Sacco-Vanzetti

I nomi di Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti occupano un posto di riguardo nella cultura di massa italiana e nell’immaginario collettivo nazionale, a seguito della loro ingiusta esecuzione, triste vicenda dagli Stati Uniti dei roaring twenties, i ruggenti anni ’20 del secolo scorso. In quel decennio la società statunitense visse un periodo di sviluppo e rinascita, assimilabile a quella Belle Epoque che caratterizzò l’Europa fino allo scoppio della Grande Guerra. Eppure l’ombra dell’esecuzione di Sacco e Vanzetti ne oscurò una parte, aprendo interrogativi ancora attuali sulla pena di morte e la violenza di stato.

La migrazione

Nicola Sacco da Torremaggiore (Foggia) giunge negli USA nel 1909, sbarcando a Boston. Bartolomeo Vanzetti da Villafalletto (Cuneo), in quei giorni di aprile è già in America da circa un anno, avendo raggiunto New York a giugno 1908. I due non si conoscevano ma avevano un tratto in comune, non trascurabile: erano due anarchici.

Sacco era figlio di agricoltori e andò negli States a cercar fortuna, trovando lavoro a Milford, in Massachusetts, come operaio in un calzaturificio. Si stabilì in città dove si sposò ed ebbe due figli. Nonostante i turni da 10 ore al giorno in fabbrica, difficilmente si perdeva una manifestazione operaia. Era molto attivo nella sua union e teneva regolarmente discorsi per l’aumento del salario e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Nel 1916 fu arrestato proprio per questo motivo: lo si giudicava un agitatore.

Vanzetti viveva in condizioni economiche migliori ma l’improvvisa scomparsa della madre lo colpì molto, deprimendolo e portandolo sull’orlo della follia, tanto vi era legato. La sua migrazione fu dovuta all’esigenza di cambiare vita e distanziarsi da quell’evento. Accettò ogni tipo di lavoro, spostandosi continuamente all’interno della federazione. Avido lettore di Marx, Tolstoj e anche Dante – tra gli altri – spirito ribelle e indipendente, guidò nel 1916 uno sciopero contro la casa automobilistica Plymouth e, in seguito, nessuno volle più assumerlo. Per tal motivo si mise in proprio, operando come pescivendolo itinerante.

L’incontro

Nel 1916 i due si conobbero entrando a far parte di un gruppo anarchico composto da italoamericani. Poi scoppiò la Grande Guerra e il gruppo scappò in Messico, per evitare la chiamata alle armi. Nessun’onta è infatti maggiore, per un anarchico, del dover uccidere e morire per questo o quell’altro Stato. Al termine del conflitto, i due tornarono insieme in Massachusetts. Quel che non sapevano, era che il Ministero di Giustizia li aveva inseriti in una lista di sovversivi, dunque Sacco e Vanzetti erano a quel punto ufficialmente nemici del Paese e, da prassi, i servizi segreti presero a pedinarli. L’America di Sacco e Vanzetti mal sopportava il diverso, lo straniero, il progressista militante di estrema sinistra. Proprio come accade negli Stati Uniti di oggi.

Su quella stessa lista si leggeva anche il nome di Andrea Salsedo, un tipografo originario di Pantelleria. Quel che restava del corpo di Salsedo fu ritrovato a terra, alla base del grattacielo Park Row Building ove ha sede il Bureau of Investigation, antenato dell’FBI, il 3 maggio 1920. Il BOI aveva sede al quattordicesimo piano e – a quanto pare – dopo diversi giorni di detenzione al suo interno, decise di andarsene passando dalla finestra. L’FBI ha sempre dichiarato che Salsedo si suicidò. Il Dipartimento di Giustizia e la Polizia di New York continuano a negare ogni tipo di responsabilità nella vicenda.

L’arresto

A seguito della morte di Salsedo, Vanzetti organizzò una protesta. La manifestazione doveva tenersi a Brockton, Massachusetts – la città dei campioni, fucina di atleti di successo tra cui the Marvelous Marvin Hagler e Rocky Marciano – il 9 maggio. Sacco e Vanzetti, però, furono arrestati prima.

Nei giorni successivi all’episodio presso il Park Row Building, i due anarchici italiani furono trovati in possesso di una pistola semiautomatica e un revolver, con relative munizioni. In maniera piuttosto sommaria e frettolosa, Sacco e Vanzetti furono accusati di una rapina a mano armata avvenuta in un sobborgo di Boston, presso Slater and Morrill Shoes, nella quale restarono uccisi Frederick Parmenter, cassiere del calzaturificio rapinato, e Alessandro Berardelli, guardia giurata che prestava servizio presso la ditta. Entrambi erano stati assassinati a colpi di pistola.

Non è mai stato dimostrato ma è parere diffuso che, alla base del verdetto di condanna, vi furono pregiudizi di tipo politico e razziale. Ricordiamo infatti che, in quel periodo, procuratore generale degli Stati Uniti era il famigerato Alexander Mitchell Palmer, quello dei Palmer Raids per intenderci. Il suo principale risultato politico fu quello dell’espulsione sommaria di oltre 10.000 immigrati sospetti di essere sovversivi comunisti, Spesso e volentieri, la loro unica colpa era quella di non essere in grado di parlare correttamente la lingua inglese e non appartenere allo status quo WASP che, da sempre, regola e governa l’America. Era consuetudine, in quel periodo, calpestare le più basilari libertà individuali e ogni principio di giustizia in nome della sicurezza nazionale. Negli Usa della Red Scare, la psicosi nota in Italia come paura rossa che ha caratterizzato gli States dopo la vittoria comunista nella Rivoluzione d’Ottobre del 1917, le persecuzioni contro il diverso erano cronaca quotidiana.

