Giulia Sortino | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ Passaggi Festival. Libri vista mare Tue, 28 Jul 2020 08:53:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.5.1 https://2020.passaggifestival.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-nuovo-logo-passaggi-festival_rosso-300x300-1-32x32.jpg Giulia Sortino | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ 32 32 Beatrix Potter, una donna libera https://2020.passaggifestival.it/beatrix-potter/ Tue, 28 Jul 2020 08:53:13 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=72890 Definita da alcuni come la J.K. Rowling dei suoi tempi, la sua vita è stato un omaggio alla libertà e all’emancipazione femminile di cui fu un simbolo vivente.

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Beatrix Potter

 

Il 28 luglio del 1866 nasceva a Londra una delle donne più straordinarie di sempre: l’indimenticabile Beatrix Potter. Definita da alcuni come la J.K. Rowling dei suoi tempi, la sua vita è stato un omaggio alla libertà e all’emancipazione femminile di cui fu un simbolo vivente. Il tutto in maniera semplice, come traspare dalla foto che la ritrae come un’eccentrica signora con un coniglio al guinzaglio.

Potter non è mai stata conforme alla tipica figura femminile dell’epoca, né da bambina quando amava trascorrere il suo tempo a divertirsi nella natura e a studiare animali sia vivi che imbalsamati, né da adulta quando ormai giunta all’età di trentacinque anni decide di voler sposare l’uomo che ama ed insegue la propria indipendenza economica; la sua arte è proprio ciò che la rende indipendente. Nella vita di ognuno di noi esistono dei punti di svolta, dei momenti significativi, delle decisioni che ci cambiano radicalmente la vita, nel caso di Beatrix, il punto di svolta è una lettera scritta al figlio malato di un’amica, in cui racconta una prima versione di quello che sarà il suo primo successo: The tale of Peter Rabbit (1902) per il quale il suo coniglietto da compagnia era stato fonte d’ispirazione.

Il suo grande spirito d’iniziativa, la porta ad auto pubblicarsi per mostrare alle case editrici che l’avevano rifiutata, che sapeva il fatto suo e che non si sarebbe fermata questa volta. Beatrix infatti, che non fu solo scrittrice ed illustratrice bensì anche un’appassionata naturalista, portava ancora sulle spalle il peso di un altro rifiuto del passato, ovvero quello della London Linnean Society che non accettò di valutare i suoi studi sulla germinazione delle spore di fungo, poiché portati avanti da una donna. Ecco perché l’immenso successo dei suoi libri rappresenta anche un riscatto in questo senso.

Vale inoltre la pena ricordare Potter per il suo fiuto per gli affari, che fa di lei una delle prime persone a capire l’efficacia del merchandising e a portare avanti l’idea di creare giocattoli ed oggetti a partire dagli animali protagonisti dei suoi racconti; decisione che fa di lei una donna del tutto in grado di mantenersi da sola.

L’importanza della creatività

La letteratura per l’infanzia, per molto tempo considerata come un genere secondario, non è in realtà cosa da poco. Beatrix era nata appena un anno dopo la pubblicazione di Alice nel paese delle
meraviglie, che è da considerarsi come uno dei primi veri libri per i bambini di epoca vittoriana a cui venivano normalmente propinati racconti minacciosi e spietati come il Der Struwwelpeter (conosciuto in Italia con il titolo di Pierino Porcospino) di Hoffmann del 1845.

La scrittrice stessa, ritrovandosi le avventure di Alice tra le mani all’età di sei anni, rimase del tutto colpita sia dalle vicende, che dalle iconiche illustrazioni di John Tenniel le quali contribuirono a far nascere in lei l’amore per il disegno. Il grande Gianni Rodari si è chiesto, a proposito, se valesse la pena che i bambini imparassero piangendo ciò che si può invece imparare ridendo, ed è proprio questo il punto.

Chi sceglie di dedicarsi alla scrittura di libri per bambini, detiene grande potere e responsabilità poiché trasmette messaggi che rimarranno impressi nella mente dei piccoli lettori che li porteranno con loro nella scoperta del mondo che li circonda. Beatrix aveva forse intuito il suo ruolo anche come “educatrice” e aveva cercato di rendere i suoi libri adatti ai più piccoli, diminuendone il formato per renderli più maneggevoli e rifiutandosi di impiegare un linguaggio troppo semplice per non sottovalutare la capacità di comprensione dei bambini.

