Mattia Mezzetti | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ Passaggi Festival. Libri vista mare Sun, 23 Aug 2020 11:13:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.5.1 https://2020.passaggifestival.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-nuovo-logo-passaggi-festival_rosso-300x300-1-32x32.jpg Mattia Mezzetti | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ 32 32 Sacco e Vanzetti: una storia americana https://2020.passaggifestival.it/sacco-e-vanzetti/ Sun, 23 Aug 2020 11:13:21 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=74477 Nel 1916 i due si conobbero entrando a far parte di un gruppo anarchico composto da italoamericani. Poi scoppiò la Grande Guerra e il gruppo scappò in Messico, per evitare la chiamata alle armi. Al termine del conflitto, i due tornarono insieme in Massachusetts. Furono uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927

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Sacco-Vanzetti

I nomi di Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti occupano un posto di riguardo nella cultura di massa italiana e nell’immaginario collettivo nazionale, a seguito della loro ingiusta esecuzione, triste vicenda dagli Stati Uniti dei roaring twenties, i ruggenti anni ’20 del secolo scorso. In quel decennio la società statunitense visse un periodo di sviluppo e rinascita, assimilabile a quella Belle Epoque che caratterizzò l’Europa fino allo scoppio della Grande Guerra. Eppure l’ombra dell’esecuzione di Sacco e Vanzetti ne oscurò una parte, aprendo interrogativi ancora attuali sulla pena di morte e la violenza di stato.

La migrazione

Nicola Sacco da Torremaggiore (Foggia) giunge negli USA nel 1909, sbarcando a Boston. Bartolomeo Vanzetti da Villafalletto (Cuneo), in quei giorni di aprile è già in America da circa un anno, avendo raggiunto New York a giugno 1908. I due non si conoscevano ma avevano un tratto in comune, non trascurabile: erano due anarchici.

Sacco era figlio di agricoltori e andò negli States a cercar fortuna, trovando lavoro a Milford, in Massachusetts, come operaio in un calzaturificio. Si stabilì in città dove si sposò ed ebbe due figli. Nonostante i turni da 10 ore al giorno in fabbrica, difficilmente si perdeva una manifestazione operaia. Era molto attivo nella sua union e teneva regolarmente discorsi per l’aumento del salario e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Nel 1916 fu arrestato proprio per questo motivo: lo si giudicava un agitatore.

Vanzetti viveva in condizioni economiche migliori ma l’improvvisa scomparsa della madre lo colpì molto, deprimendolo e portandolo sull’orlo della follia, tanto vi era legato. La sua migrazione fu dovuta all’esigenza di cambiare vita e distanziarsi da quell’evento. Accettò ogni tipo di lavoro, spostandosi continuamente all’interno della federazione. Avido lettore di Marx, Tolstoj e anche Dante – tra gli altri – spirito ribelle e indipendente, guidò nel 1916 uno sciopero contro la casa automobilistica Plymouth e, in seguito, nessuno volle più assumerlo. Per tal motivo si mise in proprio, operando come pescivendolo itinerante.

L’incontro

Nel 1916 i due si conobbero entrando a far parte di un gruppo anarchico composto da italoamericani. Poi scoppiò la Grande Guerra e il gruppo scappò in Messico, per evitare la chiamata alle armi. Nessun’onta è infatti maggiore, per un anarchico, del dover uccidere e morire per questo o quell’altro Stato. Al termine del conflitto, i due tornarono insieme in Massachusetts. Quel che non sapevano, era che il Ministero di Giustizia li aveva inseriti in una lista di sovversivi, dunque Sacco e Vanzetti erano a quel punto ufficialmente nemici del Paese e, da prassi, i servizi segreti presero a pedinarli. L’America di Sacco e Vanzetti mal sopportava il diverso, lo straniero, il progressista militante di estrema sinistra. Proprio come accade negli Stati Uniti di oggi.

Su quella stessa lista si leggeva anche il nome di Andrea Salsedo, un tipografo originario di Pantelleria. Quel che restava del corpo di Salsedo fu ritrovato a terra, alla base del grattacielo Park Row Building ove ha sede il Bureau of Investigation, antenato dell’FBI, il 3 maggio 1920. Il BOI aveva sede al quattordicesimo piano e – a quanto pare – dopo diversi giorni di detenzione al suo interno, decise di andarsene passando dalla finestra. L’FBI ha sempre dichiarato che Salsedo si suicidò. Il Dipartimento di Giustizia e la Polizia di New York continuano a negare ogni tipo di responsabilità nella vicenda.

L’arresto

A seguito della morte di Salsedo, Vanzetti organizzò una protesta. La manifestazione doveva tenersi a Brockton, Massachusetts – la città dei campioni, fucina di atleti di successo tra cui the Marvelous Marvin Hagler e Rocky Marciano – il 9 maggio. Sacco e Vanzetti, però, furono arrestati prima.

Nei giorni successivi all’episodio presso il Park Row Building, i due anarchici italiani furono trovati in possesso di una pistola semiautomatica e un revolver, con relative munizioni. In maniera piuttosto sommaria e frettolosa, Sacco e Vanzetti furono accusati di una rapina a mano armata avvenuta in un sobborgo di Boston, presso Slater and Morrill Shoes, nella quale restarono uccisi Frederick Parmenter, cassiere del calzaturificio rapinato, e Alessandro Berardelli, guardia giurata che prestava servizio presso la ditta. Entrambi erano stati assassinati a colpi di pistola.

Non è mai stato dimostrato ma è parere diffuso che, alla base del verdetto di condanna, vi furono pregiudizi di tipo politico e razziale. Ricordiamo infatti che, in quel periodo, procuratore generale degli Stati Uniti era il famigerato Alexander Mitchell Palmer, quello dei Palmer Raids per intenderci. Il suo principale risultato politico fu quello dell’espulsione sommaria di oltre 10.000 immigrati sospetti di essere sovversivi comunisti, Spesso e volentieri, la loro unica colpa era quella di non essere in grado di parlare correttamente la lingua inglese e non appartenere allo status quo WASP che, da sempre, regola e governa l’America. Era consuetudine, in quel periodo, calpestare le più basilari libertà individuali e ogni principio di giustizia in nome della sicurezza nazionale. Negli Usa della Red Scare, la psicosi nota in Italia come paura rossa che ha caratterizzato gli States dopo la vittoria comunista nella Rivoluzione d’Ottobre del 1917, le persecuzioni contro il diverso erano cronaca quotidiana.

Teniamo comunque a mente che le armi trovate in possesso dei due uomini presentavano una buona rilevanza indiziaria. La semiautomatica era balisticamente compatibile con l’arma utilizzata durante la rapina. Inoltre il revolver era dello stesso tipo di quello sottratto alla guardia giurata uccisa e sparito dalla scena del crimine.

Sentenza e protesta

Sacco e Vanzetti non si consideravano comunisti. Il cuneese non aveva neppure precedenti penali, eppure le autorità statunitensi consideravano i due militanti radicali. Il loro coinvolgimento in scioperi, agitazioni politiche e propaganda contro la guerra li aveva resi tali agli occhi dei potenti.

I due italoamericani si ritenevano vittime di pregiudizi sociali e politici. Il giudice Webster Thayer, incaricato di esprimersi sul loro caso, definì Sacco e Vanzetti due bastardi anarchici, senza mezze parole, all’interno di un tribunale federale. In fin dei conti, i due immigrati erano un perfetto capro espiatorio nonché un importante test per esaminare il polso dell’opinione pubblica statunitense. Si trattava di due migranti con una comprensione imperfetta della lingua inglese, noti per difendere idee politiche assolutamente radicali negli States. Palmer non poteva desiderare agnelli sacrificali migliori. Il tribunale condannò Sacco e Vanzetti alla pena di morte su sedia elettrica.

Dopo l’emissione della sentenza, prese il via una partecipata protesta a Boston, di fronte al Palazzo del Governo. Essa andò avanti fino alla data dell’esecuzione, a oltranza, eppure non servì a convincere il governatore dello Stato del Massachusetts, Alvan Fuller, a impedire l’esecuzione. Il politico si limitò a istituire una commissione per riesaminare le prove. La commissione confermò la condanna. Il corteo di protesta partiva dall’edificio governativo e giungeva di fronte alla prigione di Charlestown, la quale ospitava Sacco e Vanzetti. Il governo schierò polizia e guardia nazionale di fronte all’accesso del carcere, sul muro di cinta vi erano mitragliatrici puntate sui manifestanti.

Il fronte per Nick e Bart

Numerose voci si alzarono a favore dei due condannati. Molte arrivarono dall’Italia. Nel nostro Paese l’opinione pubblica si schierò apertamente con i due anarchici, governo fascista compreso. Lo stesso Benito Mussolini riteneva il tribunale americano pregiudizialmente prevenuto e, fino al 1927 attivò il Ministero degli Esteri, l’ambasciatore italiano a Washington e il console a Boston per ottenere una revisione del processo. Nessuno fu ascoltato.

