Articoli | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ Passaggi Festival. Libri vista mare Thu, 10 Sep 2020 10:03:14 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.5.1 https://2020.passaggifestival.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-nuovo-logo-passaggi-festival_rosso-300x300-1-32x32.jpg Articoli | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ 32 32 Costanza Rizzacasa D’Orsogna: un romanzo crudo e autentico https://2020.passaggifestival.it/romanzo-crudo-costanza-rizzacasa-dorsogna/ Thu, 10 Sep 2020 10:03:14 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75556 Nella seconda giornata di Passaggi Festival si è tenuto l’incontro della Rassegna di Saggistica (e non solo), che ha visto protagonista Costanza Rizzacasa D’Orsogna autrice di Non superare le dosi consigliate (Guanda). La scrittrice ha conversato con Flavia Fratello, giornalista di La 7 e Tiziana Ragni, alias Meri Pop, di Repubblica Live, rinominate “Le signore […]

L'articolo Costanza Rizzacasa D’Orsogna: un romanzo crudo e autentico sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>

Nella seconda giornata di Passaggi Festival si è tenuto l’incontro della Rassegna di Saggistica (e non solo), che ha visto protagonista Costanza Rizzacasa D’Orsogna autrice di Non superare le dosi consigliate (Guanda). La scrittrice ha conversato con Flavia Fratello, giornalista di La 7 e Tiziana Ragni, alias Meri Pop, di Repubblica Live, rinominate “Le signore della San Francesco”.

Il primo romanzo: la forza di Matilde

Costanza Rizzacasa D’Orsogna scrive sul Corriere della Sera e sul supplemento La Lettura. Non superare le dosi consigliate (Guanda) è il suo primo romanzo e prende a piene mani dalla sua autobiografia, che ha molto da condividere con la protagonista Matilde. Anche lei infatti da piccola prendeva il lassativo Dulcolax per i suoi problemi di peso, su indicazione della madre bulimica.
Matilde è una bambina sovrappeso, presa in giro da tutti. A diciotto anni, per una forma di ribellione, rifiuta il cibo e da 80 kg passa a 40 kg. Poi per una serie di vicende, tra cui una relazione amorosa tossica, arriva a 130 kg, anzi 131 kg. Questo romanzo è una storia cruda, senza un lieto fine, ma durante il percorso mette a confronto noi stessi con certi fantasmi, perché ognuno di noi ha avuto a che fare con l’accettazione di sé e degli altri. Ogni pagina arriva come un pugno diritto allo stomaco. Non è detto che il lieto fine sia quello che ci aspettiamo, forse c’è comunque, ma diverso. Non ci sono eroi, né vincitori ma tutto il romanzo ha una grandissima forza, che permea ogni riga e che emerge quando Matilde sembra avere toccato il fondo ma qualcuno le scava ancora più a fondo.

Le differenze tra autrice e protagonista

Spesso non c’è nella vita un momento in cui si dice basta, anzi si va avanti senza rendersi conto di quanto si è forti. Costanza e Matilde sono vicine da bambine, poi da adulte hanno alcune cose simili ma le reazioni sono diverse perché nell’autrice c’è una certa presa di coscienza. A Matilde infatti manca quel fervore analitico di studiare ogni aspetto oppure la ricchezza di essere bilingue, che sono aspetti che hanno aiutato Costanza. Matilde è più persa nella sua condizione reale, annaspa e nemmeno si rende conto di essere forte.

Un romanzo “il più autentico possibile”

Costanza Rizzacasa D’Orsogna voleva creare un romanzo il più autentico possibile, dicendo tutto su ciò che prova una bambina a cui si dà il Dulcorax e che di notte va in bagno quindici volte. Per farlo aveva degli strumenti in più rispetto ad altre persone, ad esempio una madre bulimica. Al tempo della madre tali disturbi dell’alimentazione non erano riconosciuti, non avevano nemmeno un nome. Se non si sa nemmeno di cosa si soffre non si ha nemmeno un punto di partenza per guarire, né un piano d’azione.
Il romanzo rispecchia a pieno l’idea dell’autrice, cioè di narrare ciò che si prova quando si ha un peso di 131 kg. L’idea principale non è quindi quella di fare l’attivista o di promuovere certe tematiche come il body shaming, però questa parte ha preso un po’ il sopravvento sul suo intento letterario, sulla poesia che voleva creare, anche citando autori americani poco diffusi.

I problemi alimentari: la ribellione

Il libro non ha un finale positivo perché i disturbi alimentari sono qualcosa che rimane tutta la vita, cioè anche se si guarisce e si migliora il rapporto con il cibo, si rimane vulnerabili. Eppure la forza ad un certo punto arriva. Costanza tiene sull’inserto settimanale Sette del Corriere della Sera una rubrica che si chiama “anyBody- Ogni corpo vale”. Ogni settimana le scrivono tante persone, che gridano di avere un problema e di volerlo esternare senza vergognarsene. Questo capita a chi è stanco di essere discriminato e a chi è stato rinchiuso per tanto tempo e finisce con il non poterne più. Perché sarebbe bello che le persone non si rinchiudessero o nascondessero, ma convivessero con il loro problema magari cercando di risolverlo, ma non rinunciando alla vita sociale.
Questa voglia di ribellione si manifesta in diversi modi: persone che non usano più filtri nelle foto su Instagram, oppure il movimento #METOO che è un nuovo femminismo, volto a dire basta ad una serie di comportamenti inaccettabili di violenza sessuale e sopruso. Di questa tipologia sono anche alcuni movimenti diffusi negli USA come la Body Acceptance o Fat Acceptance. Sono tra l’altro movimenti che entrano nel romanzo quando Matilde attraversa la fase in cui è 131 kg.

Alcuni dati

In una ricerca condotta da Harvard, si è stimato che negli ultimi dieci anni i pregiudizi contro gli omosessuali e la razza sono diminuiti o rimasti uguali, mentre quelli contro le persone grasse sono aumentati. Spesso vi è una sorta di ultima spiaggia, che è quella in cui la persona consiglia come dimagrire alla persona grassa e poi si supera il limite e certe parole diventano invalidanti.
La stessa medicina a volte confondono il disturbo delle abbuffate incontrollate (Binge Eating Disorder) con l’obesità, ma quest’ultima è solo un sintomo, il cibo è solo uno strumento.

La diversa visione dell’anoressia

Una persona magra, che ha problemi a mangiare viene identificata come una persona in difficoltà e suscita un sentimento di pena. Chi è obeso invece suscita repulsione e non ha la giusta attenzione.
Le percentuali di persone anoressiche sono le stesse in Italia e in America, ma nel nostro paese è diventato una moda, quasi uno stile di vita, visto con benevolenza. Questo crea il doppio nel male nella persona che ne soffre.
A volte comunque vi è discriminazione anche per le persone troppo magre, come nel caso di Elodie a Sanremo. L’eccessiva magrezza resta però un ideale, mentre l’obesità non lo sarà mai.
L’eccezione è la Mauritania dove le giovani promesse spose vengono fatte ingrassare, però con serie conseguenze sulla propria salute, perché rimpinguate di cibo nei mesi precedenti il matrimonio.

Gli uomini di Matilde

Meri Pop, blogger dei cuori infranti, si è soffermata sulla tipologia di uomini incontrati dalla protagonista del libro, Matilde. Ad un certo punto ci si chiede se è una sfortuna incontrare certe persone o se sono le stesse donne che si svalutano così tanto da accettare tutto, chiunque rivolga un accenno. D’altronde il cibo è solo un mezzo per saziare una fame d’amore. L’amore che la famiglia opprimente di Matilde, che la indirizza verso la carriera, non le sa dare. Su di lei si riversano le aspettative che i genitori non hanno realizzato. Una mamma che non riesce a dirle ti voglio bene, ma la chiama cretina e che solo una volta per mail, quando è in America, le manda una dimostrazione d’affetto che però non può sanare anni ed anni di un rapporto di critica.
Questo affetto non ricevuto dalla famiglia lo richiede agli uomini che incontra. Molti di questi sono narcisisti patologici, concentrati su di sé e con il desiderio di distruggerla. Sono persone che nei momenti di soddisfazione vogliono buttarla giù. Ma tanti altri sono uomini comuni che semplicemente non riescono a darle il tipo di amore di cui lei ha bisogno e fuggono, ma senza cattiveria.