L’essere umano racconta storie da sempre, è un nostro tratto ancestrale che continuiamo a riproporre nel mondo moderno perché non possiamo farne a meno. Scrivendo racconti ai bambini possiamo insegnare loro molto, ma questo non significa spaventarli o minacciarli; le fiabe possono semplicemente divertire e allo stesso tempo educare all’essere creativi, dote fondamentale per tutti noi che viene
apprezzata in particolar modo da Gianni Rodari in Grammatica della Fantasia (Einaudi Ragazzi):

“Le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma all’uomo intero e non solo al fantasticatore. […] Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà- fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà- vuol dire che è fatta male e bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione”.

La creatività è stata anche per Beatrix un’ancora di salvezza, un biglietto per la propria libertà. Molte altre donne come lei si sono espresse proprio attraverso l’arte per ottenere la meritata indipendenza; peraltro una delle tematiche fondamentali trattate da Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé (Feltrinelli):

“Una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé per poter scrivere.”

Del potere, anche terapeutico, della creatività ne parla poi anche Pinkola Estés nel suo Donne che corrono coi lupi (Frassinelli) dicendo:

“La creatività è multiforme. Ora assume una forma, ora un’altra. […] Alcuni dicono che la vita creativa sta nelle idee, altri dicono che sta nei fatti. In molti casi pare trovarsi nel semplice essere, è
l’amore per qualcosa. Non importa se per una persona, una parola, un’immagine, un’idea, la terra o l’umanità. La capacità creativa è il bene più prezioso della donna perché dona all’esterno e la nutre
all’interno, ad ogni livello psichico e mentale, emotivo ed economico”

Una vita di amore per la natura

Beatrix Potter era una donna semplice ma perspicace, ha saputo creare un universo intriso del suo amore per la natura, popolando i suoi racconti di personaggi dai sentimenti puri che non smettono di
affascinare il lettore moderno. Molte delle storie sono legate tra loro andando a sottolineare ancora di più come per lei facessero tutti quanti parte di un unico mondo, il suo luogo del cuore.

La sua anatra Jemima ha fatto emozionare e divertire un vasto pubblico prima che Paperino esistesse, e ancora oggi le visite alla sua residenza sono frequenti. La sua resilienza e versatilità sono evidenti
anche nelle sue vicende private come quando decise di comprare una proprietà nel Lake District, a Hill Top Farm dove conobbe stabilità economica ed affettiva: si sposò a quarantasette anni, dopo
che il suo primo amore morì prima ancora della celebrazione del matrimonio ed acquistò una fattoria nella quale divenne una dei più importanti allevatori di ovini nella contea. Ed è proprio a Hill Top farm, l’ultimo luogo in cui vive, che ambienta The Fairy Caravan uno dei libri che, insieme al postumo Kitty in Boots, si distacca dallo stile dei suoi little books precedenti rendendoli entrambi interessanti.

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Aldous Huxley, la vita nell’inferno di un altro pianeta https://2020.passaggifestival.it/aldous-huxley/ Sun, 26 Jul 2020 07:17:15 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=72668 Lo scrittore inglese autore de "Il Mondo Nuovo" e "L'isola" avrebbe compiuto oggi 126 anni.

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huxley-aldous

 

È il 26 luglio del 1894 quando nasce, nella contea del Surrey in Inghilterra, il celebre scrittore Aldous Huxley. La sua è un’esistenza segnata dallo studio e della ricerca sulla società e sui comportamenti umani. Aldous cresce in un ambiente ricco dal punto di vista culturale, in quanto membro di una famiglia composta da noti scienziati (tra cui il nonno noto sostenitore delle teorie darwiniste Thomas Henry Huxley) e da scrittori e giornalisti che incoraggiano prima il suo iniziale desiderio di diventare medico e poi la successiva decisione di dedicarsi, per fortuna dei suoi futuri lettori, alla scrittura.