Anche molti intellettuali internazionali presero le difese di Sacco e Vanzetti: Bertrand Russell, George Bernard Shaw, Albert Einstein, Dorothy Parker, John Dewey, Upton Sinclair, Herbert George Wells e il premio Nobel Anatole France – il quale paragonò la vicenda dei due anarchici al famigerato affaire Dreyfus – anch’essi senza alcun successo. Nick e Bart, come venivano affettuosamente chiamati da chi simpatizzava per loro, furono uccisi il 23 agosto 1927.

L’epilogo

L’esecuzione segnò l’inizio di ferventi proteste a Londra, a Parigi e in Germania. Una bomba, la cui matrice era probabilmente anarchica, devastò l’abitazione del giudice Thayer, nel 1928. Egli non era in casa, restarono ferite sua moglie e una domestica.

I comuni di origine dei due hanno dedicato vie e una scuola ai due anarchici, sostenendo Vincenzina Vanzetti nella sua fondazione del comitato di riabilitazione di Nicola Sacco e suo fratello, Bartolomeo Vanzetti. Finalmente, 50 anni esatti dopo l’esecuzione, il 23 agosto 1977, Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, emanò un proclama che riabilitava i due uomini dopo l’accusa degli omicidi al calzaturificio. “Io dichiaro che ogni stigma e ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.” Affermò Dukakis. Tale dichiarazione, naturalmente, non costituisce in alcun modo una dichiarazione della loro innocenza.

Una campagna di Amnesty International, lanciata nel 2016 per tutelare i diritti umani nel mondo, è stata dedicata alla memoria di Sacco e Vanzetti.

Per approfondire

Esistono svariati tributi alla memoria dei due anarchici nel cinema e nella musica, tra i più noti ricordiamo lo speciale The Sacco – Vanzetti Story, curato da Reginald Rose per la NBC nel 1960; il film di Giuliano Montaldo del 1971, intitolato Sacco e Vanzetti; la canzone di Ennio Morricone, Here’s to you, cantata da Joan Baez e quella di Francesco De Gregori e Giovanna Marini, Sacco e Vanzetti. Numerosi sono anche i libri che trattano della loro triste storia, ne segnaliamo di seguito alcuni:

  • I miei ricordi di una tragedia familiare. Sacco e Vanzetti, di Maria Fernanda Sacco, 2010, Malatesta editore.
  • Non piangete la mia morte, di Bartolomeo Vanzetti, 2017, Edizioni Clichy
  • La marcia del dolore – I funerali di Sacco e Vanzetti – Una storia del Novecento, di Luigi Botta, 2017, Nova Delphi Libri

 


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La forma dell’odio: il Muro di Berlino https://2020.passaggifestival.it/anniversario-costruzione-muro-di-berlino/ Thu, 13 Aug 2020 08:49:18 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=73874 Ci sono costruzioni che segnano la storia, simboli concreti per rappresentare la solidificazione di decenni di ideologia, architetture segnanti che danno forma all'odio, alle divisioni e all'inimicizia tra i popoli. Tra queste infrastrutture, il Muro di Berlino è re incontrastato.

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Ci sono costruzioni che segnano la storia, simboli concreti per rappresentare la solidificazione di decenni di ideologia, architetture segnanti che danno forma all’odio, alle divisioni e all’inimicizia tra i popoli. Tra queste infrastrutture, il Muro di Berlino è re incontrastato.

Per Muro di Berlino si intende comunemente tutto quel sistema di recinzione in calcestruzzo e filo spinato, sormontato da torrette di guardia alto oltre 3 metri e mezzo e lungo 156 chilometri che per 28 anni ha tagliato in due Berlino, la Germania e il mondo intero.

La conferenza di Jalta, l’inizio della fine

A pochi mesi dalla conclusione de facto del secondo conflitto mondiale, con la vittoria degli alleati che era ormai soltanto questione di tempo, i leader dei Paesi antinazisti si riunirono a Jalta, in Crimea.

Tale conferenza è spesso ricordata per essere stata l’appuntamento che ha dato avvio alla costituzione dell’ONU, eppure fu anche la sede nella quale si decise di dividere Berlino in ben 4 zone d’influenza; come a voler spartire una torta appetitosa per tutti ma troppo dolce per uno solo tra gli Stati vincitori della guerra. Unione Sovietica, Regno Unito, Francia e, naturalmente Stati Uniti d’America, avrebbero avuto giurisdizione su un settore a testa della devastata capitale tedesca. In un equilibrio piuttosto instabile si governò la città (e di conseguenza, la Germania) fino al 1948, quando la situazione s’inasprì decisamente, dando avvio ad una escalation che assunse presto le dimensioni di un domino incontrollabile, raggiungendo il culmine nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, esattamente 59 anni fa.

La cortina di ferro

L’Unione Sovietica vantava il settore più esteso, tanto che, a confronto, i settori influenzati da USA e Stati europei erano di fatto poco più che un’enclave in territorio filo-russo. Le ambizioni sovietiche sulla Germania e la sua capitale, dunque, erano molto forti. Iosif Stalin desiderava controllare l’intero Paese e non accettò mai in toto le condizioni di Jalta, avversando fin dal principio l’asse anglo-francese. Gli alleati lo avevano capito. Winston Churchill, non più Prime Minister dopo essere stato sconfitto alle elezioni del 1946 – sulle quali, naturalmente, pesò come una montagna il troppo fresco ricordo del conflitto – in uno dei suoi più celebri discorsi, tenuto un anno dopo il termine del conflitto, esternò una frase entrata in ogni libro di storia: “Da Stettino, nel Baltico, a Trieste, sull’Adriatico, una cortina di ferro è scesa attraverso il Continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi Stati dell’Europa Centrale e Orientale.”

Origini del termine

L‘espressione cortina di ferro non nacque nella mente di Churchill. Prima di lui la utilizzarono Max Walter Clauss, un giornalista tedesco, sul settimanale Das Reich, la cui impostazione politica è chiara e, qualora non lo fosse, ricordiamo che vi scriveva anche Joseph Goebbels, potentissimo Ministro della Propaganda nazista e delfino del Führer und Reichskanzler, il quale fu il secondo a parlare di cortina di ferro. Secondo Goebbels, in caso di sconfitta della Germania (alla quale forse anche lui si stava già rassegnando nel febbraio 1945, quando scrisse l’articolo in questione) si sarebbe subito interposta una cortina di ferro nei territori dell’Unione Sovietica dietro la quale tener nascosto il massacro di massa comunista.

Nel luglio del 1945 lo statista tedesco Konrad Adenauer riprese il termine, parlandone anch’egli in ottica antisovietica. Nel dicembre dello stesso anno fu il direttore della CIA, Allen Dulles, a utilizzare il termine cortina di ferro in un discorso. Dulles però si riferiva solamente alla Germania e non all’intera Europa. La celebrità dell’espressione, ad ogni modo, si deve soprattutto a Churchill e al suo impareggiabile carisma. Sfortunatamente, il discusso primo ministro inglese, aveva ragione da vendere e il suo discorso non si rivelò essere soltanto retorica politica.

Il blocco della capitale

Nel corso del 1948 la tensione cominciò a farsi palpabile tra le potenze che presidiavano la Germania. L’Unione Sovietica passò il limite quando impose il blocco di Berlino, impedendo alle risorse necessarie alla popolazione per la vita quotidiana di entrare in città. L’asse anglo – francese, allora, rispose attuando un ponte aereo per rifornire la città di generi di prima necessità. Fu il punto di rottura, l’inizio di uno strappo che avrebbe caratterizzato brutalmente i seguenti decenni europei.

Nel corso degli anni ’40 non esistevano grosse restrizioni per chi volesse spostarsi da un’area all’altra della capitale tedesca, si poteva circolare liberamente in ogni settore. L’escalation della Guerra Fredda, però, portò alla chiusura del confine tra Germania Est e Germania Ovest, nel 1952. A seguito di questa decisione, la porzione occidentale si fece via via più attraente per chi viveva nella sfera d’influenza sovietica. Nei 12 anni compresi tra il 1949 e il 1961 furono 2,6 milioni i tedeschi dell’Est che migrarono ad Ovest. Per fermare questo esodo, la Germania Est prese una decisione drastica.

Il muro di Berlino

Come anticipato, fu nella notte tra 12 e 13 agosto 1961 che il regime di Stalin cominciò ad isolarsi dai settori occidentali. Dapprima si trattò di blande recinzioni in filo spinato. Già a partire dal 15 agosto, però, si integrarono elementi in cemento prefabbricato e blocchi di pietra. La base del Muro di Berlino era pronta. Esso giunse a racchiudere completamente i settori occidentali in una sorta di penisola, la quale comunicava con il resto della Germania Ovest tramite uno stretto collegamento, poiché la sfera d’influenza sovietica non circondava completamente i settori controllati dagli anglo – francesi.