La visione della madre

Nonostante la madre sia un peso terribile nella vita di Matilde, lei la capisce. Capisce che è una donna che ha rinunciato al suo sogno di fare la scrittrice accontentandosi di un lavoro in banca, una donna che soffre e verso cui Matilde non prova odio o rancore. C’è una sorta di volontà di perdonare e comprendere chi le fa del male volontariamente. Anche Costanza, scrivendo le prime pagine del romanzo, ha provato queste sensazioni. Le ha scritte di getto, 75 pagine che equivalgono ad una seduta psicoanalitica liberatoria, frutto quindi di ricordi di bambina ma che ha potuto sviscerare a fondo grazie al tempo trascorso. Sua madre era una donna che stava male, ma all’epoca non si sapeva nemmeno cosa fosse la bulimia. A 14 anni come figlia si sentiva colpa della rovina di sua madre. Il tempo le ha permesso di trovare la pace, la non rabbia e una maggior consapevolezza. Per anni non ha capito la madre, ma dopo molto tempo è riuscita a capire la sua sofferenza. Si è vergognata quindi di ciò che provava e ha cambiato il suo punto di vista.

Gli Stati Uniti: un mondo che offre a tutti delle possibilità

Vivendo per tanto tempo negli Stati Uniti Costanza si è resa conto del diverso modo di intendere l’istruzione. Negli Usa ogni persona è libera e trova il suo posto e soprattutto ogni aspetto della persona deve essere nutrito: la matematica è importante per uno scrittore e la letteratura è fondamentale per un fisico o un matematico. Questo tipo di rapporto con le varie discipline non esiste in Italia, non si nutre in toto la persona. Noi idealizziamo il talento e pensiamo che solo possedendolo si possa raggiungere qualcosa. Invece in America c’è la concezione che se ci si impegna si può ottenere tutto.

L’autrice ha concluso l’incontro leggendo alcune pagine del suo libro, dalle quali emerge lo stile del romanzo:

“Non c’è un problema che un farmaco non curi, mamma lo dice sempre. A casa nostra non si parla, si prendono medicine. Così lei mi dà il Dulcolax ogni sera perché sono una bambina grassa. Due compresse, quattro, otto. E io non so che legame ci sia tra il Dulcolax e una bambina grassa, visto che non dimagrisco, tra i lassativi e la bulimia di mia madre, che è magra scarna e il Dulcolax lo sgrana direttamente in bocca, due-tre blister al mattino, e mangia tutto ciò che vuole, e poi va a vomitare. Due dita in gola, finché non torna su, ma a lei ritorna subito. Due dita in gola, è così facile, mi dice. M’incoraggia. Non mi ha insegnato a truccarmi, ma mi ha insegnato a vomitare.”

L'articolo Costanza Rizzacasa D’Orsogna: un romanzo crudo e autentico sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Ritanna Armeni: Mara, il simbolo delle donne nell’Italia fascista https://2020.passaggifestival.it/ritanna-armeni-rivoluzione-silenziosa-donne-durante-fascismo/ Thu, 10 Sep 2020 10:01:47 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75458 Venerdì 28 Agosto, all’interno della Chiesa di San Francesco, la giornalista e scrittrice Ritanna Armeni ha presentato il suo ultimo romanzo: Mara. Una donna del Novecento, edito da Ponte alle Grazie. L’autrice ha conversato con Flavia Fratello (La7) e Tiziana Ragni (Repubblica Live). Una narrazione diversa La genesi di questo libro per tanti aspetti geniale, […]

L'articolo Ritanna Armeni: Mara, il simbolo delle donne nell’Italia fascista sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>

Venerdì 28 Agosto, all’interno della Chiesa di San Francesco, la giornalista e scrittrice Ritanna Armeni ha presentato il suo ultimo romanzo: Mara. Una donna del Novecento, edito da Ponte alle Grazie. L’autrice ha conversato con Flavia Fratello (La7) e Tiziana Ragni (Repubblica Live).

Una narrazione diversa

La genesi di questo libro per tanti aspetti geniale, un romanzo di formazione alternato a pagine di puro saggio storico, deriva da una riflessione della stessa autrice: “la storia delle donne spesso si incrocia ma non coincide mai con quella degli uomini, degli stati e dei popoli”. Questa idea nasce dall’esperienza di Ritanna Armeni in tanti anni passati a lottare per le pari opportunità, varie letture, e soprattutto, dall’ascolto dei racconti di donne anziane che hanno vissuto, spesso anche da protagoniste, l’esperienza fascista. La storiografia ci ha spesso mostrato lo stereotipo della donna in epoca fascista: donne sottomesse, “madri fattrici” che dovevano stare in casa a prendersi cura della casa e dei tantissimi figli. Le storie raccontate in prima persona da queste donne, invece, nascondevano una certa nostalgia, l’idea di aver vissuto un momento particolare.

Il sogno di Mara

La protagonista di questa storia è, come suggerisce il titolo, Mara, una ragazzina che nel 1933, all’apice del periodo fascista, ha tredici anni e che seguiamo crescere fino all’età di venticinque anni. Come tante donne e ragazzine del tempo, Mara è innamorata della figura del Duce e come la sua migliore amica, Nadia, è una fascista convinta. Nonostante questo, però, Mara ha dei sogni, coltiva delle ambizioni, vuole studiare e fare l’università, desideri che non si addicono all’immagine della donna fascista. Questa però, non è una storia di ribellione ma è una storia comune a quella di molte donne dell’epoca, che non solo subiscono la fascinazione del fascismo, ma nel fascismo, in parte, trovano una possibilità di crescita ed emancipazione.

La contraddizione del fascismo

Il regime fascista punisce le donne, le umilia. Le donne venivano viste come cittadine di serie B, dotate di poca intelligenza e quindi non dovevano studiare, insegnare e nemmeno fare sport poiché dovevano preservare il proprio corpo per non compromettere la fertilità. Mussolini avvia un programma di crescita demografica spingendo le donne a fare sempre più figli. Il regime definisce addirittura le misure delle donne per questo scopo. La donna ideale fascista era la madre, la donna fedele, la vedova inconsolabile, la vestale del fascio ecc.. Da un’altra parte però, il fascismo esaltava la figura della donna indipendente, che aveva il controllo del proprio corpo e del proprio fisico. Le donne venivano addirittura sollecitate a fare ginnastica, indossando calzoncini e maglie aderenti, e a partecipare alle manifestazioni. Il regime, inoltre, si preoccupava del consenso delle donne, a differenza dei padri del rinascimento, per cui la donna non esisteva affatto.

La rivoluzione silenziosa

Mara e tutte queste donne ricevono, perciò, tanti messaggi contraddittori e la loro risposta a queste sollecitazioni è quella di avviare una rivoluzione silenziosa, che non nasce dalla voglia di disobbedire e di ribellarsi al regime, ma proprio da queste due immagini contraddittorie di donna che il fascismo propugnava. Mara non si sente una ribelle, si sente soltanto parte di un flusso. Le donne non potevano fare sport, eppure proprio durante il fascismo, Trebisonda Valli (detta Ondina) è la prima donna a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi. Mussolini è costretto a riceverla, poiché per le donne, Ondina era il simbolo, l’incarnazione della donna fascista. La donna non era adatta a studiare, eppure le iscritte alle università di tutta Italia triplicarono. Tutti gli sforzi di Mussolini per la crescita demografica del popolo italiano fallirono in modo clamoroso. Il Duce addirittura sarà costretto ad ammettere questo fallimento dovuto a «problemi morali», le donne indipendenti avevano scelto di fare meno figli.

La guerra e la fine del regime

L’esperienza disastrosa della guerra e la fine del regime vengono vissute in maniera molto attiva ed intensa dalle donne. Queste vedono prima di altri il fallimento del regime, anzi, secondo Ritanna Armeni il fascismo finisce proprio quando le donne capiscono che è finita. Si rompe il sentimento di fiducia e di amore che le donne provavano per il Duce. Quest’ultimo non voleva che le donne lavorassero, eppure ora le donne erano costrette sia a lavorare che a badare alla casa. Le donne sono quelle che hanno retto l’Italia in quegli anni, lavorando e badando ai figli, combattendo la fame e la miseria. Esse attendono invano il ritorno dei propri figli, li vedono perseguitati dai propri compatrioti e dai tedeschi, vivono in prima persona la crisi dell’economia domestica e la delusione della speranza che il fascismo avrebbe portato un futuro straordinario.

“ Il racconto di Mara è il racconto di una ragazza normale, non un’eroina, è quello del novantacinque per cento delle donne italiane: tutte abbiamo avuto una mamma, una nonna che era contenta di uscire il sabato e sfuggire dal controllo del nonno. Mara rappresenta tutte.”

Riflettere sul presente

Lo scopo di Ritanna Armeni nello scrivere il libro non è stato quello di una rivalutazione storica o di una conversione ideologica di una donna di sinistra. La chiave di lettura del romanzo sta proprio nella particolarità della storia delle donne, che in questo caso si intreccia con quella del fascismo in Italia ma non coincide con essa. Il 25 Aprile le donne, fino ad allora oppresse, sono diventate il simbolo dell’Italia che nasceva. Tesi poco credibile secondo Ritanna Armeni. La democrazia ha dato spazio al chiasso delle donne ma non è stato un cammino così fulgido come spesso la storiografia lo descrive. Tante leggi ineguali e spesso disumane sono rimaste in vita ben oltre la date della liberazione d’Italia, penalizzando e spesso umiliando le donne. Questo romanzo perciò, mira anche a far riflettere riguardo il presente e il ruolo della donna nella società odierna, soprattutto in questo momento particolare di pandemia, dove chi si è dovuto maggiormente sacrificare e restare in casa sono state proprio le donne.