La consapevolezza sociale ha inizio con la consapevolezza individuale

In alcune interviste dell’epoca, emerge il suo pensiero caratterizzato da una crescente preoccupazione per lo stato in cui versa il pianeta, soprattutto a causa del problema della sovrappopolazione che lo angustia dopo un lungo viaggio in India. Un richiamo alle teorie Malthusiane di fine XVIII secolo, che nell’era delle conquiste nello spazio, raffigura l’eccessiva crescita demografica come il nostro corrispondente di un’invasione aliena sulla Terra. Huxley vede nella sovrappopolazione l’inizio di un’inevitabile decadenza degli standard di vita che, con tutta probabilità, condurrà ad una tirannia globale in cui gli individui cesseranno di avere importanza; “una crisi permanente giustifica il controllo su tutto e tutti, da parte del governo centrale” dice a questo proposito in Ritorno al mondo nuovo (Mondadori).

La chiave per sfuggire ad un futuro così catastrofico? Riuscire a risvegliare e a sviluppare le potenzialità umane che, secondo lo scrittore, consistono principalmente in: intelligenza, cordialità e creatività. La manipolazione mentale rappresenta il miglior metodo per far sì che gli esseri umani, lentamente e senza neppure accorgersene, si ritrovino ad amare lo stato di schiavitù in cui le nuove dittature li condurranno, ecco perché ampliare la consapevolezza del proprio potenziale deve diventare l’obiettivo principale per riuscire ad evitarlo.

“La consapevolezza sociale ha inizio con la consapevolezza individuale”; il principio della consapevolezza di sé è presente nella maggior parte delle filosofie e delle religioni da sempre: il nosce te ipsum greco che aiuta a diventare migliori individui per una società migliore. È questo il concetto che Huxley intende sviluppare per una salvezza dell’umanità che, con l’aiuto dell’educazione sin dall’infanzia potrebbe guidare le persone a pensare e costruire un futuro più piacevole per tutti.

Gli uccelli mynah del suo ultimo romanzo L’isola (Mondadori), con il loro costante richiamo a prestare attenzione sono proprio l’invito alla consapevolezza e al restare concentrati sul presente, che l’autore fa a tutti noi. Per sottolinearlo ancora una volta nel romanzo Il tempo si deve fermare del 1944 (Dalai Editore) scriverà anche: “c’è solo un cantuccio dell’universo che uno può esser certo di rendere migliore, e questo è il proprio io”.

Distopie e Utopie: quale il nostro futuro?

Aldous Huxley è noto a tutti soprattutto per il suo Mondo Nuovo (Mondadori) del 1932. Una distopia che immagina l’incubo dell’ordine eccessivo, guidato da una dittatura scientifica che
governa su esseri umani “perfetti e soddisfatti”. Quando scrive per la prima volta il libro, Huxley vede la realizzazione di tale società in tempi del tutto lontani da lui e dai nipoti, ma col passare degli
anni si accorge invece di essere diventato molto meno ottimista a riguardo e teme che il mondo da lui delineato sia più vicino di quanto egli credesse. Dopo l’uscita di 1984 di Orwell, lo scrittore,
benché piacevolmente colpito dal romanzo, ritiene che si tratti di una società immaginaria influenzata più dagli eventi recenti di nazismo e stalinismo piuttosto che di un probabile prossimo futuro dell’umanità. A proposito di questo, scriverà una lettera ad Orwell in cui dirà:

“È mia convinzione che l’oligarchia al governo troverà modi sempre meno ardui e dispendiosi di governare e soddisfare la sua brama di potere, e questi modi assomiglieranno a quelli che ho
descritto ne Il mondo nuovo. […] Credo che entro la prossima generazione i padroni del mondo scopriranno che il condizionamento infantile e la narco-ipnosi sono più efficienti come strumenti di
governo rispetto a club e prigioni e che la loro brama di potere potrà essere completamente soddisfatta suggestionando le persone ad amare la loro schiavitù, invece di fustigarle e ridurle
all’obbedienza. In altre parole sento che l’incubo di 1984 sarà destinato a evolvere nell’incubo di un mondo che somiglia a quello che ho immaginato ne Il mondo nuovo. Il cambiamento sarà portato
avanti come il risultato di un bisogno di maggiore efficienza.”

Ma non è solo di distopie che si occupa Huxley in quanto, nel 1962, decide di lasciarci invece con un’utopia, ovvero L’isola (Mondadori) che si apre però, con la citazione di Aristotele che ci
ricorda che: “Nel concepire un ideale possiamo presumere quel che vogliamo, ma dovremmo evitare le impossibilità” per sottolineare la fiducia di Huxley nella possibilità che avremmo di creare
davvero un mondo migliore. Qui, un naufrago arrivato nell’isola di Pala, fa da testimone per tutto il racconto di una realtà (studiata dall’autore nei minimi dettagli per lunghi anni) guidata da
consapevolezza e armonia. “Un’utopia realistica” dal finale amaro. Questo perché ad Aldous sembrava che nel nostro mondo, ci fossero più persone intente a lavorare per un finale triste
piuttosto che per un classico “vissero felici e contenti”.