Il problema orientale era proprio quel tratto di comunicazione con l’Occidente. Finché fu concessa libertà di circolazione la DDR (Deutsche Demokratische Republik, Germania Est) vide un esodo massiccio di lavoratori specializzati – i quali volevano massimizzare le loro competenze nel mercato capitalista occidentale, ove si prospettava un futuro migliore – e una lunga serie di diserzioni dall’esercito filo-sovietico.

Tutto questo avvenne a pochi mesi dalla celeberrima, probabilmente suo malgrado, dichiarazione di Walter Ulbricht, capo di Stato della DDR e segretario del Partito Socialista Unitario della Germania, l’organo di potere di Stalin in terra tedesca. Nel giugno 1961, Ulbricht dichiarò: “Qui nessuno ha intenzione di costruire un muro.” La storia lo smentì in maniera netta poco dopo.

Le conseguenze

Innalzare il Muro di Berlino fu il più grave errore politico commesso nella storia dell’URSS. Da questo punto di vista la decisione si trasformò in un disastro completo non solo per la Germania orientale ma per l’intero blocco comunista.

Ora il mondo aveva una testimonianza di 156 per 3,5 metri della tirannia di Stalin e anche il più convinto degli occidentali filocomunisti non poteva che esprimere il suo sdegno di fronte alle uccisioni deliberate – spesso e volentieri sotto gli occhi dei media – di chi provava a fuggire dalla DDR per inseguire un futuro migliore da questa parte del Muro di Berlino.

Non paghi, i sovietici resero la barriera regolarmente più rischiosa e difficile da valicare nel corso degli anni successivi  al 1961. Il fondo fu toccato con l’innalzamento di un secondo muro, all’interno della frontiera orientale, creando così l’infame striscia della morte, una zona scoperta e facilmente controllabile tra le due barriere.

L’infrastruttura della morte

Nel 1975 il Muro  di Berlino si mostrava con il suo volto peggiore. Alte recinzioni, un fossato anticarro lungo oltre 105 chilometri, più di 30 torrette militari presidiate notte e giorno da cecchini armati, 20 bunker e una strada di pattugliamento continuamente percorsa da guardie di frontiera lunga più di 175 chilometri; era ormai chiaro a chiunque che il Muro di Berlino non era affatto la protezione antifascista battezzata da Stalin. Il leader comunista e i suoi successori, tanto il reggente Malenkov – al potere soltanto per 8 giorni dopo la morte del tirannico capo di Stato – quanto gli architetti dell’URSS, Nikita Chruscëv e Leonid Breznev, insisterono sul fatto che la barriera fosse necessaria per tutelare le repubbliche socialiste sovietiche da invasioni occidentali. La realtà era ben diversa.

Superare il muro di Berlino

Durante i decenni in cui la barriera restò eretta i tentativi di fuga furono 5mila. Nulla rispetto alle cifre dell’esodo precedenti al 1961. I fuggiaschi uccisi dalle guardie di confine furono oltre 200 (le cifre oscillano tra 190 e 240). Si tentava a fuggire in ogni modo: qualcuno provava a passare sotto le barricate alla guida di un’auto sportiva molto bassa, possibile fino a quando il muro non fu completamente fortificato; altri si gettavano nel vuoto da un balcone sul confine, sperando di riuscire ad atterrare dalla parte giusta; chi poteva si attrezzava con aerei ultraleggeri mentre chi non possedeva i mezzi ideava gallerie sotterranee o si affidava al rischiosissimo metodo di scivolamento tra i cavi elettrici, passando di pilone in pilone.

Morire per un sogno

Tra i morti del Muro prevalgono i giovani e gli uomini ma vi sono anche casi particolari, come quello dell’ottantenne Olga Segler, ed episodi particolarmente disgustosi come quello di Marienetta Jirkowsky, uccisa nel 1980 con 27 colpi d’arma da fuoco, a 18 anni, o quello di Peter Fechter, il quale venne ferito dalle munizioni dei cecchini nel 1962 e fu lasciato morire, dissanguato, nella striscia della morte sotto l’occhio dei media della Bundesrepublik occidentale. Vi sono molti altri esempi simili a questi rintracciabili tra le pagine della triste storia del Muro di Berlino, persone che hanno tentato di inseguire la libertà e delle quali ora resta soltanto una lapide commemorativa, all’ombra della Porta di Brandeburgo.

Come scrisse il romanziere russo Viktor Suvorov nel suo L’ombra della vittoria: “Tanto più lavoro, ingegnosità, denaro e acciaio i comunisti mettevano per migliorare il muro, più chiaro diventava un concetto: gli esseri umani possono essere mantenuti in una società comunista solo con costruzioni impenetrabili, filo spinato, cani e spari alle spalle. Il muro significava che il sistema costruito dai comunisti non attraeva ma repelleva.”

La caduta

Nel corso degli anni ’80 il declino dell’URSS cominciò a farsi inarrestabile. I costi della vita tra Berlino Ovest e Berlino Est erano separati da un abisso e lo stesso valeva per le opportunità dei cittadini. Il governo della Germania Est veniva continuamente contestato; Austria e Ungheria, Stati orgogliosi, storici custodi di uno dei maggiori imperi degli ultimi secoli, rimossero ogni restrizione al confine, consentendo, di fatto, la fuga ai cittadini della DDR; Erich Honecker, leader della Germania Est si dimise il 18 ottobre 1989, lasciandosi alle spalle uno Stato moribondo e un’affermazione consegnata agli annali, quella fatta nel gennaio dello stesso anno: “Vi assicuro che il Muro resisterà per altri 100 anni.”

Il 9 novembre del 1989 furono ufficialmente autorizzate le visite a Berlino Ovest e nella Germania occidentale. Nel giro di poche ore, in un’atmosfera festosa, moltissimi cittadini di Berlino Est scavalcarono il Muro. In un atto di liberazione e partecipazione collettiva come pochi altri nella storia recente, durante le settimane successive, la barriera fu abbattuta a colpi di badile, piccone e persino a mani nude dai berlinesi, fino a quando non venne smantellata utilizzando apparati industriali, i quali seppellirono la forma del Muro di Berlino ma non la sua storia. La caduta del Muro di Berlino aprì la strada alla riunificazione delle due Germanie, conclusasi il 3 ottobre del 1990.

Il 9 novembre è festa nazionale in Germania e nel nostro Paese è stato dichiarato dal parlamento Giorno della Libertà.

Per approfondire: consigli di lettura

Il Muro di Berlino ha una storia molto più ampia di quella che si può sviscerare in un articolo, anche se corposo come questo. L’importanza della barriera nella storia europea e mondiale è immensa e il suo ruolo pivotale durante i difficili anni della Guerra Fredda è indubbio. Approfondirla potrebbe colmare alcune lacune e, soprattutto, aprirci gli occhi su una situazione che sembra riaffacciarsi alla finestra del nostro tempo, con schermaglie verbali sempre più ripetute tra USA e Cina, le due tigri più feroci nella giungla dell’economia contemporanea. Di seguito, si possono trovare alcuni titoli che si occupano della tematica:

  • Quei giorni a Berlino. Il crollo del Muro, l’agonia della Germania Est, il sogno della riunificazione: diario di una stagione che ha cambiato l’Europa, di Lilli Gruber e Paolo Borella, edizioni Rai Libri, 1990.
  • La Germania divisadi Fabio Bertini e Antonio MissiroliGiunti Editore, 1994
  • Non si può dividere il cielo. Storie dal Muro di Berlinodi Gianluca Falanga, editore Carocci, 2009
  • Chi ha costruito il Muro di Berlino? Dalla Guerra Fredda alla nascita della bomba atomica sovietica, i segreti della storia più recentedi Giulietto ChiesaUno Editori, 2019

 

 


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Antoine de Saint – Exupéry, educazione e sentimenti https://2020.passaggifestival.it/antoine-de-saint-exupery/ Fri, 31 Jul 2020 08:19:30 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=72375 Lo scrittore e militare francese aveva 44 anni. Era infatti nato a Lione nel 1900. Nella sua vita, oltre che scrittore celebrato e vincitore di vari premi nazionali ed internazionali, è stato anche un aviatore aeropostale prima e militare poi, durante la Seconda Guerra Mondiale.

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Antoine de Saint - Exupéry Jardin Royal

La statua ad Antoine de Saint – Exupéry presso il Giardino Reale di Tolosa. Foto: Flickr.