 

L'articolo Ritanna Armeni: Mara, il simbolo delle donne nell’Italia fascista sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Da Rosalind Franklin a Margaret Hamilton, la scienza si fa donna https://2020.passaggifestival.it/aperitivo-universita-camerino-donne-scienza/ Tue, 08 Sep 2020 08:37:58 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75132 Il resoconto dell'incontro con Barbara Re dell'Università di Camerino su donne e scienza.

L'articolo Da Rosalind Franklin a Margaret Hamilton, la scienza si fa donna sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
calici-di-scienza-barbara-re

Tre storie appassionanti di tre donne appassionate. Una la passione in comune: la scienza.
Così è cominciato l’incontro organizzato dall’Università di Camerino, il cui scopo era appunto quello di ricordare le storie di tre donne che si sono sapute distinguere nell’ambito scientifico. Una storia per ricordare, una per comprendere ed una per costruire.

Le ricerche ci mostrano come solo il 28% dei ricercatori mondiali di oggi sia donna. Un numero che fa riflettere e che deve essere aumentato, soprattutto lavorando sulla valorizzazione del merito. Non si tratterebbe di una manovra positiva solamente per le donne impegnate in campo scientifico, ma sarebbe un ricavo ed una spinta per l’economia mondiale. I dati ci dicono che questa percentuale è destinata a mutare nei prossimi centootto anni e ciò ci porterà a colmare il gap che si cela dietro questo 28%. Non si possono però attendere centootto anni: dobbiamo superare lo stereotipo che ci porta ad affermare con assoluta certezza che la scienza non sia donna e che le donne non possano dunque fare ricerca. Il fisico ed il chimico non sono lavori prettamente maschili, così come la maestra non è un’occupazione esclusivamente femminile.
Gli stessi Stati Uniti d’America nella loro lista dei diciassette obiettivi da raggiungere per lo sviluppo sostenibile hanno inserito l’aumento dell’occupazione femminile.

Per ricordare

La prima storia è quella di una donna a cui non venne riconosciuto il merito dovuto: Rosalind Franklin.

Rosalind nasce a Londra nel 1920 da una famiglia ebraica. Appassionata di scienze, chimica e matematica fin da giovane riesce a vincere diverse borse di studio fino a quando accede all’università di Cambridge ed inizia ad interessarsi alla struttura dei cristalli.

Presto si inserisce in un gruppo di ricerca insieme ai noti Watson e Crick che però la vedono solo come un’assistente. Nasce un doloroso rapporto-scontro con i colleghi uomini, soprattutto con Watson, dovuto al desiderio maschile di prevalere. Quando si arriva alla pubblicazione della scoperta della doppia elica del DNA (che valse un Nobel ai colleghi Watson e Crick) il riconoscimento che le si sarebbe dovuto attribuire purtroppo non venne ed anzi, a causa delle radiazioni pericolose delle ricerche effettuate Rosalind si ammalò di cancro e morì alla giovanissima età di trentotto anni. Quello di Rosalind fu un amore viscerale e disinteressato per la scienza, tanto che ella continuò a lavorare anche dopo che le fu diagnosticato il cancro. La sua storia va ricordata perché ci insegna a non darsi per vinti anche quando tutto sembra remarci contro e soprattutto ci insegna che in campo scientifico non esiste un sesso migliore dell’altro: la conoscenza e la competenza vanno riconosciute per quello che sono.

Per comprendere

La seconda è invece la storia di una grande informatica: Margaret Hamilton. Grazie a lei è stato possibile rendere reale quello che sembrava essere solo un grande sogno, l’atterraggio sulla luna. Armstrong stesso in un’intervista ha detto che senza lei l’allunaggio non sarebbe stato possibile. Il 20 luglio del 1969 la navicella di Neil Armstrong ebbe qualche problema tecnico durante la fase d’atterraggio: l’intervento di Margaret non solo permise di portare a termine la missione, ma ha anche contribuito allo sviluppo dei moderni sistemi operativi. Il contributo che Margaret Hamilton ha dato alla scienza a portato alla nascita della cosiddetta “ingegneria del software”. Il 22 Novembre del 2016 Margaret Hamilton ha ricevuto dall’allora Presidente degli Stati Uniti Barak Obama, la Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza che possa essere data ad un civile americano, per il suo fondamentale contributo nelle missioni Apollo.

Per costruire

L’ultima storia è quella di Serena, ex studentessa dell’Università di Camerino. Da sempre interessata all’ambito della tecnologia, Serena ha potuto fare un’esperienza in azienda arrivando a toccare con mano il mondo dell’energia. Ha affermato di “studiare cose che non esistono”, poiché la scienza dà la possibilità di guardare oltre il confine, di immaginare soluzioni che oggi non ci sono. Il suo interesse è rivolto principalmente agli algoritmi applicati all’ottimizzazione energetica.
Serena ora si trova in Belgio dove ha vinto una borsa di studio per completare il suo dottorato. L’augurio che Passaggi le fa, ed in generale l’augurio dell’intero mondo della scienza, è che possa non perdere mai la sua passione e dare vita a qualcosa di utile e unico di cui si continuerà a parlare nel corso del tempo.

L'articolo Da Rosalind Franklin a Margaret Hamilton, la scienza si fa donna sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Stefano Pivato: la storia d’Italia attraverso la bicicletta https://2020.passaggifestival.it/stefano-pivato-storia-italia-attraverso-bicicletta/ Mon, 07 Sep 2020 10:30:31 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75437 L'opera di Stefano Pivato traccia un affresco dell'Italia attraverso la bicicletta. La sua ricerca è racchiusa nel libro Storia sociale della bicicletta (Marsilio), che ha presentato con Chiara Grottoli al Bon Bon Art Café di Fano in occasione della rassegna Buongiorno con Passaggi. Libri a colazione.

L'articolo Stefano Pivato: la storia d’Italia attraverso la bicicletta sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>

La nuova rassegna Buongiorno Passaggi. Libri a colazione, che si è svolta presso il Bon Bon Art Café, si è conclusa sabato 29 agosto con l’incontro di presentazione del libro di Stefano Pivato, Storia sociale della bicicletta (Marsilio). A dialogare con l’autore, storico ed ex Rettore dell’Università di Urbino, Chiara Grottoli, farmacista appassionata di libri e membro dello Staff di Passaggi Festival.

Ricostruire la storia attraverso la bicicletta

L’incontro si è aperto con una citazione del famoso giornalista sportivo Gianni Brera “Traverso le viti di una bicicletta si può scrivere la storia d’Italia”. Questa frase incarna l’idea del libro, cioè quella di fare un affresco della storia d’Italia a livello sociale, politico, culturale ed economico attraverso i 150 anni di storia della bicicletta. Si può pensare che il libro tratti della storia della tecnica, dell’evoluzione di quella che in fondo è una macchina. In realtà Storia sociale della bicicletta (Marsilio) è il tentativo di leggere la storia d’Italia attraverso questo strumento così particolare e di capire il rapporto del paese con la modernità. La nascita della bicicletta risale al Positivismo e le reazioni furono molteplici.

La bicicletta e i suoi cambiamenti

La bicicletta venne considerata al pari della macchina sia per la sensazione di velocità che per l’idea di libertà. Permetteva infatti di staccare i piedi dal terreno e di avere una velocità di quasi 20 km/h.
In realtà nella sua storia non è cambiata molto. Ci fu il modello senza catena, senza pedali, il biciclo con la ruota grande davanti, il modello “safety” con due ruote e una catena di trasmissione, inventato nel 1885 da un’azienda che però consigliava di frenare anche con i piedi e non affidarsi troppo ai freni della bicicletta. Nelle linee essenziali però non vi furono grosse modifiche. Eppure la sua invenzione sconvolse la società.

