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Tra le varie memorie familiari, stese durante l’epoca umanistico-rinascimentale, capita di imbattersi in ritratti di giovani rampolli intenti a seguire il proprio padre, in giro per la città, nella direzione degli affari domestici e delle trattative commerciali.
Tra queste memorie ci viene tramandata l’immagine di un giovane vestito in elegante gonnellino che, assieme al proprio genitore, salda i conti relativi ai fiaschi di vino nei pressi di Ponte Santa Trinita.
Ci troviamo di fronte, dunque, ad un’immagine consueta per quei tempi e che potrebbe passare benissimo in secondo piano, se nonché quel bambino di sette anni menzionato sopra si chiamava Niccolò Machiavelli.
Figlio di una famiglia di commercianti, Niccolò Machiavelli nacque a Firenze il 3 maggio del 1469. Di lui si possiedono scarse informazioni riguardanti il primo periodo della sua vita, ma è lo stesso Machiavelli a fornirci le notizie sullo stato economico della famiglia: in una lettera infatti affermò nacqui povero e imparai prima a stentare che a godere.
Le condizioni economiche della famiglia Machiavelli, quindi, non erano propriamente agiate ma consentirono comunque al piccolo Niccolò di intraprendere una carriera di studi umanistici di tutto rispetto che gli permise di conoscere quegli autori da cui non si separerà mai e che definirà “cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui”.
La scalata politica e le missioni diplomatiche
All’età di 29 anni, precisamente nel giugno del 1498, Niccolò Machiavelli ottenne la prima carica politica come segretario della seconda cancelleria; questo inizio fu una sorta di trampolino di lancio per il novello magistrato che si trovò, nel luglio dello stesso anno, a divenire segretario dell’ambita magistratura denominata Dieci di libertà e pace.
Tale carica gli concesse di agire nei campi della politica interna ed estera della Repubblica fiorentina mediante missioni diplomatiche che lo impegnarono sia nel continente europeo, che nella penisola italiana.
Queste cariche politiche permisero a Macchiavelli di operare nei ranghi più alti della politica perfino divenendo collaboratore di Pier Soderini, gonfaloniere della Repubblica fiorentina.
Ciò che Machiavelli trasse da quegli anni di operato fu la possibilità di toccare con mano, attraverso le missioni diplomatiche, le varie realtà politiche delle principali potenze europee e italiane, tra le quali segnaliamo il suo viaggio in Francia e in Germania,le cui esperienze confluirono negli scritti intitolati Ritratto delle cose di Francia e Ritratto delle cose della Magna.
Ancor di più gli valse, grazie ad una missione compiuta nel giugno del 1502, la conoscenza di Cesare Borgia, detto il duca Valentino, che in quegli anni si era impadronito della Romagna e del Ducato di Urbino; il rappresentante della Repubblica fiorentina rimase talmente affascinato dall’audacia e dalla spregiudicatezza di quest’uomo da additarlo come esempio di virtù all’interno dell’opera che lo rese celebre presso i posteri, Il Principe.
Il Principe e la Ragion di Stato
Frutto delle riflessioni maturate durante il primo decennio del Cinquecento nel quale Machiavelli si trovava in esilio dopo la presa di potere da parte della famiglia Medici, Il Principe è, a detta dello stesso autore, un opuscolo scritto con lo scopo di guidare il regnante di qualsiasi stato nella presa e nella conservazione del potere.
Tale opera destò sin da subito scalpore per il suo contenuto altamente innovativo e che non si allineava per nulla a quegli Specula Principis, ovvero quei manualetti di origine medievale, che fornivano al sovrano un’immagine ideale di sé stesso, il quale doveva esercitare una serie di virtù come per esempio la clemenza, la giustizia e la liberalità.
Machiavelli invece non propose un modello ideale di far politica, bensì affermò una visione totalmente reale in cui l’unico fine, a cui il sovrano doveva tendere, era il compimento della Ragion di Stato, la quale consisteva nella salvaguardia e nel mantenimento dello stato stesso mediante ogni mezzo a lui concesso, operando perfino attraverso la crudeltà e la menzogna.
Quanto detto è frutto di un’ideologia pessimistica nei confronti dell’uomo, che viene paragonato ad un centauro e stando alle parole dello stesso Machiavelli gli uomini dimenticano piuttosto la morte del padre che la perdita del patrimonio, quindi colui che intende governarli deve necessariamente agire in maniera cinica e spregiudicata affinché il proprio stato non vada in rovina.
L’importanza della Storia
L’autore che, a detta del Foscolo, “temprò lo scettro a’ regnatori“, ci consegna molto di più che un semplice manualetto di scienza politica: scritto negli anni più neri del Rinascimento, quando le truppe francesi e imperiali devastavano l’Italia facendosi guerra, Il Principe è un’esortazione all’autonomia dell’Italia, la quale doveva essere liberata dai cosiddetti barbari e guidata da un signore virtuoso capace di donare alla penisola l’antica gloria e l’antica pace da tempo perdute.
Per fare ciò Machiavelli si avvale di un’arma che oggigiorno viene scartata a priori, la Storia: questa scienza fu riconosciuta dal politico fiorentino come un bacino di esempi volti all’uso affinché l’Uomo impari dai propri errori e possa rendere alla posterità un futuro migliore.
Sulle tracce del Principe
Data l’importanza che Machiavelli esercitò presso la posterità sul piano letterario e sociopolitico, molto si è scritto su di lui, segnaliamo dunque i principali testi e saggi per chi si volesse approcciarsi alla figura del segretario fiorentino.
Senza dubbio tra i testi primari non può mancare Il Principe con il saggio introduttivo del celebre critico letterario Vittore Branca e Istorie Fiorentine e altre opere storiche e politiche, opera curata dal critico Alessandro Montevecchi.
Tra le tante opere saggistiche spuntano Niccolò Machiavelli – Ragione e Pazzia di Michele Ciliberto e Il sorriso di Niccolò-Storia di Machiavelli di Maurizio Viroli.
In ultima istanza consigliamo un testo per tutti coloro che non si sono mai approcciati alla realtà intellettuale umanistico-rinascimentale, si tratta del saggio La mente inquieta, scritto dal filosofo Massimo Cacciari il quale è stato anche ospite a Passaggi Festival nell’estate del 2018.
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