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Il 22 maggio 1859 nacque ad Edimburgo Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes, uno dei personaggi più celebri della letteratura che immaginiamo con pipa e cappello deerstalker intento a risolvere  alcuni misteriosi delitti con il fedele compagno John Watson.

Doyle è considerato uno dei padri fondatori del genere giallo deduttivo, ma la sua produzione spazia anche tra racconti di fantascienza e avventura. La sua formazione medica lo portò alla produzione di diversi racconti medici, ma non impedì di avvicinarsi allo spiritismo soprattutto negli ultimi anni della sua vita.

Morì nel 1930 a causa di un arresto cardiaco nella sua casa in campagna a Crowborough, assistito dalla moglie e dal figlio.

Edimburgo tra famiglia e religione

Nato in un’antica famiglia nobile di Edimburgo, secondo di dieci figli, fu cresciuto ed educato al culto cattolico.

Negli anni dell’Università prese le distanze dalla religione e si dichiarò agnostico e allo stesso tempo seguace di Thomas Henry Huxley, il quale credeva profondamente nei principi di Darwin. Eppure le sue credenze non si fermarono qui, infatti uno degli aspetti che più colpisce di Arthur Conan Doyle, oltre alla creazione di un personaggio riuscitissimo quale Sherlock Holmes, è il forte credo nei confronti dello spiritismo. Questa caratteristica è in antitesi con una mente profondamente intrisa di metodo scientifico.

Sembra strano pensare che il creatore di Sherlock Holmes possa aver abbracciato la convinzione che ci siano spiriti tra noi, eppure vi è anche un saggio da lui pubblicato che si intitola proprio “Storia dello Spiritismo”, un tema molto diffuso ai suoi tempi. Organizzò convegni e letture per parlarne e promuoverlo. Il suo spiritismo abbracciò anche la credenza dell’esistenza delle fate, come dimostra il trattato “Apparizioni delle fate” del 1922.

La formazione medica

Arthur Conan Doyle non fu da subito scrittore, infatti si laureò in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Edimburgo nel 1881.

Ancora studente, divenne assistente di vari medici tra cui Joseph List, medico e chirurgo inventore del metodo dell’antisepsi e Joseph Bell, a cui si ispirò per creare il personaggio di Sherlock Holmes dalle spiccate capacità deduttive e fedele al metodo scientifico. Inoltre Jospeh Bell aiutò la polizia in numerose inchieste, come quelle di Jack Lo Squartatore.

Durante il praticantato a Birmingham, presso il dottor Reginald Hoare che lo prese sotto la sua ala comportandosi come un padre, Arthur Conan Doyle si appassionò molto alla letteratura e scrisse la sua prima opera Il mistero di Sasassa Valley (1879).

Fu un uomo da forti convinzioni, in grado di dirigere le sue azioni in base all’onore. Si immolò in battaglie di cui era profondamente convinto: la condanna delle atrocità in Congo, il sostegno della legge per il divorzio, la difesa dell’Inghilterra contro varie accuse diffamatorie.

L’avvio del ciclo di Sherlock Holmes

Dopo la laurea decise di lavorare come medico di bordo sul battello Mayumba che transitava tra Liverpool e le coste occidentali dell’Africa così da ottenere dei soldi. Inizialmente infatti non aveva abbastanza denaro per aprire uno studio medico privato.

Dopo l’esperienza sul traghetto, decise di lavorare a fianco di un suo compagno universitario, ma poi aprì un proprio studio a Southsea, a Sud dell’Inghilterra. Non ebbe molto successo ed infatti grazie al tanto tempo disponibile tra un paziente e l’altro si dedicò alla scrittura.

Nel 1887 uscì il primo romanzo con Sherlock Holmes protagonista Uno studio in rosso, a cui seguì Il segno dei quattro (1890), Il mastino dei Baskerville (1902) e La valle della paura (1915). Il ciclo di romanzi su Sherlock Holmes vede al suo fianco l’importante personaggio di John Watson, che è anche narratore delle vicende di Sherlock e delle sue capacità deduttive e forse rappresenta l’autore stesso.