Il 31 luglio del 1944, nei cieli dell’Isola di Riou, un territorio disabitato a sud di Marsiglia, un caccia tedesco della Luftwaffe abbatte un velivolo francese. L’aviatore transalpino alla guida di quel volo di ricognizione, battente bandiera delle Forces aériennes francaises libres, si chiama Antoine de Saint – Exupéry. Lo scrittore e militare francese aveva 44 anni. Era infatti nato a Lione nel 1900. Nella sua vita, oltre che scrittore celebrato e vincitore di vari premi nazionali ed internazionali, è stato anche un aviatore aeropostale prima e militare poi, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Le circostanze della morte

Raccontiamo la storia di de Saint – Exupéry partendo dalla fine, dalla sua prematura scomparsa. La morte dello scrittore è avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’esercito francese assegna all’esperto aviatore una serie di missioni di ricognizioni aeree. De Saint – Exupéry doveva volare 5 volte tra la Sardegna e la Corsica. Dalla sua quinta missione però, non ritornerà mai. Il suo velivolo, un F-5 era partito da Borgo, una base militare corsa, ed era atteso a Lione. L’aereo precipitò e fu ritrovato soltanto il 7 aprile del 2004. A 60 anni di distanza dall’incidente. La Germania non ha mai messo a verbale l’abbattimento dell’aereo pilotato dallo scrittore, dunque la teoria del siluramento resta, appunto, tale. C’è anche chi sostiene che de Saint – Exupéry si sia tolto la vita.

Un mistero non ancora risolto

Un pilota tedesco, in realtà, dichiarò che si trovava in quella zona, il 31 luglio 1944 e di aver bombardato l’F-5 ma questa versione non è mai stata confermata. Si nutrono anche dei sospetti sul fatto che l’aereo ritrovato 16 anni fa sia effettivamente quello di de Saint – Exupéry, dal momento che il relitto montava delle mitragliatrici e non la macchina fotografica e cinepresa utilizzate sui voli di ricognizione. Inoltre, il corpo dello scrittore non è mai stato ritrovato.

Il personaggio di de Saint – Exupéry nutriva già all’epoca grande fama – non tanto per Il Piccolo Principe, terminato solo nel 1943, quanto per gli scritti dedicati all’aviazione precedenti che lo avevano reso noto in Europa. La sua scomparsa, di conseguenza, ha dato origine a miti e leggende. La più nota sostiene che l’aereo rinvenuto al largo dell’Isola di Riou fosse un altro velivolo militare, mentre quello pilotato dallo scrittore sia scomparso nel nulla, portando con sé il destino dello scrittore – pilota.

Restando con i piedi per terra, però, risuonano come un triste presagio le parole scritte da de Saint – Exupéry nel 1942, per il suo libro Pilota di Guerra: “Ho detto ieri al tenente Gavoille ‘ne riparleremo dopo la guerra’. Il tenente Gavoille mi ha risposto ‘Non pretenderà di essere ancora vivo dopo la guerra, capitano!’ Oggi sono ormai in pochissimi quelli che non credono all’abbattimento da parte di un aereo nemico.

L’essenziale è invisibile agli occhi

Antoine de Saint – Exupéry è uno dei più celebri scrittori francesi. Gran parte del merito di ciò si deve alla sua opera più famosa, Il Piccolo Principe. Il libro uscì prima nella sua versione inglese e poi nell’originale francese, pubblicato in entrambe le edizioni da Reynal & Hitchcock. L’esperienza aerea dell’autore è presentissima in questa vicenda, dal momento che si racconta dell’amicizia tra il principe alieno, che viene da un lontano asteroide dove vivono solo lui, una rosa e tre vulcani, e un pilota di aerei precipitato nel deserto del Sahara.

Il piccolo principe ha bisogno di una pecora, perché altrimenti i baobab soffocheranno il suo pianeta e l’animale deve nutrirsene per impedire l’invasione degli arbusti. Nel suo viaggio sulla Terra e in alcuni altri pianeti, il sovrano incontra numerosi personaggi curiosi e fa scoperte importanti sull’amicizia, sull’amore e sul senso della vita.

Nonostante l’opera sia un racconto di narrativa per ragazzi, il suo significato è piuttosto profondo ed impegnativo. Tutti gli incontri del principe rappresentano una sorta di allegoria, o alternativamente una sorta di stereotipo della società coeva al tempo di de Saint – Exupéry. Il racconto resta davvero attuale anche nel 2020.

Il Piccolo Principe nella storia

La poesia del piccolo principe ha lasciato ai posteri alcuni passaggi indimenticabili, parte integrante della storia della letteratura mondiale. Basta citare la volpe, quando ricorda al giovane sovrano di come sarà felice già un’ora prima dell’appuntamento che lui le dà, perché sa che si vedranno a breve e ciò la riempie di gioia; oppure il memorabile pensiero del piccolo principe sugli adulti: “I grandi non capiscono mai niente da soli ed è difficile, per i bambini, star sempre lì a dargli delle spiegazioni”; Celeberrima poi è anche la frase del monarca spaziale, secondo il quale “SI vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”

Le altre opere

Accanto al racconto del piccolo principe, de Saint – Exupéry  ha scritto anche altre importanti pagine di letteratura. Gran parte del suo lavoro si concentra sul mondo dell’aviazione. Ricordiamo alcuni dei titoli delle sue opere più famose: L’Aviatore, Volo di notte, Terra degli uomini, Pilota di guerra e i postumi Opere La CittadellaIn chiusura dell’articolo a lui dedicato, ci saranno alcuni consigli di lettura dedicati alla sua composizione e a quella che lo racconta.

L’educazione sentimentale in Antoine de Saint – Exupéry

Non sappiamo se l’autore abbia scritto il suo capolavoro con la precisa intenzione di creare un volume che educasse sentimentalmente i suoi lettori. Dal momento che il target di riferimento era una platea di giovanissimi, forse de Saint – Exupéry ha voluto imprimere una funzione educativa di questo tipo al suo racconto. O forse no. Fatto sta che, a decenni di distanza – esattamente come ha fatto per tutto il corso della sua vita – Il Piccolo Principe rappresenta ancora uno dei testi più utilizzati in ambito educativo. Nelle scuole, nei gruppi di catechismo parrocchiale, persino in alcune feste di compleanno i personaggi e i dialoghi estrapolati dalle pagine di questo libro sono studiati, analizzati e reinterpretati. Il libro è in grado di spiegare tramite esempi, dunque in modo semplice e chiaro a tutti, che cosa sia l’amore, quanto importante sia l’amicizia e come si debba vivere in maniera giusta e virtuosa.

Le parole del libro, così come gli acquerelli, disegnati di proprio pugno dallo stesso autore e contenuti all’interno del Piccolo Principe, rappresentano una sorta di guida, di manuale educativo, per i giovani e non solo. Anche in questo sta l’importanza e la fama di una delle opere letterarie più vendute di sempre, tra le più celebri del secolo scorso, che con le sue oltre 300 traduzioni è il racconto più tradotto della storia della letteratura, escludendo i testi religiosi.

Un oscuro parallelismo

Curiosamente, Il Piccolo Principe si chiude con l’insoddisfazione del pilota che non riesce più a ritrovare il corpo del Piccolo Principe, il quale il giorno prima era stato morso da un serpente del deserto. L’aviatore allora immagina che il sovrano sia tornato sul suo asteroide, a prendersi cura della sua amata rosa. Non ne ha però la certezza. Un anno dopo, anche la fine dell’autore del libro sarebbe stata avvolta dallo stesso alone di mistero.

Antoine de Saint – Exupéry: consigli di lettura

Per immergersi al meglio nell’arte e nel genio dell’autore francese, non si può che partire da alcuni suoi lavori.

È impensabile prescindere da Il Piccolo Principechiunque non lo abbia mai letto o ha piacere di rileggerlo può farlo attraverso la recente traduzione italiana di Franco Perini (Liberi Pomi, 2016).

Suggeriamo poi Volo di NotteMondadori, 2015, nella traduzione di Cesare Giardini. È consigliabile leggere anche l’opera postuma, Cittadella, Borla, 1978, tradotta da E. L. Gaya; questo volume può risultare un pò difficile da reperire. La sua importanza sta nel fatto che si tratta di una raccolta ben ordinata di note e pensieri di Antoine de Saint – Exupéry e rappresenta una sorta di suo testamento artistico.

Volumi di altri autori

Sulla figura dello scrittore e sul suo celebre racconto sono stati scritti numerosi volumi, molti dei quali espressamente destinati a professionisti o esperti dell’educazione, della medicina, della sociologia o della letteratura. Per il semplice curioso, desideroso di approfondire Il Piccolo Principe oppure il suo autore, possiamo consigliare due libri.