Un elemento comune sia al Mondo Nuovo che a L’Isola, è la presenza della droga che nel primo col “soma” offerto quotidianamente ai cittadini, è il simbolo di una felicità artificiale ormai
irraggiungibile in altri modi; mentre nel secondo, il moksha è per gli abitanti di Pala uno strumento dalle connotazioni sacre che aiuta a trovare la pace e l’armonia universale. Il rapporto di
Huxley con la droga può apparire per molti controverso, ma per lui ha rappresentato una fonte di studi sulla mente umana e sulle emozioni che essa è in grado di generare.

Bisogno di pace

I temi trattati da Huxley sono vari, tipici di una personalità eclettica che non si faceva mancare nulla e che nella vita si dedicò infatti a diversi progetti spaziando dalla critica ai saggi, alla letteratura per
l’infanzia (The Crows of Pearblossom, 1967) fino alle sceneggiature tra le quali ricordiamo Alice nel paese delle meraviglie della Disney, quest’ultima forse a lui cara vista l’amicizia della madre
con Lewis Carroll durante l’infanzia. Aldous era poi un pacifista, e non si tratteneva neppure dal muovere critiche anche al modo in cui lo stile di vita dell’uomo nuocesse all’ambiente. Il Mondo
Nuovo appartiene ad un’umanità che ha perso ogni contatto con la natura:

“Le primule e i paesaggi, fece notare, hanno un grave difetto: sono gratuiti. L’amore per la natura non fa lavorare le fabbriche. Si decide di abolire l’amore per della natura, almeno nelle classi inferiori; di abolire l’amore della natura, ma non la tendenza ad adoperare i mezzi di trasporto. Era infatti essenziale che si continuasse ad andare in campagna, anche se la si odiava. Il problema consisteva nel trovare una ragione economicamente migliore della semplice passione per le primule e i paesaggi. Ed era stata debitamente trovata. “Noi condizioniamo le masse ad odiare la campagna” concluse il Direttore. “Ma contemporaneamente le condizioniamo ad amare ogni genere di sport all”aria aperta. Nello stesso tempo facciamo sì che tutti gli sport all”aria aperta rendano necessario l’uso di apparati complicati. In questo modo si consumano articoli manufatti e si adoperano i mezzi di trasporto”.

Come è possibile chiedere all’uomo di rinunciare ad un profitto immediato, per salvaguardare qualcosa di più distante nel futuro? Ne Il tempo si deve fermare (Dalai Editore), romanzo di formazione in cui appaiono alcuni dei maggiori dilemmi umani, si legge:

“[…] ma quando si tratti delle nostre risorse naturali, sacrifichiamo volentieri all’avidità presente un avvenire che è possibile vedere in modo alquanto accurato. Sappiamo per esempio che se abusiamo del suolo questo perderà la sua fertilità. Che se devastiamo le foreste, i nostri figli avranno scarsezza di legname e vedranno le montagne devastate dalle erosioni e le valli corrose dalle alluvioni. Nondimeno, continuiamo ad abusare del suolo e a devastare le foreste.”

Queste idee, hanno una vasta eco e verranno condivise ed approfondite anche da altri come ad esempio dal filosofo ed economista tedesco Ernst Friedrich Schumacher che nel 1973 pubblica Piccolo è bello, un saggio che illustra come un tipo di economia più attenta alla piena realizzazione degli esseri umani e all’ambiente possa favorire un tipo di progresso consapevole e sostenibile, che ha poco a che vedere con la modernità negativa cui tanti hanno auspicato. In questo libro si fa, tra le altre cose, riferimento al bisogno di creatività degli esseri umani, proprio una di quelle potenzialità umane che secondo Huxley andavano sviluppate per “una vita più umana e soddisfacente per più persone, una democrazia autogestita più ampia e genuina”.