Oltre ai 4 romanzi vi sono numerosi racconti che vennero raccolti in  Le avventure di Sherlock Holmes (1892),  Le memorie di Sherlock Holmes (1894), Il ritorno di Sherlock Holmes (1905), L’ultimo saluto di Sherlock Holmes (1917) e Il taccuino di Sherlock Holmes (1927).

In realtà prima ancora delle raccolte, i racconti vennero pubblicati individualmente su Strand Magazine corredati da illustrazioni. La raccolta intitolata l’ultimo saluto, secondo la volontà di A. Conan Doyle doveva essere l’ultima, ma a causa dell’ampia richiesta del pubblico scrisse altri dodici racconti pubblicati ne “Il taccuino di Sherlock Holmes”.

Il giallo deduttivo

Con i romanzi su Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle non creò solo un personaggio interessante e attraente, l’investigatore per antonomasia, ma avviò un vero e proprio genere detto “giallo deduttivo”.

A fare da apripista ad un genere nuovo era stato già Edgar Allan Poe, con I delitti della rue Morgue. Questo genere consiste nel partire da una scena del crimine e attraverso gli indizi l’investigatore ricostruisce la dinamica e il colpevole del delitto. Il lettore può arrivare alle stesse conclusioni del protagonista, attraverso gli stessi indizi analizzati passo dopo passo.

Nel 1929 Ronald A.Knox regolamentò questo genere con un decalogo che ad esempio recita: “ Il colpevole deve essere un personaggio che compare nella storia fin dalle prime pagine” , “L’investigatore non può essere il colpevole”, “L’investigatore non può scoprire alcun indizio che non sia istantaneamente presentato anche al lettore”, “L’amico dell’investigatore (vedi Watson), non deve nascondere alcun pensiero che gli passa per la testa: la sua intelligenza deve esser impalpabile, al di sotto di quella del lettore medio”.

Identikit di Sherlock Holmes

Doyle con la creazione delle avventure dell’investigatore mise in scena le brillanti capacità deduttive di una mente scientifica, che viene interpellato anche dalla polizia per i casi più difficili, ma quando si annoia è capace di non alzarsi dal divano per giorni. Il suo coinquilino e futuro compagno di indagini, John Watson, medico reduce dall’Afghanistan, lo descrive così:

“Era alto quasi un metro e novanta ma la sua straordinaria magrezza lo faceva sembrare ancora più alto. Eccezion fatta per quegli intervalli di torpore cui ho accennato, il suo sguardo era acuto e penetrante; e il naso sottile aquilino conferiva alla sua espressione un’aria vigile e decisa. Il mento era prominente e squadrato, tipico dell’uomo d’azione. Le mani, invariabilmente macchiate d’inchiostro e di scoloriture provocate dagli acidi, possedevano un tocco straordinariamente delicato, come ebbi spesso occasione di notare quando lo osservavo maneggiare i fragili strumenti della sua filosofia. […]. Quando era in preda alla sua frenesia di lavoro si dimostrava infaticabile; ma ogni tanto subentrava la reazione, e allora rimaneva per giorni e giorni sdraiato sul divano del soggiorno, senza dire una parola né muovere un muscolo dalla mattina alla sera. In queste occasioni, notavo che i suoi occhi assumevano un’espressione talmente sognante e vacua che avrei potuto sospettare che facesse uso di droghe se la sua vita morigerata e cristallina non avesse smentito quel dubbio.”