Il primo si intitola Dal Piccolo Principe a Harry Potter, letteratura per l’infanzia e nuovi media. È stato scritto a quattro mani da Antonella Antonelli e Luca Galliano ed è edito da Il Castello (2008); si tratta di una critica rivista e ammodernata del racconto, inserita in un contesto attuale dove il principale fenomeno letterario per l’infanzia è il maghetto con gli occhiali e i bimbi preferiscono di gran lunga approcciare le storie tramite tv, computer e smartphone, piuttosto che attraverso la carta stampata.

Il secondo volume, invece, si intitola I ricordi del Piccolo Principe. Antoine de Saint – Exupéry ed è stato scritto da Jean – Pierre Guéno e tradotto da Luisa Saraval. La casa editrice è Bompiani (2011). Il volume è particolarmente utile a chiunque voglia documentarsi sulla vita dell’autore in quanto esamina lettere, scritti e analizza le emozioni trasmesse al lettore da quel piccolo eroe che attraversa le generazioni. Antoine de Saint – Exupéry era un tutt’uno con il suo personaggio più famoso, questo libro ci racconta il perché.


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Fascismo – la fine. Il caldo luglio del 1943 https://2020.passaggifestival.it/caduta-fascismo/ Sat, 25 Jul 2020 09:03:01 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=72235 la notte tra il 24 e il 25 di luglio 1943 entrava nella storia italiana ed europea. Il Gran Consiglio del Fascismo, convocato d'urgenza, prese atto di come la sconfitta del regime fosse oramai questione di giorni, al massimo settimane, vista la piega che aveva preso il conflitto mondiale

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Un appuntamento con la storia

77 anni fa, la notte tra il 24 e il 25 di luglio 1943 entrava nella storia italiana ed europea. Il Gran Consiglio del Fascismo, convocato d’urgenza, prese atto di come la sconfitta del regime fosse oramai questione di giorni, al massimo settimane, vista la piega che aveva preso il conflitto mondiale. La bilancia, infatti, stava ormai pendendo decisamente dalla parte delle forze alleate. L’Asse stava per essere sconfitta senza appello sul fronte europeo.

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In una celebre foto risalente al 1938, un incontro tra Mussolini e il suo alleato Adolf Hitler. Foto: Istituto Luce

La deposizione di Benito Mussolini e la crisi del fascismo

L’ultima decade di quel luglio fu davvero intensa, in un pugno di giorni si susseguirono agguati, vendette, tradimenti e mosse politiche, non sempre alla luce del sole. I gerarchi avevano capito che il fascismo aveva i giorni contati. La notizia che l’Italia aspettava giunse puntuale nelle prime ore del 25 luglio 1943. Benito Mussolini era stato esautorato. Il Duce, il Fondatore dell’Impero, il Primo Maresciallo dell’Impero Italiano – per riportare tutti i titoli che concentrò sulla sua persona – non era più il Presidente del Consiglio. L’Italia era de facto defascistizzata. Eppure Mussolini restò in carica altri due anni nel Nord del Paese, nella cosiddetta Repubblica di Salò, fondata nel settembre del 1943 e dissolta due anni dopo, con buona pace di tutti gli italiani.

La notizia della destituzione di Mussolini esplose nell’Italia stanca della guerra e della dittatura come il proverbiale fulmine a ciel sereno. L’avvenimento fu accolto con manifestazioni di gioia e cortei spontanei in tutte le principali città italiane e non solo. Si sperava che la data del 25 luglio rappresentasse la fine della guerra per una Nazione sfilacciata e stremata. Si cantava inneggiando alla pace e si sventolavano tricolori con l’effigie dei Savoia, celebrando Vittorio Emanuele III. Il re, però, fu sostanzialmente complice del regime, non avendo mai fatto granché per ostacolare Mussolini. Dopo il Duce, fu deposto anche il monarca.

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Un plotone di militari sorride imbracciando il tricolore con lo stemma dei Savoia. Foto: Wikipedia

Eravamo in realtà ancora piuttosto lontani dalla fine degli strazi italiani nella Seconda Guerra Mondiale. La caduta del fascismo lasciò l’Italia nell’anarchia e l’esercito tedesco disorientato e confuso. La risposta dei soldati del Reich fu un’esplosione di violenza. Le bestie  feroci diventano infatti più pericolose, quando si accorgono di avere le spalle al muro.

Le reazioni alla fine del fascismo

La popolazione italiana, irrequieta e provata dal conflitto, volle rifarsi di un ventennio di abusi e soprusi perpetrati dal regime. Le case del fascio, quei luoghi che avevano rappresentato, nella concretezza dell’architettura, il potere e la crudeltà del fascismo, furono immediatamente prese di mira. Era all’interno di quegli edifici, infatti, che prendevano forma sopraffazioni, violenze gratuite e  bastonamenti squadristi. Era nelle case del fascio che si somministrava olio di ricino agli oppositori, costringendoli poi ad uscire in strada con i segni della purga sui vestiti, come pubblica umiliazione.

Le manifestazioni, in realtà, non durarono che alcune ore, tanto che si parla di breve vacanza di libertà, per riportare il termine coniato dallo storico Paolo Spriano. Eppure bastò a far capire agli alleati, e agli informatori della polizia che lavoravano per loro, come la Nazione avrebbe risposto all’insediamento di un governo antifascista.

La corrente era cambiata in quel luglio 1943. A partire dal giorno 10, con lo sbarco in Sicilia. In tale data iniziò la riconquista americana della penisola. A partire da quel momento, i tedeschi cominciarono a sentirsi degli invasori, traditi dall’alleato italiano, e si diffuse in loro un senso di ineluttabile sconfitta. Le uniformi grigie del Grande Reich cominciarono a capire che per loro non sarebbe finita bene e si abbandonarono alle stragi, alle violenze, ai bombardamenti a tappeto e alle altre note nefandezze. La guerra non è lucida, non è razionale. La guerra è guerra e l’uomo perde la propria umanità.

Il Governo Badoglio I

Il 26 luglio 1943, Pietro Badoglio divenne Presidente del Consiglio. Il suo governo tecnico – militare restò in carica per soli 272 giorni ed ebbe il compito gramo di tenere unito un Paese che era completamente sfilacciato, diviso tra Nord e Sud, fascisti e antifascisti, partigiani e repubblichini.

Il primo governo Badoglio (ne seguì un secondo con l’incarico di sbrigare le pratiche, per così dire, legate al termine del conflitto) soppresse la maggior parte delle istituzioni fasciste e firmò l’armistizio con gli alleati. Il 13 ottobre 1943, Pietro Badoglio dichiarò guerra alla Germania da Brindisi, nuova sede del governo a seguito della resa di Roma ai nazisti.

Mantenere l’ordine

Il Capo di stato maggiore dell’esercito italiano, Mario Roatta, emanò, dopo il giuramento del governo Badoglio, la tristemente nota circolare Roatta. Tramite il documento si impediva di fatto ogni manifestazione inneggiante alla fine del regime, permettendo alle forze armate di reprimerei moti antifascisti con ogni mezzo, violenza compresa. La circolare recita, in un brutale passaggio: “Ogni movimento deve essere inesorabilmente stroncato in origine… si proceda in formazione di combattimento e si faccia fuoco a distanza, anche con mortai e artiglieria senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche.”

Dal 25 al 30 luglio 1943 si ebbero 93 morti, oltre 500 feriti e più di 2.200 arresti. Il generale Roatta, nel 1942 – quando ancora si sognava l’Impero Fascista – aveva dichiarato guerra alla popolazione civile slovena ordinando rappresaglie, incendi di abitazioni e villaggi, esecuzioni sommarie, raccolta e uccisione di ostaggi, internamenti nei campi di concentramento. Ognuna di queste azioni, naturalmente, rappresenta un crimine di guerra. Il clima creato da Roatta e dal governo Badoglio I riportò l’Italia ai moti di Milano del 1898, quando il generale Bava Beccaris rispose agli scioperi degli operai con il piombo dei suoi cannoni.

Le sconfitte del regime

Il nuovo governo si riunì per la prima volta il 27 luglio 1943. La situazione italiana era drammatica. Il Paese era allo sbando, gli italiani avviliti e affamati. Gli animi erano esasperati. Anche chi aveva creduto alla retorica effimera del Duce si era ormai rassegnato. Gli esiti militari avevano rivelato tutta l’inconsistenza e l’inadeguatezza del fascismo. L’esercito italiano era stato sconfitto senza appello nei Balcani, annichilito in Russia e affondato in Africa Settentrionale, dopo che la volpe del deserto, Erwin Rommel, fu ricollocato da Hitler. Le gesta di Bernard Montgomery, leggendario generale britannico, nel continente nero, e il sacrificio di El Alamein avevano profondamente toccato le coscienze italiane.

Monarchia, Chiesa e potenze economiche avevano scelto di liquidare Mussolini. Volevano incolpare il Duce di ogni insuccesso, sperando di garantirsi un’innocenza del tutto immeritata.