Giunti ora al 2020, con guerre, dittature, una pandemia globale e crisi climatiche in corso che influenzano le nostre vite, le esortazioni di Huxley a prestare attenzione e a realizzare il nostro potenziale appieno, meritano di essere riprese in considerazione per riuscire a condurre una vita equilibrata anche in mezzo al caos che ci circonda.

“[…] Dobbiamo trovare, all’interno di questi miliardi di mondi umani, quello in cui noi vogliamo vivere. Quello che, senza noi a immaginarlo non esisterebbe mai. E allo stesso modo dobbiamo capire che, anche se il mondo influenza i nostri sentimenti, tuttavia non è i nostri sentimenti. […] Possiamo contraddire il mondo. Qualche volta possiamo perfino realizzare l’impossibile. Possiamo continuare a vivere quando la morte sembra inevitabile. E possiamo continuare a sperare dopo aver scoperto che la speranza è svanita.” (Vita su un pianeta nervoso, Matt Haig, p.374).

 

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Il racconto di Lucrezia Borgia https://2020.passaggifestival.it/lucrezia-borgia/ Wed, 24 Jun 2020 10:17:59 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=71646 Spesso etichettata come una donna troppo esuberante, ebbe in realtà delle grandi capacità politiche e diplomatiche.

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Lucrezia_Borgia

Il 24 giugno del 1519 moriva a Ferrara Lucrezia Borgia. Nel 2009, la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, ha tenuto una TedTalk dal titolo “The danger of a single story” (Il pericolo di una sola storia) che si lega incredibilmente bene alle vicende di una donna vissuta ben cinquecento anni prima.

Per capire come mai un discorso moderno possa risultare adatto alla figura della figlia del papa in pieno Rinascimento italiano, è necessario partire dalla domanda principale: chi era Lucrezia?

Resa celebre da tutti i mezzi di comunicazione di massa di tutte le epoche, al suo nome vengono di solito associati gli scandali di una vita dissoluta e corrotta, ma c’è da chiedersi quanto ci sia di vero in tutto questo. È qui che si svela il collegamento tra il discorso di Ngozi Adichie e l’immagine che abbiamo di questa donna. Tutto sta nel potere delle storie.

Se ci sono persone convinte del fatto che tutti gli africani vivano in dei piccoli villaggi in completa povertà, è perché ci si è abituati ad ascoltare un’unica storia, una sola prospettiva che influenza a tal punto la nostra visione che non riusciamo a vedere altro.

Eppure il semplice fatto di vivere in questo mondo, dovrebbe farci capire quanto sia vasto e complesso lo spettro delle possibilità della vita, come può una singola storia caratterizzare tutte le variabili dell’essere umano?

Il motivo per cui Lucrezia Borgia nell’immaginario collettivo è la messalina incestuosa del vaticano, è principalmente l’averla sentita raccontare come tale per lungo tempo, riducendo la sua vita complessa ad un’unica e semplicistica narrazione che è diventata quella definitiva.

Origine della leggenda nera

Ma è quando si osserva la questione da vicino che vengono alla luce le origini di questi potenziali pettegolezzi. Il primo marito che Lucrezia sposò quando era ancora una bambina, fu Giovanni Sforza, signore di Pesaro, il primo a diffondere le voci secondo le quali la ragazza fosse da considerarsi «figlia, moglie e nuora» del pontefice. Peccato che la suddetta accusa fosse stata lanciata dopo essere stato costretto a firmare un documento che attestava la propria impotenza, ai fini dell’annullamento del matrimonio, atto che potrebbe averlo fatto risentire.

Quello che si sa per certo è che i Borgia, con il loro sangue spagnolo che gli scorreva nelle vene, erano persone senza dubbio passionali che provavano un amore profondo per i membri della propria famiglia. Nell’opera di Maria Bellonci intitolata Lucrezia Borgia, edita da Mondadori, si legge che i contemporanei consideravano papa Alessandro VI come “il più carnale homo” e all’epoca non si faceva un gran mistero delle sue numerose amanti tra cui Vannozza, madre dei suoi figli, e la bella Giulia Farnese, solo per citarne alcune.

Se è dunque noto che i Borgia avessero un carattere, per così dire, “espansivo” ed esistono testimonianze accertate di alcuni loro festeggiamenti sopra le righe, è però altresì risaputo che il metodo più in voga per gettare ombra sul nome di una casata, fosse quello di mettere in cattiva luce le donne della famiglia. In questo caso Lucrezia, che diventerebbe così portatrice di tutte le colpe dei Borgia.