Donne e biciclette

Per il mondo femminile la bicicletta fu uno scandalo per due motivi.
Il primo perché permetteva alla donna di allontanarsi dal focolare domestico, considerato il luogo di cui si doveva occupare per la mentalità dell’epoca.
In secondo luogo perché vi erano storie assurde dietro: che la bicicletta fosse una forma di autoerotismo oppure che fosse poco congeniale alla gonna, tipico abito della donna. Le prime donne che indossarono la gonna pantalone a Milano vennero assediate nel 1911 in un negozio in Galleria. Il fascismo negli anni Trenta vietò alle donne di indossare il pantalone.
Anche se per le donne non vi era un divieto formale, ma più che altro di sostanza, durò per lungo tempo. Era legato anche al fatto che per guidare la bici era necessario piegarsi e quindi non indossare il corsetto, che dava una posizione rigida. Ma liberarsi di questo capo d’abbigliamento non era ben visto.
La bicicletta fu quindi una vera e propria rivoluzione antropologica, con effetti anche sulla posizione del corpo della donna. Più avanti venne prodotta una bicicletta senza canna che meglio si adattava  alle esigenze femminili. In alcune nazioni la bici fu strumento di liberazione della donna, ma le femministe italiane non volevano offendere il comune senso religioso e del pudore e quindi non diedero questo significato alla bici.

Preti e biciclette

Per i preti vi era invece un vero e proprio divieto formale di utilizzo della bicicletta, perché scomponeva l’abito, la veste che era quanto di più sacro avessero addosso. Eppure nell’archivio del Vaticano vi sono innumerevoli sospensioni a divinis e denunce verso preti che la utilizzavano. Questa infatti risultava comoda, visto che i preti avevano un territorio vastissimo da coprire e quindi potevano raggiungere prima la casa di un fedele a cui dovevano dare l’estrema unzione. Grazie al Concilio Vaticano II, negli anno Sessanta, Giovanni XXIII tolse l’obbligo della veste lunga e quindi i preti poterono andare in bici.

La politica e la bicicletta

La politica inizialmente vide nella bicicletta uno strumento di propaganda, ma poi la considerò una perdita di tempo che allontanava dall’azione politica.
Pivato sfata il luogo comune secondo cui il fascismo fosse antisportivo, perché modernizzò lo sport femminile, anche se con grande moderazione. Le donne in quanto madri dovevano fare ginnastica e prendersi cura del corpo. Il fascismo ebbe dei dissidi con la Chiesa proprio per l’incoraggiamento nei confronti dello sport femminile, che vedeva ad esempio le donne correre in pantaloncini. Si racconta però che Benito Mussolini osteggiasse il Giro d’Italia e durante le prime edizioni buttasse dei chiodi in strada per bloccarlo, perché la bici era simbolo del capitalismo e andava boicottata.
Oltre alla Chiesa anche il socialismo era contrario all’utilizzo della bicicletta, un socialismo agrario e profondamente conservatore che vedeva nella bicicletta l’allontanarsi dal partito. Vennero indette gare di lettura per allontanare i giovani dalle gare di ciclismo.
Gli unici ad intuire le potenzialità propagandistiche della bicicletta furono i futuristi, che videro velocità e modernità in questo mezzo. Lo stesso Marinetti ed altri futuristi formò il corpo volontari ciclisti e motociclisti, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Alla fine si trattò di una guerra più che altro d’opposizione e non di movimento, quindi venne ben presto sciolto. Eppure i futuristi abbracciarono l’idea della bicicletta, a differenza dei tradizionalisti.

Le gare ciclistiche: Giro d’Italia e Tour de France

L’incontro con Pivato si è svolto proprio nel giorno d’inizio dell’edizione 2020 del Tour de France. Stefano Pivato ha voluto ricordare Sergio Zavoli, morto ad inizio agosto, che ha condotto la trasmissione Processo alla tappa, che commentava il Giro d’Italia.  Inoltre era stato ospite a Passaggi Festival, nell’edizione 2013, dove aveva ricevuto il premio Passaggi.

Per quanto riguarda le differenze tra Giro d’Italie e Tour de France Alfonso Gatto sosteneva che: “Tra Tour de France e Giro d’Italia c’è la stessa differenza tra impressionisti e macchiaioli”.
L’Italia è da sempre un paese ricco di centri abitati, quindi ogni volta che passa il Giro si costruisce un’atmosfera di festa popolare. In Francia invece un quinto della popolazione vive nella capitale, quindi il Tour era considerato una processione circolare che parte dalla capitale e termina nella capitale.
La bicicletta diventa grande in Francia pur essendo nata in Inghilterra. Infatti nell’Esposizione Universale fa da protagonista insieme alla Tour Eiffel. Viene ribattezza la petit reine, la piccola regina. Il Tour è quindi sempre considerato più prestigioso del Giro. Ci fu un solo periodo in cui il Giro fu più prestigioso del Tour: i tempi di Coppi e Bartali, che costituirono una sorta di cura alle ferite lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale.  Finita questa parentesi, il Tour ha continuato a essere la corsa più rappresentativa delle due ruote. I motivi sono molteplici, forse il fatto che restituisce il senso della grandezza francese. Ma anche perché vi è un senso di riverenza nei confronti del vincitore e di rispetto nei confronti di chi perde. A volte in Francia i perdenti sono amati più dei vincitori. È l’esempio di Poulidor che arrivò cinque volte secondo, eppure viene osannato più di alcuni vincitori.

I giornali sportivi

Queste competizioni ciclistiche nascono per vendere più biciclette, ma anche più giornali. La Gazzetta dello Sport diventa quotidiano grazie al Giro d’Italia. Come storico, Pivato spesso viene criticato perché si occupa di storia dello sport. Ma questa non è affatto secondaria, basta pensare che l’Italia ancora oggi è l’unico paese in cui si pubblicano tre quotidiani sportivi, fino poco tempo fa quattro, a differenza di Paesi in cui non se ne pubblica nessuno. Lo sport in Italia è un fenomeno sociale rilevantissimo. Siamo i più grandi consumatori di sport al mondo, per cui si può parlare di storia attraverso lo sport.

Dal ciclismo al calcio

In generale in Italia la bicicletta venne accettata solo al Nord. Il più alto numero di biciclette si riscontrava in Emilia-Romagna sia perché pianeggiante, sia perché la figura principale era il bracciante che aveva una mente molto aperta e moderna. In alcune regioni, soprattutto in Meridione, si fece molta fatica ad accettarla e anche questo dimostra come non sia solo un insieme di due ruote ma molto di più.
Fino al boom economico il ciclismo risultò essere lo sport più popolare. Venne poi soppiantato dal calcio e a questo contribuì l’episodio della tragedia di Superga e la morte del Gran Torino, che crearono la prima grande emozione collettiva dell’Italia nel dopoguerra.
Inoltre tra il 1958 e il 1963 si collocò il boom economico e molte famiglie scoprirono l’andare in vacanza con la Fiat Seicento, caricando la Graziella sul portapacchi. Qui tramontò l’era della bicicletta, anche se si ebbe una piccola ripresa durante la crisi petrolifera.
Il ciclismo è sempre stato lo sport dell’uomo comune, i cui grandi campioni erano umili e permettevano un’identificazione immediata tra uomo della strada e vincitore. Tra l’altro quasi tutti i ciclisti provenivano dalle piccole città.

Scrittori e biciclette

Nell’ultimo capitolo del libro “Biciclette di carta” si parla della bicicletta nell’arte.
Alcune grandi opere sulla bicicletta sono ad esempio il libro di Alfredo Oriani che si intitola propria La bicicletta. Sono state scritte anche numerose antologie, come quelle di Guareschi o Bassani. Cesare Zavattini fu sceneggiatore del capolavoro Ladri di biciclette. Ma secondo Stefano Pivato i versi più belli sono quelli di Stecchetti, che riporta anche nel suo libro sia in italiano che in dialetto romagnolo.

La bicicletta è oggi il primo strumento del tempo libero dell’italiano perché, nonostante nacque come strumento dell’aristocrazia, è accessibile a tutti e genera sensazioni di libertà e benessere che chiunque può provare.

 

 

L'articolo Stefano Pivato: la storia d’Italia attraverso la bicicletta sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Tarrare e gli appetiti di un’intera epoca https://2020.passaggifestival.it/michele-petrucci-racconta-storia-uomo-vorace/ Fri, 04 Sep 2020 08:52:42 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75245 Ne L'Insaziabile viene raccontata con grande umanità una vicenda che di per sè non ha nulla di umano: Tarrare e la sua polifagia

L'articolo Tarrare e gli appetiti di un’intera epoca sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Petrucci Passaggi Festival

Si è conclusa ieri la Rassegna di Fuori Passaggi, con sede al Pincio e dedicata a tutti gli appassionati, e non, di fumetti e graphic novel. Protagonista è stato Michele Petrucci che assieme ad Alessio Trabacchini ha presentato il suo ultimo libro L’Insaziabile.
Si tratta di un vero e proprio fumetto storico incentrato su una vicenda tanto reale quanto incredibile. La storia che Petrucci ci racconta è una storia di violenza ed eccesso, trattata però con tanta delicatezza ed umanità.

