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“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso
perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i
servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.”
Con queste parole, raccolte da Marcelle Padovani nel libro Cose di Cosa Nostra, Giovanni Falcone parla
delle vittime della mafia di Palermo, ma anche di sé. Sa che sono in molti a volere la sua morte e sa di essere stato lasciato solo.
La giornata legalità e la strage di Capaci
Come scrive Attilio Bolzoni in Uomini soli: “Provano ad annientarlo in ogni momento e in tutti i modi. Ci
riescono alle 17.56 minuti e 48 secondi del 23 maggio 1992 su una curva dell’autostrada che dall’aeroporto
di Punta Raisi corre verso la città. A quell’ora, gli strumenti dell’Istituto di Geofisica e di Vulcanologia di Monte Erice registrano un piccolo evento sismico con epicentro fra i comuni di Isola delle Femmine e Capaci. Non è un terremoto. È una carica di cinquecento chili di tritolo che fa saltare in aria Giovanni Falcone.”
Insieme al magistrato muoiono anche la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta Vito
Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Il pool antimafia e il maxi-processo
Nel 1983 Antonino Caponnetto forma a Palermo un pool di magistrati con il fine di contrastare il fenomeno
mafioso che in quegli anni stava devastando la Sicilia e sfidando lo Sato. Tra i primi ad essere scelti c’è
Giovanni Falcone, che suggerisce di incaricare anche il collega Paolo Borsellino.
Iniziano così le indagini che porteranno al maxi-processo, il primo grande processo dello Stato alla mafia, concluso il 16 dicembre 1987 con 360 condanne e 114 assoluzioni.
Ma nonostante l’importanza di quelle indagini e di quel processo, Giovanni Falcone viene avversato ripetutamente e da parte di molti. Solo dopo la sua morte verrà riconosciuto unanimemente il suo valore di uomo di stato e il decisivo contributo nel contrasto alla mafia.
Un uomo normale
Nel 1988, il Consiglio Superiore della Magistratura nomina Antonino Meli Capo dell’Ufficio istruzione di
Palermo, preferendolo a Giovanni Falcone.
È un mancato riconoscimento che pesa enormemente sulle scelte future di Falcone, che dopo poco si trasferisce a Roma, per lavorare nel Ministero della Giustizia; continua il suo impegno contro la mafia, dirigendo il Dipartimento degli Affari Penali.
Francesco La Licata in Storia di Giovanni Falcone ce lo presenta così: “No, Giovanni non era un Superman, nessuna divinità lo aveva baciato. Era un uomo normale coi suoi pregi e i suoi difetti, con le sue euforie e le sue depressioni. Gli piaceva vincere, questo sì. Era allenato alla lotta. La sua qualità più evidente? Forse la capacità di soffrire, di sopportare molto più degli altri senza arrendersi mai.”
23 maggio, Giornata legalità
Il 23 maggio è la Giornata nazionale per la legalità e il contrasto alla criminalità mafiosa.
Gli scopi di tale ricorrenza sono due: celebrare i valori di legalità, onestà e coraggio rappresentati da grandi uomini di Stato come Giovanni Falcone e ricordare a tutti che la mafia è un fenomeno ancora vivo e forte, al quale è necessario opporsi ogni giorno.
Il coraggio e l’esempio, Falcone e Borsellino 1992-2012 ripercorre gli anni del pool antimafia e racconta le stragi di Capaci e di via D’Amelio attraverso gli articoli di grandi firme del Corriere della Sera e le fotografie di Letizia Battaglia.
Nel romanzo Per questo mi chiamo Giovanni, Luigi Garlando mostra a bambini e ragazzi il crudele mondo della mafia e presenta il coraggio di chi la sfida e non si piega ad essa, come Giovanni Falcone.