Dopo la sua morte alla corte di Ferrara nel 1519, questa “unica e scandalosa storia” di Lucrezia prese a circolare al punto che, arrivati nel diciottesimo secolo, l’antiquario scozzese Alexander Gordon e Voltaire la continuarono a riproporre nei loro scritti e nel 1833 Victor Hugo la portò agli estremi con la sua tragedia in cui viene dipinta come femme fatale: un’avvelenatrice ed incantatrice malvagia capace di qualsiasi gesto.

Per continuare a compiacere il gusto romantico, Alexandre Dumas in Delitti celebri ne dà la seguente descrizione: “La sorella era degna compagna del fratello. Libertina per fantasia, empia per temperamento, ambiziosa per calcolo, Lucrezia bramava piaceri, adulazioni, onori, gemme, oro, stoffe fruscianti e palazzi sontuosi. Spagnola sotto i suoi capelli biondi, cortigiana sotto la sua aria candida, aveva il viso di una madonna di Raffaello e il cuore di una Messalina“.

Fu soltanto Giuseppe Carponi nel 1866 a dare inizio ad un tentativo di riabilitazione di Lucrezia che sarebbe continuato nel corso del Novecento, pubblicando uno studio intitolato Una vittima della Storia.

Lucrezia Borgia: una donna forte

Sia che la bella dama fosse vittima della storia, dei pettegolezzi o della sua stessa famiglia, vale la pena soffermarsi su alcuni dei suoi aspetti positivi che furono per lungo tempo dimenticati.

Definita dal cavaliere Baiardo “una perla in questo mondo”, sin da piccola veniva descritta nelle fonti come aggraziata ed eloquente, fatti dovuti sicuramente anche alla grande attenzione che il padre ebbe per la sua educazione, che la rese in grado di conversare in varie lingue e di sviluppare una passione per le arti.

Leggendo alcune delle tragiche vicende che segnarono la sua vita, si deduce una grande forza d’animo tipica di una giovane donna, che già all’età di venti anni si apprestava alle terze nozze combinate. Dopo aver patito sofferenze d’amore dovute al suo ruolo di pedina nelle mire politiche del padre e del fratello, Lucrezia mostra la sua resilienza e riprende in mano la propria vita come nuova duchessa di Ferrara.

Non è però soltanto come elegante moglie e madre che va ricordata, in quanto fu anche un’abile amministratrice nella gestione del potere. Divenne governatrice del ducato di Spoleto, così come è noto che il papa le affidò l’amministrazione del Vaticano in sua assenza e le lasciò avere un ruolo attivo nelle trattative per il suo terzo matrimonio, situazione che si ripeté poi anche quando, ormai duchessa di Ferrara, governò il ducato mentre il marito era in guerra e gli diede sempre ottimi consigli.

Con tali comportamenti era come se invocasse libertà in un’ epoca ancora lontana dal concederne qualcuna alle donne. Oltre a ciò si rivelò anche un’attiva mecenate che contribuì ad aumentare lo splendore della corte circondandosi di artisti e celebri poeti come Bembo e Ariosto, che le dedicò poi due luoghi dell’Orlando Furioso:

XIII, 69-71: ‘Lucrezia Borgia, di cui d’ora in ora / la beltà, la virtù, la fama onesta / e la fortuna crescerà, non meno / che giovin pianta in morbido terreno’ e XLII, 83, 1-2: ‘ La prima iscrizion ch’agli
occhi occorre, / con lungo onor Lucrezia Borgia noma’.

Messa alla prova dai numerosi aborti e dalle difficili gravidanze, si mostrò con il passare degli anni, sempre più preoccupata per la salvezza della propria anima. Il sentimento religioso crebbe in lei, al punto che decise di unirsi in maniera laica al terzo ordine francescano, simbolo della sua ricerca di umiltà che la portò a disfarsi dei vestiti sfarzosi e degli oggetti superflui e a fondare il monte di pietà di Ferrara per soccorrere i poveri. Le sue ultime parole, quando la setticemia la portò via a soli trentanove anni, furono “sono di Dio per sempre”.