La malattia

Siamo nella Parigi del diciottesimo secolo e per le strade della città francese si aggira uno strano personaggio: un certo Tarrare (probabilmente si tratta di uno pseudonimo). La sua vicenda è arrivata fino a noi tramite una serie, purtroppo piuttosto scarna, di documenti medici che ne hanno analizzato il caso.                                                                                                    Tarrare era infatti affetto da polifagia, ossia un impulso continuo di mangiare.
Non si trattava solamente di ingurgitare una quantità incredibile di cibo, quanto di un bisogno mai saziabile e indipendente dalla volontà di cibarsi di qualunque cosa. Così Tarrare si ritrova a mangiare animali vivi o morti che fossero, quantitativi esorbitanti di carne ed anche diversi oggetti. Immaginare la sua dolorosa vicenda in un contesto quale poteva essere la Parigi del diciottesimo secolo ci fa presto capire che egli è arrivato a vivere una vita aliena a qualunque tipo di socialità.

Una vita di spettacolo

Michele Petrucci ci ha raccontato di deputarsi un ricercatore di storie. Per lui le idee sono come pesci: bisogna scendere in profondità per ripescare quelle più interessanti. La storia di Tarrare è giunta fino a lui tramite un suo amico artista di strada che condivide con Tarrare una vita di “spettacolo”. Sì perché Tarrare, sfruttando una sua malattia, per diverso tempo si è esibito per strada. Gli spettatori si presentavano recando con sé ciò che volevano che Tarrare mangiasse: si racconta che egli abbia ingurgitato diversi serpenti ed anguille, tutti rigorosamente vivi.
Oltre i pochi documenti medici sopra citati di Tarrare non è rimasto null’altro: Michele Petrucci ha quindi sfruttato gli spazi bianchi di questa vicenda estrema, creando una biografia romanzata di un personaggio difficilmente inseribile in un contesto umano.

La sconfitta di Tarrare

Un uomo che è divenuto metafora vivente della fame ma anche testimone degli eventi storici del tempo (siamo in piena rivoluzione francese) e soprattutto uomo. Quella di essere un uomo è una caratteristica che i suoi contemporanei non gli hanno mai attribuito: Tarrare ha vissuto una vita di privazioni, di odio e di incomprensione da parte di chi lo circondava.
Il fascino che la sua storia esercita deriva dalla scabrosità della sua patologia ma anche dal contrasto tra la sua vita di ultimo e gli avvenimenti storici che ha attraversato, destinati a lasciare una traccia indelebile nel mondo.
Quella di Tarrare è la triste vicenda di uno sconfitto, parte da sconfitto e morirà tale in giovanissima età. Sconfitti sono anche i personaggi che lo circondano, soprattutto i compagni che assieme a lui compongono il circo ambulante. Michele Petrucci si è immaginato una presenza femminile nella vita di Tarrare, Clarisse. Si tratterebbe della figura da lui amata, seppure è facilmente intuibile come nella realtà storica Tarrare fosse un personaggio assolutamente a margine, senza nessuna figura positiva accanto a lui. La difficoltà maggiore è stata quella di rendere graficamente una storia così violenta, così cupa. Per questo è nata l’esigenza di mitigare la vicenda, creando una vita a questo personaggio ed inserendo addirittura una storia d’amore.

Tarrare in questo incredibile fumetto storico diventa dunque il simbolo di chi soffre, di chi è diverso e di chi non si sente accettato. Colui che diventa lo zimbello, il capro espiatorio, il φαρμακός come direbbero gli antichi greci.

L'articolo Tarrare e gli appetiti di un’intera epoca sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Sulle ali dell’amicizia con il filosofo Pietro Del Soldà https://2020.passaggifestival.it/ali-amicizia-con-pietro-del-solda-filosofo/ Fri, 04 Sep 2020 08:52:37 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75386 Un'affascinante riflessione sulla visione dell'amicizia nell'Antica Grecia, nella filosofia di Nietzsche e nell'attuale società. Pietro Del Soldà racconta l'amicizia nei suoi vari aspetti, dialogando con Carolina Iacucci nella cornice della Chiesa di San Francesco, in occasione della Rassegna di Saggistica (e non solo) di Passaggi Festival.

L'articolo Sulle ali dell’amicizia con il filosofo Pietro Del Soldà sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
La seconda giornata della Rassegna di Saggistica (e non solo) presso la Chiesa di San Francesco, si è aperta con il filosofo Pietro Del Soldà, che ha presentato il suo ultimo libro Sulle ali degli amici. Una filosofia dell’incontro (Marsilio Editore). Un libro che è un vero e proprio incontro filosofico sul valore dell’amicizia, ispirato a grandi esempi del mondo greco.
Nella splendida cornice della Chiesa di San Francesco, l’autore ha conversato con  Carolina Iacucci, insegnante e critica letteraria che fa parte dello Staff di Passaggi Festival. 

Un libro sull’incontro, nell’epoca del distanziamento

Le vicende legate a questo libro sono un po’ particolari. Innanzitutto parla del tema dell’amicizia, quindi dell’incontro dell’altro, ma in tempi in cui l’altro è un potenziale pericolo e in cui per interagire bisogna rispettare il distanziamento. Il sottotitolo – una filosofia dell’incontro – sembra quasi un monito ad evadere le regole sanitarie.
Inoltre la data di pubblicazione, 12 marzo 2020, corrisponde al giorno in cui hanno chiuso le librerie. Il libro è quindi rimasto per mesi in quiescenza, in attesa della riapertura delle librerie.
Quella tenutasi presso Passaggi Festival è di fatto la prima presentazione ufficiale.

Philia: l’amicizia per i Greci

Per il mondo greco la vera salute consiste nella philia, amicizia. Oggi invece si ritiene importante preservare il proprio io e rinunciare alle proprie amicizie, per evitare il contagio.
Pietro Del Soldà ha da sempre voluto scrivere un libro sull’amicizia, che ritiene architrave della sua esistenza. Il libro cerca di comunicare l’urgenza di un contatto più profondo, attraverso le interpretazioni di Socrate, Platone, Artistotele ma anche di filosofi meno antichi. Il contatto con il prossimo, con l’amico non è solo un aspetto marginale della vita da inquadrare in una cena o in un angolo accanto a cui poi ci sono le cose serie. Come se ci fosse una privatizzazione dell’amicizia, un diaframma che separa “le cose importanti e serie” dagli “amici”, relegandoli ad un compartimento stagno e un mero pretesto di svago per poi tornare ognuno alle proprie vite. Secondo i Greci “l’amicizia metteva in gioco le persone e consentiva loro di vivere come ‘animali politici’”. Il rapporto tra philoi era proprio il cemento della polis, come afferma Aristotele nell’Etica Nicomachea.
Oggi c’è una tendenza ad aver timore a mettersi in gioco, che con la pandemia si è poi rafforzata.

La morte di Socrate: un esempio per capire l’amicizia

Socrate ha una visione dell’amicizia un po’ particolare. L’amicizia non  è un mero rifornimento narcisistico, per gratificare il proprio io. Già l’Atene nel V secolo a.C. stava deviando dal concetto di philia: i rapporti venivano vissuti in modo edonistico, strumentale e non vi era una messa in gioco di sé nella polis. Socrate allora come una torpedine dà una scossa alla situazione incarnando una radicalità dura da sostenere, anche per i più sapienti.
La sua morte diventa un emblema della sua visione dell’amicizia. Costretto, con accuse ingiuste, a scegliere tra l’esilio o la morte, Socrate preferisce morire. Nel momento in cui si sta avvicinando la sua condanna a morte, capisce di aver fatto la scelta giusta, perché così facendo ha fatto trionfare la filosofia, sia come amore per il sapere che come conoscenza di chi è amico. Lo capisce perché con la sua scelta, grazie all’aiuto degli amici, ha messo a tacere la paura più grande: quella della morte.
Gli amici però non lo comprendono ed iniziano ad organizzare per lui una fuga, cercano di sottrarlo in tutti modi a questo destino, perché la vedono come la perdita terribile dell’amico più prezioso. Sembra molto umano questo loro disperarsi e volerlo salvare. Invece Socrate legge tutto questo come una mancanza di vera amicizia. L’amico è colui che ti aiuta a superare la paura della morte, e la tirannia che questa paura esercita su di noi, a volte costringendoci a volersi preservare a tutti i costi in vita.

Il movimento cosmico

L’amicizia non è simmetrica, né cristallizzata ma è un’energia che spinge a ricongiungerci con la materia informe e con la natura in costante movimento. La vera amicizia non è consolazione, ma una spinta all’inquietudine.
La philia ci spinge ad essere in armonia con il cosmo e in continuo movimento, a non assestarci e ad accogliere la sfida della vita. Anche il so di non sapere è una continua rimessa in discussione, rimettersi in sintonia con questo movimento cosmico.

“L’amicizia è dispersione dei tesori accumulati, è continua rimessa in gioco delle certezze consolidate, delle abitudini tranquillizzanti a cui mi verrebbe spontaneo aggrapparmi per non finire travolto dall’onda di piena che sommerge il mondo là fuori.”

