donne in bicicletta

Lina Cavalieri, Alfonsina Strada, Paola Scotti e così via. Quanti di voi conoscono queste donne? Quanti di voi sanno che è grazie a loro se oggi esiste anche la storia del ciclismo femminile?

Il nuovo libro di Antonella Stelitano Donne in bicicletta (edito da ediciclo editore) ha il merito di riportare agli onori le cicliste che hanno vinto le gare più prestigiose a livello nazionale e internazionale, rimaste sconosciute al grande pubblico.

Non si tratta solo di una vicenda sportiva. I chilometri che quelle donne hanno percorso con le loro biciclette ci hanno permesso di arrivare qui, oggi. La loro storia si lega indissolubilmente al lungo cammino dell’emancipazione femminile, processo ancora tristemente incompleto.

Pedalare è uno scandalo

Si tratta di donne che, contro tutti i pregiudizi e i luoghi comuni, hanno deciso di montare sul sellino delle proprie bici e lanciare la loro sfida personale. Già nel 1897, gli uomini di scienza sostenevano che “il pedale poteva provocare la deformità del piede”. Addirittura, quando iniziarono a entrare in commercio i tandem a inizio ‘900 si decise, a seguito di un acceso dibattito, che le donne avrebbero dovuto occupare il sellino anteriore, per non mostrare il fondoschiena a sguardi indiscreti e scatenare le reazioni dei perbenisti.

Ci volle tanto tempo prima di arrivare a consentire alle donne di inforcare una bicicletta, prima che si abbandonasse l’idea che si trattasse di un atto scandaloso, indecente.

Tutte le protagoniste

Lina Cavalieri, una delle attrici e cantanti liriche più famose nei primi anni del ‘900, sin dal 1893 si cimentava nelle gare ciclistiche. Alfonsina Strada fu l’unica a partecipare al Giro d’Italia per uomini, nel 1924. O ancora, Maria Cannis vinse il primo giro d’Italia interamente femminile. Questi sono solo alcuni dei nomi delle eroine che hanno saputo portare nuova dignità a questa disciplina sportiva, precedentemente destinata a soli uomini.

Con loro la bicicletta divenne coraggio, anticonformismo, tenacia e parità di diritti. Donne che dovettero imparare tra mille sforzi a conciliare il lavoro con gli allenamenti, tra i mille pregiudizi della società. Per allenarsi e gareggiare, dovevano avere il consenso dei mariti o dei fidanzati, quasi sempre ex ciclisti o allenatori.

I pedali della Resistenza italiana

Con la diffusione del fascismo in Italia e del nazismo in Germania, vennero introdotte delle ordinanze che prevedevano persino l’arresto per donne che si fossero mostrate “pedalando con calzoncini troppo corti”. Così la bici diventa simbolo di ribellione: nelle campagne le donne diventavano staffette segrete della Resistenza partigiana. Esse venivano usate anche nelle città, poiché destavano meno sospetti degli uomini tra le pattuglie nazifasciste.

Un romanzo che ci invita a riflettere e che vuole ricostruire la storia del ciclismo italiano femminile, perché, come afferma l’autrice stessa, “la cultura sportiva di un paese si misura non solo in medaglie, ma anche nella custodia della propria storia“.

La storia del ciclismo femminile è stata scritta dai maschi, l’interpretazione, la visione e la descrizione è tutta al maschile, ieri come oggi. In un paese in cui a capo delle organizzazioni ufficiali e degli sponsor ci sono sempre stati uomini, Antonella Stelitano ci propone quindi una ricostruzione storica da un nuovo punto di vista: quello femminile.

Il percorso della parità tra i sessi è ancora lungo e faticoso. Basti pensare che oggi chi vince il Giro d’Italia femminile, percepisce un premio tra i 600 e gli 800 euro e chi vince la Coppa del Mondo poco più di mille euro. Gli uomini invece più di un milione, sponsor compresi.

Il trucco però è non arrendersi mai e, come fanno le protagoniste di Donne in bicicletta, testa bassa e pedalare sempre!

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Titolo: Donne in bicicletta
Autore: Antonella Stelitano
Editore: Ediciclo Editore
Pagine: 496


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