rapito cinquantacinque giorni prima e ucciso dalle Brigate Rosse; in Sicilia, su un tratto della ferrovia Palermo-Trapani, si scoprono i resti di un giovane, Peppino Impastato.
Due vite molto diverse, interrotte da una violenza che si opponeva ai loro progetti di rinnovamento: la spietatezza del terrorismo e la ferocia della mafia.
Il caso Moro da via Fani a via Caetani
Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione in Parlamento del nuovo governo democristiano presieduto da Giulio Andreotti e per la prima volta sostenuto anche dal Partito comunista italiano, un comando brigatista rapisce a Roma, in via Fani, il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e uccide i cinque uomini della sua scorta.
Il principale artefice della politica di “solidarietà nazionale”, volta a fornire una risposta unitaria alla crisi che il Paese sta vivendo soprattutto a causa del terrorismo, passa cinquantacinque giorni nella “prigione del popolo”. Il governo decide di non trattare con i terroristi per il rilascio di Moro, provocando numerose polemiche soprattutto da parte del Partito socialista italiano, e dopo un periodo di forte tensione che coinvolge tutto il Paese il corpo dell’onorevole democristiano viene ritrovato in via Caetani.
Il politico e scrittore Sergio Flamigni riassume e analizza gli avvenimenti di quei giorni nei suoi numerosi saggi tra cui ricordiamo La tela del ragno e Rapporto sul caso Moro.
Topografia del caso Moro di Roberto Fagiolo è invece un interessante e originale racconto dei luttuosi eventi, svolto attraverso una ricostruzione topografica, arricchita dalle novità messe in luce dalla Seconda Commissione Moro.
Corrado Augias ricostruisce un chiaro quadro storico e politico del tempo, necessario per comprendere pienamente il caso Moro, nel saggio 1978 Cronaca di un anno drammatico.
Lettere dalla “prigione del popolo”
Durante i giorni del sequestro Aldo Moro scrive circa ottanta lettere, di cui una trentina vengono recapitate e rese note dai suoi carcerieri.
Lo scrittore Leonardo Sciascia, membro della commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, è il primo ad analizzare in una prospettiva storica le parole scritte in quelle missive, considerate da alcuni politici “l’opera di un pazzo o il risultato di una costrizione”.
Gli esiti dell’attenta analisi delle lettere e la personale interpretazione dei fatti, sono esposte dall’autore ne L’affaire Moro, pubblicato pochi mesi dopo l’assassinio del presidente della Democrazia cristiana. Il libro ha suscitato polemiche per le posizioni controcorrente, ma è ancora oggi uno degli scritti più interessanti e coraggiosi sull’argomento, in grado di coinvolgere e guidare i lettori, anche quelli che non hanno una personale memoria di tali avvenimenti, nei fatti che sconvolgono l’Italia nel ‘78.
Per chi volesse approfondire il contenuto di tutte le lettere di Aldo Moro scritte nei giorni di prigionia, esse sono state raccolte e pubblicate integralmente da Miguel Gotor in Lettere dalla prigionia.
La loro analisi costituisce l’oggetto anche di un importante testo di Alfredo Carlo Moro, fratello della vittima, Storia di un delitto annunciato, nel quale inoltre si ripercorre quanto emerso dai processi penali e dalle inchieste parlamentari.
Peppino Impastato: da una famiglia di mafiosi a Radio Aut
Peppino Impastato è nato in una famiglia mafiosa, ma ha avuto la forza di non piegarsi alla logica della mafia e il coraggio di non unirsi all’omertà e all’indifferenza dei più. “La mafia era sempre stata di famiglia per noi, interna alla nostra casa, così abituale da non farsi notare; ma con l’omicidio dello zio, d’improvviso diventava una forma spaventosa, sconosciuta e falsamente benevola. (…) Peppino da allora cominciò a chiedersi in che famiglia e in che mondo vivesse.”
Da questo momento, come ci racconta il fratello Giovanni Impastato in Resistere a Mafiopoli, Peppino inizierà a ribellarsi fino a fondare nel 1977, insieme ad altri giovani, Radio Aut. Dai suoi microfoni, attraverso l’ironia e la provocazione, denuncia le speculazioni della mafia nella sua zona e attacca pubblicamente personaggi potenti come Gaetano Badalementi, il boss di Cinisi che abita a solo cento passi dalla casa di colui che sta diventando il suo peggior nemico.
Da terrorista a vittima della mafia
Peppino Impastato si candida alle elezioni provinciali nella lista di Democrazia Proletaria e porta avanti la sua attività di opposizione e denuncia del sistema mafioso fino al 9 maggio 1978.
Mentre tutta l’Italia ha gli occhi puntati sull’omicidio Moro, viene trovato senza vita con una carica di tritolo vicino. Il caso viene chiuso in breve tempo: si tratta di un suicidio avvenuto compiendo un atto terroristico.
Non fu difficile per la mafia depistare e corrompere le indagini verso la pista del terrorismo sfruttando il clima di tensione dovuto soprattutto all’uccisione di Aldo Moro. Solo dopo venti anni il caso viene riaperto grazie all’insistenza degli amici, del fratello, della madre di Peppino e del Centro Siciliano di Documentazione e il processo porta alla condanna come mandante dell’omicidio del boss Badalamenti. Il depistaggio delle indagini, la richiesta di giustizia di amici e parenti e l’inchiesta giudiziaria riguardanti l’omicidio di Peppino Impastato sono raccontate da Salvo Vitale in Cento passi ancora.
Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso ci presentano invece la storia e l’impegno del giovane di Cinisi in un originale fumetto: Peppino Impastato. Un giullare contro la mafia.
Il coraggio e l’onestà di Peppino Impastato sono un esempio vivo e attuale grazie ai numerosi libri che testimoniano il suo impegno e al famoso film I cento passi di Marco Tullio Giordana, la cui sceneggiatura è riproposta da Claudio Fava e Monica Zapelli nell’omonimo libro.
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