La Chora, divenire incessante

Nel Timeo Platone chiama questo divenire incessante Chora e vi è un demiurgo che plasma e dà forma a questo informe flusso. Ma Chora si nasconde dentro ognuno di noi e non va dispersa. Per quanto a volte possa far male, perché ricorda la continua provvisorietà della nostra vita, non va rinnegata.

“Il contatto con la chora, che ci espone all’incertezza indomabile della vita, non va quindi vissuto come una sciagura inevitabile , anche se a volte può farci male e suscitare in noi molta paura: è la precondizione della bellezza e dell’amicizia. Dimenticare questo contatto e quest’origine, tentare, in altri termini, di rimuovere la necessaria provvisorietà di ogni cosa, nell’illusione che sussistano idee, valori, significati e dogmi scolpiti nella roccia e validi per chiunque allo stesso modo e in ogni tempo, è il più grave errore che possiamo commettere: è hybris, tracotanza che condanna alla solitudine del tiranno, l’uomo senza amici. Il miglior modo di stare al mondo consiste nel riuscire a comporre ciascuno la propria musica, in modo tale da saper restituire la complessità indicibile da cui proviene.

L’amicizia ci può far sentire parte della physis

Secondo Pietro Del Soldà il fatto che dobbiamo prendere delle precauzioni per proteggere il pianeta da noi stessi indica che ci sentiamo distaccati dalla natura. Per i Greci l’uomo era parte della physis, una espressione delle tante espressioni della physis. L’annuncio cristiano, novitas, scosse questo mondo ponendo l’uomo al centro. Da allora la natura è considerata un serbatoio di risorse da cui l’uomo, essere superiore, può attingere in qualsiasi momento. Anche la scelta ecologista, che è un doversi imporre di rispettare la natura indica una scotomizzazione dell’uomo da essa. L’esperienza di amicizia può essere uno stimolo per sentirci tutti parte della physis e per rendere il mondo un posto migliore.

Amore e amicizia

Come sostiene Michel de Montaigne, l’amicizia è un territorio diverso dall’amore e molto più fertile. L’amore passionale è un fuoco che arde veloce e che consente di raggiungere delle vette di piacere, ma si discosta molto da quel fuoco calmo e mite dell’amicizia che consente di cucinare ben altro. Perché alla base dell’amicizia c’è la conoscenza. L’idea di amicizia di Montaigne si distacca da quella di Aristotele, perché è molto meno politica, meno estesa ma più pura. Le sue idee sull’amicizia derivano dal rapporto che ebbe con La Boétie, entrambi amanti di studi classici e consiglieri. Montaigne stesso nella sua vita non rinunciò  a nessuno dei due aspetti, amore e amicizia, ma ne sottolineò la differenza.
Pietro Del Soldà si dice invece di voler essere cauto nel tracciare questo confine netto tra amore e amicizia.

La visione dell’amicizia secondo Nietzsche

Nietzsche ha una visione dell’amicizia “atomizzata”. Come afferma nella Gaia Scienza, l’amico è colui che solca il tuo stesso mare, talvolta lo incroci, getti l’ancora vicino a lui, passi del tempo con lui ma poi bisogna procedere la navigazione necessariamente separati e lontani. È necessario allontanarsi per realizzare il proprio compito e può essere che realizzarlo ci cambi tanto da non farci riconoscere più l’amico quando lo vediamo. Secondo Nietzsche però è necessario che sia così l’amicizia, perché rintanarsi nello stesso porto non dà stimoli.

“È un’amicizia stellare, scrive Nietzsche, che forse, in una remota orbita siderale, manterrà saldo il vincolo sacro, mentre nel frattempo, sulla terra e nei mari, per gli amici continua il viaggio.”

Ci può essere comunque una visione che vada oltre la drammaticità di Nietzsche. Si può mantenere l’amicizia anche quando ognuno procede nella sua direzione, perché l’amicizia prevede inevitabilmente momenti di solitudine, di distanza, di ricordi ma può contemplare dei momenti di vicinanza anche nella distanza.

La polarizzazione amico-nemico

Da un’analisi della civiltà odierna si intuisce quanto si è distanti dalla concezione di Aristotele: l’amicizia non è più cemento della polis. Oggi si crede più alle parole di Hobbes, secondo il quale ogni uomo cova il desiderio di nuocere all’altro. Infatti i grandi leader politici di oggi, come ad esempio Trump, credono molto nell’utilizzo di parole come amico-nemico. D’altronde la retorica si è sempre servita dell’individuazione di un nemico comune, come strumento di consenso. La caduta del muro di Berlino, nel 1989, aveva fatto pensare ad un periodo di pace ma solo illusorio. Infatti nel 2001 l’illusione è tramontata. Oggi il cemento della polis non è più la philia, ma quasi una spasmodica ricerca di un nemico.

La critica di Platone alla scrittura

Platone mosse una critica radicale alla scrittura, dicendo che non poteva essere uno strumento conoscitivo ma solo uno strumento mnemonico. Secondo lui il sapere non poteva condensarsi in una pagina scritta.  Ma la scrittura, per quanto imperfetta, è un continuo mettersi in gioco, che agisce come spinta al dialogo, all’amicizia e alla ricerca della felicità. Quest’ultima si ottiene mettendo in pratica l’amicizia. La bellezza della scrittura è che non è ferma su ciò che c’è scritto, ma va oltre i suoi stessi limiti e fa agitare, mette in contatto con se stessi, spinge in profondità e fa vedere il proprio movimento interno.

 La riflessione sulla professione radiofonica

La radio è uno strumento che crea una relazione senza il contatto con la persona. Eppure secondo dei sondaggi, il 59% dei cittadini europei ha grande fiducia in ciò che ascolta alla radio. Questo strumento ci fa domandare se si può fare a meno dei corpi in un rapporto di amicizia. In realtà non ci sono regole, però la radio funziona proprio perché si sente la necessità di dialogare, di raccontare ma in modo “orizzontale” cioè essendo sullo stesso piano. Come diceva Bertold Brecht: “La radio dovrebbe di conseguenza abbandonare il suo ruolo di fornitrice e far sì che l’ascoltatore diventi fornitore”.

L’amicizia con Álvaro Mutis

Álvaro Mutis fu un grande scrittore colombiano che dopo diverse poesie scrisse un ciclo di racconti. Come protagonista di questo ciclo vi era un marinaio, Maqroll il Gabbiere, che aveva il compito di sorvegliare l’orizzonte. Quest’uomo solca il mari con improbabili navi e ogni tanto si incontra con due figure amiche, una donna e un uomo libanese. Quest’immagine richiama alla mente l’idea di amicizia di Nietzsche.
Quando si incontrano questi uomini sentono vibrare dentro di sé le ali dell’amicizia ed è qui che prende spunto il titolo del libro.  Ecco perché ha deciso di omaggiare Álvaro Mutis, sia per gli spunti tratti dalle sue opere ma anche perché è stato per Pietro Del Soldà un vero amico, che ha saputo portare la visione dell’amicizia dentro la sua letteratura. È un gesto di gratitudine per Álvaro Mutis, anche se secondo Michel de Montagne “L’amico è colui a cui non dobbiamo dire grazie” perché si è talmente fusi con lui che non esistono servigi o favori ma si agisce spontaneamente per e con l’altro senza perdere le proprie caratteristiche.

L'articolo Sulle ali dell’amicizia con il filosofo Pietro Del Soldà sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
La filosofia che ci salva: come essere felici https://2020.passaggifestival.it/filosofia-guida-semplice-studio-interiorita/ Thu, 03 Sep 2020 09:38:20 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75101 Simonetta Tassinari presenta il suo nuovo libro e ci accopagna tra Platone, Schopenhauer e tanti altri nel tortuoso sentiero dell'esplorazione di noi stessi

L'articolo La filosofia che ci salva: come essere felici sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
S.O.S. Filosofia Tassinari

“La filosofia deve essere per tutti, non ci sono età giuste. Non si è mai né troppo giovani per filosofare né troppo vecchi”. Così si è presentata Simonetta Tassinari, protagonista della Rassegna Libri filosofici per bambini e bambine ed autrice di S.O.S Filosofia, il suo ultimo libro edito da Feltrinelli. Come ha spiegato più volte lei stessa, questa rassegna è nata poiché è giusto credere nel binomio filosofia-bambini. Si tratta di uno spazio per ragionare insieme, una sorta di percorso per i più piccoli per introdurli nell’affascinante mondo delle speculazioni filosofiche.

siamo tutti un po’ filosofi

La filosofia è un mistico percorso verso la felicità, una cura particolare al pensiero che a sua volta rappresenta il nostro privilegio, la nostra caratteristica ed in quanto tale va studiato ed approfondito.
Simonetta Tassinari ha raccontato di essersi follemente innamorata della filosofia al Liceo, tanto da andare in giro con una maglietta fatta da lei stessa su cui troneggiava la scritta “I love Platone”. Eh sì perché Platone è stato il suo grande amore e a diversi anni di distanza fa ancora parte della personale top-ten dell’autrice.
Ora dedita in prevalenza a quella comunemente definita come “filosofia pratica”, Simonetta Tassinari ci ha confessato che ciò è nato in un particolare momento della sua vita, quando ella ha sentito il bisogno di un cambiamento. La filosofia pratica ci aiuta a ritrovare le nostre radici, a sentirsi parte integrante di una tipica πόλις greca. Da specialista in filosofia politica (soprattutto nel liberalismo) è quindi approdata alle filosofie ellenistiche ed orientali.                                                                      In realtà non è un filosofo solo colui che ha dedicato la sua vita allo studio ed alla divulgazione di materiale filosofico. A ben vedere siamo tutti un po’ filosofi perché tutti noi dialoghiamo continuamente con chi ci circonda e tutti noi siamo costretti a compiere continuamente delle scelte. Ogni nostro comportamento è pensato e ben ponderato, e questo fa di noi dei veri e propri pensatori.