Gli appoggi velati al fascismo e la RSI

Questo tentativo alquanto grossolano di lavarsi le coscienze si rivelò presto un’arma a doppio taglio. I tre attori che presero questa decisione avevano tutti appoggiato, chi più chi meno, il regime. Re, papa, imprenditori; chi non era stato direttamente complice del fascismo, ne aveva taciuto le colpe. Mussolini, di fatto, trovò ben poca resistenza nel suo processo di inseguimento del potere.

Fascismo: adunata Balilla

Un’adunata dei giovani Balilla. Foto: Istituto Luce

Il fascismo, inoltre, poteva contare ancora su una buona base di seguaci. I fascisti repubblicani, ad esempio, frangia potente ed organizzata, furono in grado di creare in neppure quaranta giorni la Repubblica Sociale Italiana, con capitale Salò. Lo Stato autonomo resistette militarmente, grazie ad uno dei primi eserciti misti – maschile e femminile – della storia, fino alla liberazione nazionale, quel 25 aprile 1945 che festeggiamo ancora oggi.

I postumi della caduta del fascismo

La vacanza di libertà si dimostrò esattamente tale. Gli italiani sbagliarono i conti sulla forza del fascismo, e probabilmente anche sul loro coinvolgimento nelle sue responsabilità. Il regime, infatti, continuerà a costituire un pesante fardello sulla democrazia italiana negli anni e nei decenni a venire. Ancora oggi siamo testimoni dei suoi strascichi. Il grido “Basta con la guerra, i tedeschi in Germania” che risuonò lungo tutta la penisola il 25 luglio 1943 non diede seguito a nulla. Il governo militare di Badoglio ci mise davvero poco a mostrare la sua faccia peggiore, che probabilmente non fu altro che il suo vero colore.

Il governo del terrore

Già dal primo agosto 1943 i giornali divennero difficilissimi da leggere, pieni di ampi spazi bianchi, figli di una delle più rigide censure mai conosciute nel nostro Paese. I cinema chiudevano dopo aver messo in onda un solo spettacolo, ovviamente approvato dal governo. Pattuglie militari presidiavano ogni ente amministrativo e stabilimento produttivo. Un rigido coprifuoco rese le strade buie e deserte, al calar del sole. Gli unici spiragli di luce giungevano da qualche finestra all’interno della quale si ascoltava, probabilmente, Radio Londra. Furono proibiti assembramenti superiori alle tre persone. L’ordine e il lavoro dovevano continuare ad ogni costo, per decisione dello Stato d’assedio, chiunque scioperasse, era processabile dal tribunale militare, Solitamente la pena per sciopero o istigazione del disordine – la differenza tra i due crimini era piuttosto sottile – consisteva nella fucilazione. Il clima era chiaramente di terrore.

Le famiglie italiane si sentivano schiacciate da una dittatura militare che poco di diverso aveva dal fascismo. Le durissime norme alimentari, i continui allarmi per bombardamento aereo, l’ansia di non conoscere la sorte degli uomini dispersi chissà dove in Europa e la continua censura delle notizie esasperavano la popolazione. Non si tollerava più la diffusa presenza tedesca sul suolo italiano. Né l’esecutivo di Badoglio, né tantomeno la monarchia – oramai svuotata di tutta la sua autorità – riuscivano ad indicare alcuna via d’uscita da un conflitto che aveva dissanguato e stancato.

I partigiani e l’armistizio

La risposta a questa situazione fu la resistenza armata e organizzata al nazifascismo. Le cellule partigiane nacquero in questo clima di profondo sconforto e la loro creazione portò fino a Cassibile, all’armistizio del 3 settembre 1943, reso noto da Radio Algeri 5 giorni dopo. E, naturalmente, a tutte le amare conseguenze per l’Italia intera.

La storia ci dà una data precisa della caduta del fascismo, quella del 25 luglio 1943. La ricordiamo nell’anniversario perché non ci si scordi di che cosa significarono quegli anni per il nostro Paese. Facciamo attenzione ad alcune derive destrorse che riscontriamo nella nostra epoca storica, alcune sono figlie di queste convinzioni. La storia ha il brutto vizio di ripetersi e la memoria storica è l’unico modo per impedirglielo. Chiunque voglia approfondire il ventennio fascista e la sua conclusione, potrà farlo seguendo i consigli di lettura che seguono.

Pagine di storia del fascismo

Esistono numerosi volumi che raccontano l’epopea fascista in Italia. Ve ne sono altrettanti che si concentrano sulla storia e la biografia di Benito Mussolini. La selezione che segue non ha la pretesa di elencare i migliori libri che trattano di fascismo ma vuole semplicemente essere un compendio per chi voglia approfondire le vicende da un punto di vista storico e in chiave antifascista. Vediamo dunque qualche titolo che faccia al caso nostro:

  • Francesco FilippiMussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Bollati Boringhieri
  • Furio GubettiFASCISMO: Breve storia per giovani ignari e adulti disinformati, I Libri del Borghese
  • Renzo De FeliceBreve storia del fascismo, Mondadori
  • Antonio CariotiAlba Nera. Il fascismo alla conquista del potere, Solferino

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Come funziona e che cos’è il 5×1000 https://2020.passaggifestival.it/come-funziona-5x1000-dichiarazione-redditi/ Mon, 22 Jun 2020 11:59:46 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=71611 Come funziona il 5×1000. Sentiamo spesso parlare di 5×1000, specialmente nella stagione dei contributi; sappiamo però davvero di che cosa si tratta? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza con questo articolo. Come funziona il 5×1000 e di cosa si tratta Il 5×1000 è una misura fiscale. Esso consente al contribuente di destinare una quota […]

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Come funziona il 5×1000. Sentiamo spesso parlare di 5×1000, specialmente nella stagione dei contributi; sappiamo però davvero di che cosa si tratta? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza con questo articolo.

Come funziona il 5×1000 e di cosa si tratta

Il 5×1000 è una misura fiscale. Esso consente al contribuente di destinare una quota dell’IRPEF (l’imposta sul reddito per le persone fisiche) a enti o associazioni le quali si occupino di comprovate attività di interesse sociale, squadre e scuole sportive, organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus) oppure enti di ricerca scientifica e/o sanitaria. In sostanza, tramite il 5×1000 si può contribuire in maniera attiva, in prima persona, alle operazioni quotidiane e alla (tanta) burocrazia che sta alle spalle dell’operato delle associazioni di volontariato, di promozione sociale e culturale e di tutte le organizzazioni similari ad esse. La quota dell’IRPEF destinata è, appunto, pari al 5×1000 dell’imposta, da cui il nome.

L’imposta sul reddito delle società (IRES) non prevede questa misura. Ovviamente, ogni imprenditore può comunque contribuire tramite l’IRPEF personale. L’impegno a destinare il nostro 5×1000 ad un’associazione o ente cui teniamo è una dimostrazione, netta e decisa, di quanto teniamo all’attività svolta.

L’importanza del 5×1000

Sovente, in maniera erronea, si pensa che la misura del 5×1000 sia una donazione. Invece, tale sottoscrizione non beneficia di alcuna agevolazione fiscale, ovvero non si può detrarre dalle tasse, per dirlo in soldoni, com’è concesso fare con le donazioni vere e proprie. D’altra parte, però, non comporta neppure alcun onere aggiuntivo, non ha insomma nessun costo per il contribuente, in quanto lo stesso è comunque chiamato a pagare il proprio IRPEF.

Il 5×1000 è stato ufficialmente istituito nel 2006, in Italia. Inizialmente fu introdotto in maniera totalmente sperimentale, fu una sorta di esperimento. In pochissimo tempo, però, questa misura è diventata una forma di sostentamento indispensabile, davvero difficile trovare un’altra parola, per tutti gli enti non profit. Tali associazioni, infatti, fanno spesso moltissima fatica a disporre dei fondi di cui necessitano per il quotidiano bisogno delle loro attività. E’ proprio grazie al 5×1000 che moltissimi enti riescono ad andare avanti.

Tramite questa misura, il cittadino può prender parte ad uno sviluppo armonico, responsabile, del cosiddetto terzo settore. Può farlo nella più totale sicurezza e trasparenza, poiché ogni associazione che riceve il 5×1000 è tenuta a dimostrare in quale maniera abbia impiegato le risorse ricevute.

Cenni storici

La Legge Finanziaria del 2006 decise di introdurre, in maniera appunto sperimentale come si è scritto poc’anzi, una forma di sostentamento alle organizzazioni non lucrative, le attività di ricerca scientifica o sanitaria e tutte le attività socialmente o culturalmente utili svolte nei Comuni. Tutto questo mondo, futile dirlo, faticava e non poco a trovare i fondi per il proprio mantenimento. A volte lo fa ancora oggi, figuriamoci la situazione prima del 2006; anche chi non ne sia direttamente coinvolto, non faticherà a visualizzare in mente quante e quali difficoltà vi erano ad avere la quantità di danaro necessaria a tenere in piedi un’associazione.