Il rapporto conflittuale con il personaggio

Come accadde ad Agatha Christie, che finì per non sopportare il suo Poirot, così fece Arthur Conan Doyle che creò un personaggio fortunatissimo ma verso il quale nutrì un forte astio, forse geloso del fatto che fosse più famoso di lui. Sherlock Holmes d’altronde è un personaggio strano, come si coglie da questo dialogo che risale a prima che Watson lo conoscesse:

‘Non conosce ancora Sherlock Holmes’ disse; ‘forse non gradirà molto averlo sempre presente come compagno.’
‘Perché, cos’ha che non va?’
‘Non ho detto che in lui ci sia qualcosa che non va. Ha delle idee un po’ strambe – è un entusiasta di determinate branche della scienza. Per quanto ne so io, è un buon diavolo.’
‘Holmes è un po’ troppo scientifico per i miei gusti – lo definirei quasi un animale a sangue freddo. Posso immaginarmelo mentre dà a un amico un pizzico dell’ultimo alcaloide vegetale scoperto, non per cattiveria, badi bene, ma per avere un’idea precisa degli effetti. Però, devo dire onestamente che non ci penserebbe due volte a ingerirlo lui stesso. Sembra nutrire un’insaziabile passione per le cognizioni esatte e definite.’

Il rapporto conflittuale si evince anche dalla volontà di porre fine al ciclo dei racconti su Holmes inscenando la sua morte nel 1894, poi costretto ad improvvisare una resurrezione per l’ampia richiesta del pubblico che voleva continuare a leggere le sue avventure. Inoltre, un’ipotesi estrema afferma che nell’abuso di morfina di Holmes ci fosse quasi una volontà inconscia di Doyle di eliminarlo lentamente.

Al di là di Holmes

Un altro motivo per cui Doyle non voleva più concentrarsi su storie di Holmes e Watson si trova anche nel fatto che i suoi generi preferiti fossero l’avventura, la storia e la fantascienza.

Per il genere storico-avventuroso pubblicò diversi racconti con protagonista Etienne Gérard, un ufficiale francese durante il periodo napoleonico. Per il genere fantascienza scrisse il ciclo del professor Challenger, ispirato a Ernest Rutherford, “padre” dell’atomo e della radioattività. Si interessò anche di storia pubblicando alcuni romanzi storici come “La compagnia bianca” (1891), che narra le vicende dell’omonima compagnia realmente esistita.

Di certo avrebbe preferito essere ricordato per queste opere rispetto a Sherlock Holmes. Un’opera di cui andava fiero era “Il mondo perduto” (1912) al quale si ispira Jurassic Park.

Arthur Conan Doyle era di certo un personaggio eccentrico e dai mille interessi, tra i quali lo sport. Fu giornalista per il Daily Mail alle Olimpiadi Londra del 1908 e quindi testimone oculare di uno degli eventi più singolari dello sport italiano: l’atleta Dorando Pietri vinse la maratona ma venne squalificato.

Doyle, che sembrava avere a cuore i meno fortunati, scrisse un articolo su di lui come fosse un eroe romano e disse che nessuna decisione di un giudice poteva eliminare la vittoria. Organizzò anche una colletta per l’atleta. Inoltre fu corrispondente durante al Grande Guerra, visitando anche il fronte italiano.

Il cinema e la televisione

L’opera letteraria ha avuto eco anche nel mondo della televisione e del cinema. Famossisima la serie televisiva “Sherlock Holmes” che vede Benedict Cumberbatch nei panni di Sherlock, accompagnato dall’immancabile Watson, interpretato da  Martin Freeman. Una serie realizzata da Steven Moffat e Mark Gatiss tra 2010-2017, disponibile anche su Netflix.

Dal 1939 al 1946 Basil Rathbone ha interpretato Sherlock in ben quattordici film. A livello cinematografico ha riscosso successo il film del 2009 diretto da Guy Ritchie, interpretato da Robert Downey Jr. nel ruolo dell’investigatore Sherlock Holmes e da Jude Law nella parte del dottor Watson. Nel 2011 è inoltre uscito il sequel.

La casa di Sherlock Holmes, nel racconto, si trova a Londra presso Baker Street 221ba ed è oggi un museo aperto al pubblico dove è possibile acquistare libri e souvenir.


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