Avere o essere?

Il libro si articola in una serie di capitoli all’interno dei quali vengono posti problemi reali e quotidiani e si chiama in causa un filosofo, uno psicologo o anche un neuropsichiatra per tentare di trovare una soluzione che possa essere logicamente soddisfacente.
Ad esempio, un problema affrontato è quello della ricerca della felicità. In questo caso viene interpellato lo psicologo e psicoanalista tedesco Erich Fromm e la sua opera più importante Avere o Essere. Non c’è dubbio che la nostra vita sia una ricerca spasmodica verso la felicità, una felicità che secondo Fromm può essere dinamica oppure catastematica.
La felicità dinamica è tale poiché per essere raggiunta necessita di uno sforzo da parte nostra. Si tratta del raggiungimento di un obiettivo che però dopo essere stato appunto soddisfatto deve essere mantenuto, e ciò accade difficilmente. Per questo, come diceva un altro grande filosofo del calibro di Arthur Schopenhauer: “La vita è come un pendolo che oscilla tra la noia e la morte”.
La felicità catastematica è invece quella felicità che ci fa comprendere che ciò che abbiamo è più importante di ciò che potremmo avere. È una felicità non passiva poiché per il suo raggiungimento occorre un lungo lavorio sull’essere. Con essa ci si accorge che tutto nell’avere è precario e che invece ci rimangono solo i beni spirituali.

Simonetta Tassinari intende la filosofia nella stessa maniera in cui la vedevano gli antichi greci: si tratta di un allenamento, soprattutto mentale, una vera e propria trasformazione di sé che può avvenire solo a seguito di una buona dose di pratica e di impegno. Per questo studiare filosofia non è facile e non tutti hanno le capacità ( o anche solo la pazienza) per applicarvisi, perché spesso ci spaventa più agire su noi stessi che agire su ciò che ci circonda.

L'articolo La filosofia che ci salva: come essere felici sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Il balcone in pietra: una storia sospesa tra Italia e Polonia https://2020.passaggifestival.it/balcone-pietra-romanzo-esordio-dagmara-bastianelli/ Wed, 02 Sep 2020 13:17:33 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75190 La seconda giornata del Passaggi Festival si è conclusa nella cornice dell’ex-Chiesa di San Francesco, dove l’autrice Dagmara Bastianelli ha presentato il proprio romanzo d’esordio, Il balcone in Pietra (Edizioni Dialoghi), dialogando insieme allo scrittore Lorenzo Pavolini. Andata e ritorno La storia della genesi dell’opera di Dagmara è molto particolare e vale la pena di […]

L'articolo Il balcone in pietra: una storia sospesa tra Italia e Polonia sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>

La seconda giornata del Passaggi Festival si è conclusa nella cornice dell’ex-Chiesa di San Francesco, dove l’autrice Dagmara Bastianelli ha presentato il proprio romanzo d’esordio, Il balcone in Pietra (Edizioni Dialoghi), dialogando insieme allo scrittore Lorenzo Pavolini.

Andata e ritorno

La storia della genesi dell’opera di Dagmara è molto particolare e vale la pena di essere raccontata. Questo libro nasce nell’Aprile 2019 dalla decisione dell’autrice di tornare in Polonia dopo tanti anni. Vedere con nuovi occhi i luoghi dell’infanzia, quella Cracovia che per tanti aspetti è cambiata, rispetto ai ricordi di una bambina diventata ormai donna. Tornata in Italia, l’autrice inizia a dare forma alla propria opera, seguendo un flusso ininterrotto durato nove mesi. Inizialmente l’autrice voleva autopubblicarsi e regalare il proprio libro soltanto ad amici e parenti, poi, convinta dal proprio ragazzo ha deciso di inviarlo a varie case editrici, finché non è arrivata l’opportunità tanto cercata.

La ragazza dai due nomi e il tema della distanza

La decisione di nominare la protagonista “la ragazza dai due nomi” è una scelta particolare ed emblematica. Avere due nomi per l’autrice significa avere due identità, due lingue, due visioni del mondo. Questo dualismo nasce proprio dal fatto di aver dovuto abbandonare la propria terra da bambina. L’infanzia, secondo Dagmara, è il serbatoio dei ricordi, quindi la Polonia era diventata la terra della malinconia, della separazione. Scrivere questo libro perciò, è stato per l’autrice un modo per colmare la distanza con la propria terra d’origine, di amalgamare due culture, quella italiana e quella polacca e sugellare la pace con la propria infanzia.

L’infanzia lascia tanti semi che non vediamo, attraverso la scrittura sono diventati dei fiori, sono sbocciati

La ricerca come riscoperta

Un episodio chiave della vita dell’autrice è quello di aver perso i propri nonni in Polonia, fatto che si lega al tema dello sradicamento molto presente all’interno del romanzo. La perdita diventa allora, il simbolo della perdita delle radici e della ricerca vista come necessità. L’attività di ricerca, che ha occupato tanti giorni e tante notti della vita di Dagmara, si è trasformata in una ricerca di sé, delle proprie origini, la ricerca di un posto nel mondo. Il balcone in pietra, il titolo del libro, è per l’autrice il posto da cui osservare il mondo e sperimentarlo, come ha imparato a fare lei stessa, quando da piccola veniva educata all’arte e alla lettura proprio sul balcone di casa.

La scrittura come bisogno

Ciò che traspare più di ogni cosa dalle parole di Dagmara Bastianelli è l’amore per la scrittura, che lei stessa vede come uno strumento per conoscersi. Nonostante vi siano all’interno della storia momenti negativi e dolorosi, è importante per l’autrice lasciare un messaggio positivo che deriva proprio dal suo intendere la scrittura: un esercizio volto al miglioramento di sé. Il bisogno di scrivere e far conoscere la propria arte ha spinto Dagmara ad inviare un racconto per il notiziario culturale di Passaggi e contattare il direttore e ideatore del Passaggi Festival, Giovanni Belfiori. Poco tempo fa, la giovane autrice ha ricevuto l’opportunità di scrivere un pezzo per il Corriere della Sera dal titolo: “In questa Polonia c’è chi sparge odio”. A nome della redazione di Passaggi, perciò, le facciamo i migliori auguri per un buon proseguimento di carriera.

L'articolo Il balcone in pietra: una storia sospesa tra Italia e Polonia sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Filippo Scòzzari: la fantascienza nella nostra testa https://2020.passaggifestival.it/scozzari-passaggi-lassu-no/ Wed, 02 Sep 2020 10:39:01 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75338 Filippo Scòzzari presenta a Passaggi festival la sua antologia di racconti di fantascienza Lassù no (Coconino Press).

L'articolo Filippo Scòzzari: la fantascienza nella nostra testa sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
 

Sabato 29 agosto, in un Pincio illuminato dai colori del tramonto, Filippo Scòzzari, uno dei più importanti artisti della scena italiana ed europea, ha presentato un’antologia di suoi racconti di fantascienza dagli anni 70 agli anni 2000: Lassù no, edito da Coconino Press. Scòzzari ha conversato nel corso dell’evento con il critico di fumetti Alessio Trabacchini.

Si tratta sì di una raccolta di racconti che vira, però, verso una graphic novel: la nuova edizione deluxe ha un formato differente rispetto alla precedente. Si tratta di racconti di fantascienza ma bisogna tenere a mente, nell’approcciarcisi, la visione della fantascienza di Scòzzari: secondo l’autore la fantascienza è nella nostra testa, non bisogna andare altrove, in altri mondi.

