Italo Calvino pubblica Le città invisibili nel 1972. Il dialogo di Marco Polo con l’imperatore dei Tartari Kublai Khan è un viaggio nelle città fantastiche e immaginarie dell’impero; per noi lettori è un viaggio nella potenza generatrice della parola e nella forza dell’immaginazione che costruisce architetture.
Troverete in qualunque pagina di antologia letteraria, in qualunque recensione la definizione di ‘letteratura combinatoria’ – che qualche anno dopo avrà la sua geometrica perfezione in Se una notte d’inverno un viaggiatore – ma il prodigio de Le città invisibili non risiede soltanto nel gioco delle combinazioni, nelle possibilità di leggere il romanzo seguendo l’ordine consecutivo delle pagine o le attinenze tematiche, ma nello smarrirci nel labirinto, anzi nei labirinti del labirinto. Polo, e il Khan, ci tendono la mano, invitandoci a compiere il passo: oltrepassare la soglia ed entrare nel labirinto dell’impero con le sue città invisibili.
Seguendo Marco Polo, comprenderemo e ci perderemo nella sua impresa impossibile: renderci intellegibile il caos della realtà. Ed è solo in questo perdersi, in questo accettare la complessità e il disordine, che potremo, come il viaggiatore veneziano dice al Khan nel finale, “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Qui, le sorelle Jessica Chia, giornalista del settimanale culturale La Lettura e del Corriere della Sera, e Samantha Chia, storica dell’arte, propongono la lettura di alcuni passi del testo di Italo Calvino.