Teniamo comunque a mente che le armi trovate in possesso dei due uomini presentavano una buona rilevanza indiziaria. La semiautomatica era balisticamente compatibile con l’arma utilizzata durante la rapina. Inoltre il revolver era dello stesso tipo di quello sottratto alla guardia giurata uccisa e sparito dalla scena del crimine.

Sentenza e protesta

Sacco e Vanzetti non si consideravano comunisti. Il cuneese non aveva neppure precedenti penali, eppure le autorità statunitensi consideravano i due militanti radicali. Il loro coinvolgimento in scioperi, agitazioni politiche e propaganda contro la guerra li aveva resi tali agli occhi dei potenti.

I due italoamericani si ritenevano vittime di pregiudizi sociali e politici. Il giudice Webster Thayer, incaricato di esprimersi sul loro caso, definì Sacco e Vanzetti due bastardi anarchici, senza mezze parole, all’interno di un tribunale federale. In fin dei conti, i due immigrati erano un perfetto capro espiatorio nonché un importante test per esaminare il polso dell’opinione pubblica statunitense. Si trattava di due migranti con una comprensione imperfetta della lingua inglese, noti per difendere idee politiche assolutamente radicali negli States. Palmer non poteva desiderare agnelli sacrificali migliori. Il tribunale condannò Sacco e Vanzetti alla pena di morte su sedia elettrica.

Dopo l’emissione della sentenza, prese il via una partecipata protesta a Boston, di fronte al Palazzo del Governo. Essa andò avanti fino alla data dell’esecuzione, a oltranza, eppure non servì a convincere il governatore dello Stato del Massachusetts, Alvan Fuller, a impedire l’esecuzione. Il politico si limitò a istituire una commissione per riesaminare le prove. La commissione confermò la condanna. Il corteo di protesta partiva dall’edificio governativo e giungeva di fronte alla prigione di Charlestown, la quale ospitava Sacco e Vanzetti. Il governo schierò polizia e guardia nazionale di fronte all’accesso del carcere, sul muro di cinta vi erano mitragliatrici puntate sui manifestanti.

Il fronte per Nick e Bart

Numerose voci si alzarono a favore dei due condannati. Molte arrivarono dall’Italia. Nel nostro Paese l’opinione pubblica si schierò apertamente con i due anarchici, governo fascista compreso. Lo stesso Benito Mussolini riteneva il tribunale americano pregiudizialmente prevenuto e, fino al 1927 attivò il Ministero degli Esteri, l’ambasciatore italiano a Washington e il console a Boston per ottenere una revisione del processo. Nessuno fu ascoltato.

Anche molti intellettuali internazionali presero le difese di Sacco e Vanzetti: Bertrand Russell, George Bernard Shaw, Albert Einstein, Dorothy Parker, John Dewey, Upton Sinclair, Herbert George Wells e il premio Nobel Anatole France – il quale paragonò la vicenda dei due anarchici al famigerato affaire Dreyfus – anch’essi senza alcun successo. Nick e Bart, come venivano affettuosamente chiamati da chi simpatizzava per loro, furono uccisi il 23 agosto 1927.

L’esecuzione segnò l’inizio di ferventi proteste a Londra, a Parigi e in Germania. Una bomba, la cui matrice era probabilmente anarchica, devastò l’abitazione del giudice Thayer, nel 1928. Egli non era in casa, restarono ferite sua moglie e una domestica.

I comuni di origine dei due hanno dedicato vie e una scuola ai due anarchici, sostenendo Vincenzina Vanzetti nella sua fondazione del comitato di riabilitazione di Nicola Sacco e suo fratello, Bartolomeo Vanzetti. Finalmente, 50 anni esatti dopo l’esecuzione, il 23 agosto 1977, Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, emanò un proclama che riabilitava i due uomini dopo l’accusa degli omicidi al calzaturificio. “Io dichiaro che ogni stigma e ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.” Affermò Dukakis. Tale dichiarazione, naturalmente, non costituisce in alcun modo una dichiarazione della loro innocenza.

Una campagna di Amnesty International, lanciata nel 2016 per tutelare i diritti umani nel mondo, è stata dedicata alla memoria di Sacco e Vanzetti.

Per approfondire

Esistono svariati tributi alla memoria dei due anarchici nel cinema e nella musica, tra i più noti ricordiamo lo speciale The Sacco – Vanzetti Story, curato da Reginald Rose per la NBC nel 1960; il film di Giuliano Montaldo del 1971, intitolato Sacco e Vanzetti; la canzone di Ennio Morricone, Here’s to you, cantata da Joan Baez e quella di Francesco De Gregori e Giovanna Marini, Sacco e Vanzetti. Numerosi sono anche i libri che trattano della loro triste storia, ne segnaliamo di seguito alcuni:

  • I miei ricordi di una tragedia familiare. Sacco e Vanzetti, di Maria Fernanda Sacco, 2010, Malatesta editore.
  • Non piangete la mia morte, di Bartolomeo Vanzetti, 2017, Edizioni Clichy
  • La marcia del dolore – I funerali di Sacco e Vanzetti – Una storia del Novecento, di Luigi Botta, 2017, Nova Delphi Libri

 


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