Fin da subito, il contribuente ha aderito in maniera massiccia, è il caso di dirlo, al 5×1000. Nella sola prima possibilità, nel 2006, di contribuire tramite questa misura fiscale, furono 16 milioni gli italiani a devolvere la propria quota, esprimendo una preferenza sulla propria dichiarazione dei redditi. Il settore non profit fu il preferito.

Evoluzione del contributo e miglioramenti introdotti

A partire dall’anno fiscale 2009 fu data la possibilità di finanziare le associazioni sportive dilettantistiche; nell’anno successivo si decise di innalzare il tetto massimo fino a 400 milioni di euro. Prima ammontava a 250 milioni. Nel 2011 sono state inserite anche le attività di tutela e rivalutazione di beni culturali e paesaggistici tra le finalità del 5×1000. Tramite la legge n.190 del 23/12/2014, il contributo è stato stabilizzato. Questa misura fiscale, dunque, è divenuta fonte sicura e costante di finanziamento. A partire dall’anno 2015, il tetto massimo è stato stabilito a 500 milioni di euro.

Dal 2008, ogni associazione autorizzata a ricevere il 5×1000 ha l’obbligo di stilare un rendiconto. Tale documento può essere prodotto nell’arco dei 12 mesi successivi all’incasso e deve illustrare dettagliatamente, senza troppi fronzoli, in quale modo sia stata utilizzata la totalità delle somme ricevute. Consultando i siti delle associazioni e del Ministero competente, che può essere quello dei Beni Culturali, quello della Sanità, o comunque quello cui faccia capo la finalità dell’associazione prescelta, il cittadino potrà controllare e verificare a quale attività sia stato destinato il proprio cinque per mille.

Tutto sul 5×1000. Una forma di sussidiarietà orizzontale

Il principio della cosiddetta sussidiarietà orizzontale, come stabilito dal Governo e dall’Agenzia delle Entrate nella definizione di 5×1000, implica la collaborazione attiva del privato cittadino con gli enti, le istituzioni e le associazioni al fine di attuare interventi socialmente rilevanti. Tali interventi consentono il miglioramento e l’avanzamento sociale del Paese, il quale, in ultima misura, gode e beneficia del proliferare e benessere del suo terzo settore. Il 5×1000 è un modo democratico di dare una mano, sostenendo attività socialmente utili, le quali arricchiscono tutti, indiscriminatamente, senza alcun aggravio per il contribuente.

Per lo Stato, invece, il 5×1000 rappresenta una voce di spesa, dal momento che parliamo di una porzione del gettito fiscale vincolata a doppia chiave alle finalità scelte di proprio pugno dal cittadino. Naturalmente, lo Stato accetta la decisione del contribuente in quanto istituzione promotrice del 5×1000.  La misura fiscale concede al cittadino un potere inusuale, se così vogliamo definirlo, poiché, come ben sappiamo,  solitamente è il Parlamento a decidere l’attribuzione del gettito fiscale; nessun altro decide il beneficiario di una quota dell’imposta sul reddito.

Beneficiari 5×1000

L’elenco dei soggetti beneficiari del 5×1000 – fortunatamente bello lungo, dal momento che sono numerose le associazioni le quali si occupano di migliorare il nostro Paese e lo fanno senza fine di lucro, è giusto ricordarlo –  è pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Entrate e lì lo si può consultare.

Come funziona il 5×1000

Ci sono due modi, per il cittadino, di aderire al 5×1000. Egli può scegliere, se vuole, il solo settore di interesse, le possibilità sono molteplici: volontariato; ricerca scientifica, universitaria oppure sanitaria; politiche sociali perseguite dai Comuni; attività sportive di carattere dilettantistico; sostegno alla gestione delle aree protette o ancora attività finalizzate alla tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici. In definitiva, viene contemplato pressoché chiunque operi in settori di riconosciuto interesse pubblico per finalità di utilità sociale. Altrimenti, qualora il contribuente preferisca, può inserire il codice fiscale dell’ente prescelto per esteso. In questo modo cederà direttamente il proprio 5×1000 all’associazione che predilige.

Modello Unico 730 o CU 5×1000

Indipendentemente dal modello utilizzato per la propria dichiarazione dei redditi, sia esso 730, Modello Unico o CU, ogni contribuente potrà esprimere la propria scelta. Nel primo caso, basterà barrare una delle 6 caselle presenti sul modulo. Ad ogni casella corrisponde un diverso settore di interesse. Nel caso in cui, invece, si voglia contribuire ad uno specifico ente bisognerà scriverne il codice fiscale nell’apposito spazio dedicato. Sul modello della dichiarazione troviamo una sezione apposita dedicata al 5×1000 e alla sua destinazione. E’ molto facile contribuire. Qualora comunque vi fossero difficoltà, basterà segnalare al proprio centro di assistenza fiscale l’intenzione di destinare il 5×1000 e l’addetto saprà come muoversi.

In caso di mancata indicazione della destinazione del 5×1000, questo resterà allo Stato. Esattamente come nel caso della cessione del proprio 8×1000 non c’è alcun obbligo a indicare una preferenza e a devolvere questa parte del reddito. Dato però l’ampio ventaglio di enti e associazioni tra le quali si può scegliere, è caldamente consigliato esprimere una preferenza e destinare a chiunque si preferisca il proprio 5×1000.

Differenza 5×1000 e 8×1000

In sede di dichiarazione dei redditi, il contribuente può anche scegliere di devolvere il proprio 8×1000. Tale quota della propria imposta, però, non sarà destinata alle stesse figure che possono ricevere il 5×1000. L’8×1000 serve ad appoggiare una confessione religiosa, anch’essa decisa dal cittadino. Il contribuente può scegliere tra Stato, Chiesa Cattolica, Comunità Ebraiche Italiane, Unione Buddhista, Unione Induista e Assemblee di Dio in Italia. Accanto a queste ci sono anche le altre congregazioni della chiesa cristiana: Chiesa Avventista del settimo giorno, Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Luterana in Italia, Chiesa Apostolica, Diocesi Ortodossa Italiana e Unione Cristiana Evangelica Battista. Sulla base della scelta operata, si effettuano poi tutti gli opportuni calcoli al fine di attribuire a ciascun soggetto la relativa quota di gettito. Tale suddivisione si opera sulla base delle percentuali ottenute da ciascuno.

E’ molto importante, diciamo pure fondamentale, non confondere 5×1000 e 8×1000. Le due misure sono differenti e non sono, in alcun modo, alternative l’una all’altra. E’ possibile scegliere un destinatario per l’una e un altro destinatario per l’altra.

L’IRPEF è materia complessa; la misura del 5×1000, però, ci consente di contribuire in prima persona allo sviluppo ed al miglioramento di un’associazione cui teniamo. Qualora non conoscessimo alcun ente, possiamo comunque fare in modo che la nostra quota sia investita in un settore che abbiamo a cuore, prendendo così parte attiva all’avanzamento e, perché no, al progresso del nostro Paese.

Come posso destinare il mio 5×1000 a Passaggi Festival

E’ possibile destinare il proprio cinque per mille anche all’associazione di promozione sociale Passaggi Cultura. Farlo è molto semplice. Nel Modello 730 o Redditi (“Sostegno al volontariato”) firma e indica il codice fiscale di Passaggi Cultura: 97809820588
Come recita il nostro motto: “a te non costa niente, noi ti ripagheremo con gli interessi”.

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Giornata Mondiale dell’Ambiente, a difesa della biodiversità https://2020.passaggifestival.it/giornata-mondiale-ambiente/ Fri, 05 Jun 2020 10:12:19 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=71248 Una giornata istituita dall'ONU nel 1972 per ricordare l'importanza del mondo in cui viviamo.

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Le tante belle parole di rispetto e tutela per l’ambiente che sentiamo, gli impegni di governi e filantropi per proteggere e tutelare il nostro Pianeta si moltiplicano, sfortunatamente, però, continuano a restare tali: parole ed impegni. Le une se le porta via il vento, gli altri vengono annunciati e poi prontamente disattesi. Nel frattempo, come continua a ricordarci Greta Thunberg, l’adolescente svedese divenuta il simbolo della lotta al cambiamento climatico, la nostra casa è in fiamme. Sarebbe opportuno che qualcuno cominciasse davvero a metter mano agli estintori.