La molla

Cosa spinge un artista a disegnare e scrivere? Per Scòzzari il fumetto e la scrittura sono le bombe atomiche che puoi scatenare contro i tuoi nemici perché difficilmente questi potranno restituirti il favore. Per questo motivo libri e fumetti possono essere considerati anche l’arma del vigliacco perfetto. “L’essere adirati fortemente contro qualcuno costituisce una molla, una spinta irrefrenabile nella produzione artistica”, dice Scòzzari.

Delirio e perfezionismo

La poetica di Filippo Scòzzari è caratterizzata da una combo di delirio e perfezionismo. Secondo l’artista, infatti, il delirio costituisce l’elemento scatenante ma è necessario che  saperlo governare. L’opera di Scòzzari è, pertanto, caratterizzata da un governo perfetto, spasmodico e ferreo sulle creazioni “Ed è così che dev’essere altrimenti è troppo facile fare i matti”. Ne emerge una costante necessità di governare una materia ribollente di delirio.

Per quanto riguarda il genere, leggendo l’opera di Scòzzari, talvolta, si ha l’impressione che egli usi piuttosto un contro-genere. La sua è una fantascienza indubbiamente diversa:

“Dopo un’infanzia passata a leggere e guardare puttanate invereconde ho deciso di vendicarmi: non c’è bisogno di andare sulle stelle per trovare la fantascienza, noi siamo le stelle.”

Storie politiche

È inportante tenere a mente che tutte le opere del fumettista sono opere politiche: “Io disegagnavo e Bologna era in fiamme, io facevo la puntaalle mative ed i bravi ragazzi alzavano le barricate”. Nel bel mezzo del ‘77 bolognese Filippo Scòzzari aveva compreso il valore politico del fumetto:

“Prendere le manganellate è il modo migliore per nutrirsi di odio nei confronti della realtà, soprattutto quando non le puoi restituire. Il mio manganello era la matita, disegnare mi dava l’opportunità di mettere in atto delle sane vendette”.

Se il fumetto è in grado di leggere la realtà, L’opera di Scòzzari ha il merito di incidere su di essa “A quel punto la realtà reagisce facendo telefonate”, conclude il fumettista.

L’opera di Tommaso Landolfi

Fondamentale nell’opera di Scòzzari è l’influenza di Tommaso Landolfi. Trabacchini ammette che, dovendo spiegare ad una persona estranea al mondo del fumetto chi sia Scòzzari, citerebbe indubbiamente Landolfi. Una delle opere più note di Scòzzari fu proprio la versione a fumetti de Il mar delle blatte (uno dei racconti presenti nella raccolta Il mar delle blatte e altre storie di Landolfi).

Come andò la vicenda? Scòzzari lesse Cancroregina, rimase colpito dalla scrittura fina ed elegante anche se alla terza pagina lo giudicò una noia totale. Indispettito iniziò a sfogliare il librone e si imbatté ne Il mar delle blatte; pensò che quel racconto fosse stato scritto pensando a lui: lo percepì come una voce moderna che gli parlava dal passato. “Era, però, ignoto alle tribù che mi mantenevano”, continua Scòzzari, pertanto il fumettista decise di rimanere fedelissimo all’opera di Landolfi senza cambiare nulla e uscì in quattro puntate sul mensile francese Frigidaire. Il libro fu pubblicato senza mai essere pagato dai francesi, lo stesso Scòzzari fu ripagato con appena dieci copie dell’album. Per non pagare i diritti, inoltre, gli autori francesi non citarono neppure Landolfi in copertina.

L'articolo Filippo Scòzzari: la fantascienza nella nostra testa sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Il calcio femminile da Mussolini a oggi, un problema che persiste https://2020.passaggifestival.it/federica-seneghini-sport-femminile-passaggi-festival/ Wed, 02 Sep 2020 10:09:53 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=75045 L'appassionante e tormentata storia del calcio femminile dall'età fascista a oggi ci mostra che le divergenze sono spesso difficili da appianare

L'articolo Il calcio femminile da Mussolini a oggi, un problema che persiste sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>
Federica Seneghini Passaggi Festival

L’undici giugno del 1933 si disputò ufficialmente la prima partita di calcio femminile organizzata da una squadra composta interamente di donne. In piena Italia fascista Rosetta e le sue amiche, tutte ragazze tra i quindici ed i vent’ anni, si misero in testa un’idea per il tempo rivoluzionaria: perseguire il loro hobby e giocare quindi a calcio.
Ecco che dunque Rosetta e le sue amiche si contrappongono, in maniera vistosa, al prototipo della donna fascista. In un’Italia in cui già il calcio cominciava ad essere lo sport più seguito, non si accontentano più di vedere le partite e basta, ma ora vogliono proprio farne parte.

Le origini

Federina Seneghini con “Giovinette, le calciatrici che sfidarono il Duce”, edito da Solferino, ci introduce al mondo conflittuale del calcio femminile. Durante l’incontro della Rassegna di Saggistica, l’autrice ci ha parlato delle difficoltà che ha dovuto superare per poter dare vita a questo libro. La sfida è stata dover rimettere insieme i pezzi e presto ci si è resi conto che il materiale era troppo per un solo articolo. Da qui l’idea di scrivere un libro nel quale racchiudere i tanti personaggi attorno a cui ruota la vicenda.
Di quegli anni però rimaneva solo un numero limitato di articoli e dopo quasi due mesi di assidue ricerche tramite Facebook si è finalmente arrivati a rintracciare un nipote di quell’unico giornalista che al tempo, non aveva denigrato la squadra di Rosetta ma che anzi, aveva scritto di loro positivamente.
Carlo Brighenti è dunque divenuto parte integrante della storia ed è indubbio che il suo sostegno giornalistico sia servito a promuovere e a far conoscere la squadra.

Le donne e il pallone

Tante erano le obiezioni che, soprattutto gli uomini del tempo, muovevano alle nuove giocatrici. La “preoccupazione” più grande era quella che pallonate che le ragazze ricevevano potessero mettere a rischio la loro fertilità. La donna fascista per antonomasia non poteva non avere figli, sennò che angelo del focolare sarebbe mai stata? Per questo dunque presto in porta vennero piazzati due giocatori maschi, al fine di appianare le divergenze con il resto del mondo dello sport.
Attenzione però: lo scopo di Rosetta e delle altre non era certo quello di contrapporsi al regime del Duce, quanto quello di potersi semplicemente dedicare ad un’attività per loro piacevole. A questo scopo esse introdussero infatti delle regole quali dividere la partita in due tempi di venti minuti ciascuno ed usare un pallone più leggero del normale.

Il tramonto del sogno

Il sogno delle ragazze era quello di dare vita ad una squadra il più numerosa possibile, tanto che al momento del loro massimo splendore, arrivarono a contare cinquanta giocatrici. Purtroppo però non fu loro possibile sfidare squadre di altre città poiché semplicemente non esistevano altre squadre femminili all’infuori di quella di Rosetta con base a Milano.
Quando inizialmente viene costituita la squadra al capo del CONI (Comitato olimpico nazionale italiano) vi era un certo Arbinati, il quale, inaspettatamente, diede l’ok per la formazione di questa nuova squadra femminile. Successe però che quando Arbinati si ritirò arrivò Achille Starace, personaggio completamente diverse dal suo predecessore. Starace era interessato solamente a quelle attività che, nelle imminenti Olimpiadi del 36, avrebbero potuto portare lustro e gloria al regime fascista. Il calcio femminile non rientrava tra queste.
Per questo dunque, più che sciogliere direttamente la squadra, Starace con una serie di subdoli tentativi spinse Rosetta e le altre ad andarsene.

Il calcio ancora oggi

Il problema del calcio femminile di oggi è lo stesso di quello di novant’anni fa. I pregiudizi sono gli stessi. Purtroppo è difficile leggere la cronaca di una partita femminile con voti, pagelle ecc. come accade per una normale partita di calcio maschile. Spesso non si può nemmeno parlare di articoli di cronaca quanto di veri e propri “articoli di costume” che cercano di scandagliare le ragioni più profonde per cui mai una donna dovrebbe voler giocare a calcio. Non bastano passione e voglia di mettersi in gioco come motivazioni? Per quanto ancora nelle nostre menti sport come il calcio devono rimanere appannaggio esclusivo del sesso maschile? E soprattutto perché mai ancora insistiamo nel dire che esistono sport più “virili” e altri più “femminili”?

Le difficoltà del calcio femminile in Italia sono presenti soprattutto a livello pratico. Un esempio? Dopo i terribili mesi del lock-down finalmente è ripartita la tanto desiderata Serie A maschile. E quella femminile dov’è finita? Perché non è potuta ripartire?
Ci auguriamo in ultimo che il libro di Federica Seneghini possa aiutare a far comprendere e a far aprire gli occhi su una realtà come quella del mondo dello sport femminile, troppo spesso ignorata e sottovalutata.

L'articolo Il calcio femminile da Mussolini a oggi, un problema che persiste sembra essere il primo su Fano – Passaggi Festival.

]]>