Ambiente: un giorno per parlarne

Il 5 giugno  è la Giornata Mondiale dell’Ambiente. Ormai esistono giornata mondiali per moltissimi temi e si corre il rischio di lasciarcele scorrere addosso nell’incuranza e nell’indifferenza. La questione ambientale, però, è fondamentale. Essa rappresenta, probabilmente, la principale battaglia che il nostro tempo ci pone di fronte. Con questo non si vogliono certo sminuire le numerose altre questioni, problematiche e conflittuali che dissanguano il nostro Pianeta, sia ben chiaro; eppure l’ambiente è la cornice della vita di tutti. Se perdiamo la lotta per difenderlo, abbiamo già perso qualunque altra battaglia poiché non esisterà più un luogo dove poterla portare avanti.

Quest’anno, la Giornata Mondiale dell’Ambiente sarà dedicata al tema della biodiversità. Come ben sappiamo, tristemente, la tutela della biodiversità sul nostro Pianeta è in drammatico declino, con specie animali e vegetali che si ritrovano ad un passo dall’estinzione. Il responsabile di ciò è quasi sempre l’uomo. Consideriamo un paio di dati, i quali, al solito, ci aiutano a rendere concretamente il concetto appena riportato. Il totale stimato di specie animali viventi sulla Terra è di 8,7 milioni. Ad oggi, circa un milione di queste sono a rischio estinzione. Un simile ritmo di sparizione delle specie è a dir poco preoccupante. Gli scienziati parlano ormai apertamente di estinzione di massa, dovuta al fatto che numerosi ecosistemi siano stati distrutti, degradati, frammentati. Soltanto una piccola parte di essi è rimasta intatta.

Il momento della natura

Per questa iniziativa è stato scelto un motto accattivante: “è il momento per la Natura!“, a ricordare come la crisi della biodiversità sia una preoccupazione urgente, diciamo pure esistenziale. Occorre auspicare che tale monito venga udito ed accolto.

Ambiente al centro

L’ONU ha domandato a tutti i Paesi di contribuire per far crescere la consapevolezza ambientale dei propri cittadini. Il declino della natura che ci circonda è sotto gli occhi di tutti, è necessario dar stimolo ad azioni concrete per arrestare ed invertire questo nefasto processo. Una consapevolezza globale, interessata all’ambiente, da parte del singolo cittadino, è il primo passo.

L’Unione Europea, recentemente, ha pubblicato un report contenente alcune strategie mirate alla tutela della biodiversità, dell’agricoltura e dell’alimentazione. Tramite esse, Bruxelles intende dare vita ad una transizione verso una nuova Unione, la quale sia più sostenibile e resiliente. Sono obiettivi ambiziosi e assolutamente condivisibili, per riuscire a raggiungerli, però, servirà marciare diritti lungo l’arduo cammino in vista del summit di Kunming (Cina), in programma nel 2021. In tale sede l’ONU terrà una conferenza denominata Accordo Globale sulla Biodiversità, nella quale dovrebbero essere stabilite delle nuove linee guida mondiali per la tutela, il rispetto e la valorizzazione delle diversità biologiche.

La giornata mondiale dell’Ambiente in Italia

Nel nostro Paese, l‘ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha organizzato una tavola rotonda incentrata proprio sulla perdita della biodiversità. Lo scopo che tale vertice si propone è quello di proporre azioni concrete per arrestare la devastazione del nostro pianeta, invertirla e fare tutto il possibile per valorizzare l’ambiente, piuttosto che per danneggiarlo. L’ISPRA vuole stimolare il dialogo tra le autorità competenti e i portatori di interesse verso questa tematica, i quali, in fin dei conti, dovremmo essere tutti noi. Alla tavola rotonda parteciperanno il Ministro per l’Ambiente e la Tutela di territorio e Mare, Sergio Costa; la Ministra per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Teresa Bellanova; i vertici di ISPRA e altre personalità di spicco provenienti da istituzioni e associazioni impegnate nella difesa dell’ambiente.

L’importanza di questa ricorrenza

Le modalità nelle quali il mondo civilizzato, per così dire, sta affrontando tutte le problematiche portate dal cambiamento climatico, sono ampiamente insufficienti. Di questo passo, il nostro Pianeta appare condannato ad una fine, neppure così lenta. La comunità scientifica continua a ripeterci che siamo ancora in tempo per cambiare questa poco piacevole situazione, occorre però che alle parole e agli impegni seguano decisioni e provvedimenti reali, altrimenti arriveremo ad un punto di non ritorno che non è più molto distante da noi. Quella del 2020 sarà la quarantaseiesima edizione della Giornata Mondiale per l’Ambiente, ufficialmente istituita dall’Assemblea Generale ONU nel dicembre del 1972. E’ passato quasi mezzo secolo, la sensibilità alla questione è sicuramente aumentata, eppure continuiamo a non vedere risultati di cui andare fieri.

La Giornata Mondiale dell’Ambiente è molto importante, perché richiama l’attenzione sul nostro Pianeta e sulla sua salute. Ci auguriamo che l’edizione 2020 passi alla storia come il momento, nella storia mondiale, in cui davvero la politica e i poteri forti abbiano cominciato ad interessarsi di ambiente in prima persona.

Narrativa per la Giornata Mondiale dell’Ambiente

Sono 143 i Paesi che hanno aderito alla Giornata Mondiale dell’Ambiente. E’ positivo che un alto numero di governi riconosca l’importanza di una iniziativa volta a ricordarci come tutti e tutte noi, in quanto esseri umani, siamo ospiti di questa Terra e non suoi padroni indiscussi. Questo deve essere un insegnamento per tutti. I governi rispecchiano le società che li votano, dunque non può esserci sensibilità ambientale, da parte di chi sta nelle stanze dei bottoni, qualora non ve ne sia da parte di chi in quelle stanze lo mette con la propria preferenza al seggio.

Esiste una vasta narrativa che mira all’educazione ambientale. Ci sentiamo di consigliare qualcuno di questi volumi all’interessato lettore di questo articolo. Suggeriremo, nel prossimo paragrafo, un paio di volumi destinati ad una platea di lettori adulta oltre a due libri che hanno un target più giovane, in quanto puntano a sensibilizzare l’infanzia. Auspichiamo che, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, questi interessanti volumi possano trovare nuovi lettori.

Ambiente e biodiversità, alcuni consigli di lettura

Un buon punto di partenza per documentarsi sui temi promossi dalla Giornata Mondiale è il libro scritto da Al Gore, Verità al potere. L’ex candidato alle presidenziali statunitensi è da tempo in trincea nella lotta al cambiamento climatico. In questo libro ci mostra con grande chiarezza, poiché ce n’è ancora bisogno, come la crisi ambientale sia ormai un fenomeno reale, innegabile anche dal più ottuso tra i negazionisti. Gore rimarca anche come rassegnarsi ed abbandonarsi a questa realtà non giovi a nessuno. La lotta ci riguarda tutti, nessuno escluso, anche in questo momento: come dice l’autore: “a questo punto della battaglia rimangono solo tre domande: dobbiamo cambiare? Possiamo cambiare? Cambieremo?”

Un altro importante alfiere nella sfida al cambiamento climatico è Luca Mercalli, noto climatologo e divulgatore scientifico. Il suo libro si intitola Il clima che cambia. Mercalli si prende il tempo necessario a spiegare come il riscaldamento globale sia un pericolo ed una minaccia globale, dopodiché si preoccupa di illustrare come ci si debba comportare per contrastarlo. Gli ecosistemi da cui dipendiamo sono a rischio collasso ed è ormai urgente intervenire con azioni efficace. La prima edizione del volume risale al 2009, da allora però l’autore si è sempre premurato di aggiornarlo, alla luce dei molteplici aggiornamenti provenienti dalla ricerca e dai negoziati internazionali.

Per bimbi e ragazzi

Per quanto riguarda i più piccoli, invece, a loro consigliamo Attenti al clima, di Andrea Vico e Lucia Vaccarino. Lilia, Vanessa e filippo, i tre protagonisti del volume, impareranno che per salvare il pianeta dal nefasto destino cui sta andando incontro occorre fare squadra e coinvolgeranno genitori, amici e insegnanti nella lotta. Nel corso della loro avventura, spiegheranno dettagliatamente, in parole semplici, che cosa comporti il cambiamento climatico, cosa significhi l’effetto serra e come sia possibile ridurre l’inquinamentoAttenti al clima è parte di una collana di 4 volumi intitolata, non a caso, Salvamondo.

Dal momento che il tema centrale della Giornata Mondiale dell’Ambiente 2020 è la biodiversità, come non includere in questi consigli di lettura lo splendido Libro dei Fiori, di Yuval Zommer, illustratore ambientalista. Si tratta di un volume magnificamente illustrato, capace di istruire il lettore sulla botanica e sulle meraviglie dei fiori, includendo anche piante carnivore e ninfe giganti. Il libro è indicato a partire dai 6 anni ma include numerose curiosità che sanno appagare anche un pubblico adulto.


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L'articolo Giornata Mondiale dell’Ambiente, a difesa della biodiversità sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

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