Perciò, in conclusione, Lucrezia si adatta meglio alla figura di un angelo o a quella di un demone? Forse la risposta migliore è: semplicemente donna e ancor più semplicemente essere umano, dotato delle universali forze e debolezze che lo rendono tale. I secoli e le storie hanno fatto di lei un mito astratto al quale molti si
sono sentiti in diritto di ridare la propria personale e spesso affascinante interpretazione, ma resta da chiedersi quanto ci si sia allontanati da colei che fu in origine.


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“Eppur si move”. La rivoluzione di Galileo https://2020.passaggifestival.it/galileo-galilei/ Mon, 22 Jun 2020 10:30:11 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=71609 Considerato il padre della scienza moderna, fu costretto dalla Chiesa all'abiura il 22 giugno del 1664.

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galielo-galilei-abiura

 

“Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.”

Così Galilei terminava il proprio atto di abiura in seguito alla messa all’indice del Dialogo sui due massimi sistemi del mondo il 22 giugno del 1663, nel quale si intuisce il suo sostegno alla teoria copernicana per cui “il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova”.

I tempi non erano forse ancora del tutto maturi per aprire lo sguardo sulla verità, l’universo geocentrico legittimava l’antropocentrismo e le teorie di Aristotele apparivano equilibrate e soprattutto incontestabili. “Ipse dixit”, bastava questo, perché voler complicare le cose con inutili esperimenti?

Quando Galilei, animo ribelle in tutti i contesti della vita, ardì a puntare il proprio “cannone-occhiale” non contro il mare per migliorare le strategie belliche, bensì contro il cielo, compì il vero gesto rivoluzionario. Nel romanzo La passione di Artemisia di Susan Vreeland, che ripercorre i passi di Artemisia Gentileschi, si immagina un dialogo tra la pittrice e Galileo, rappresentativo del pensiero dell’epoca:

Mi scrutò brevemente. “Penso che abbiate una mente aperta all’universo visibile, non rattrappita dai dettami delle credenze autorizzate”.

“Il lavoro di un artista, come quello di uno scienziato, è quello di studiare l’universo visibile”. […] “a dispetto di quei teologi che sostengono che Dio non avrebbe permesso ai corpi celesti del nostro sistema planetario di superare il sacro numero di sette. Dobbiamo accettare quello che vedono i nostri occhi” […]

“È incredibile! Una vera e propria rivoluzione. Ci è sempre stato insegnato che tutto ruota intorno a noi. State dicendo che tutto quello che ci dice la nostra Santa Madre Chiesa non è necessariamente vero?” Sollevò le spalle e arricciò le labbra.

“E’ un convincimento audace e pericoloso, signore. Come potete esserne così certo?”

“Da osservazioni condotte nel corso del tempo. E in base alla logica. Se Aristotele tornasse in vita e potessi farlo guardare attraverso le lenti del mio telescopio, farebbe a pezzi le sue pagine.”

Galileo Galilei visse in un contesto rinascimentale, che tuttavia continuava a subire i retaggi medioevali per cui l’istituzione della Chiesa si riteneva essere la principale detentrice del sapere.

Chiunque abbia avuto il piacere di guardare lo spettacolo del 2012 ITIS Galileo che Marco Paolini ha dedicato alla vita di quest’uomo, si è reso conto di quanto possa essere ritenuto a tutti gli effetti una figura anticonformista nonostante l’atto di abiura. Questo perché vale la pena ricordare che né la sua vita né la sua passione vennero spente dall’abiura; Galileo trovatosi agli arresti domiciliari, ormai cieco e senza più credibilità non si fermò, e tra i settanta e gli ottanta anni riprese, con l’aiuto di allievi fedeli, alcuni dei propri esperimenti.

Per ognuno di essi, spiegò nel dettaglio come era giunto al risultato: è la nascita del metodo scientifico, lo stesso che permetterà ad altri studiosi come Newton e Einstein di formulare le loro teorie, proprio a partire da questo testo chiamato Discorso sopra due nuove scienze che uscirà furtivamente dalla casa come manoscritto e verrà pubblicato in Olanda da dove partirà per diffondersi ovunque.

Alla scoperta dell’universo

Le scoperte, non sono quasi mai frutto dell’ingegno di un solo individuo che raggiunge un’improvvisa illuminazione, ma sono il risultato di un lungo percorso in cui ogni persona dà il proprio contributo. Nella storia della scoperta di Galilei, tanti nomi giocano un ruolo importante, come ad esempio: Ipazia, Giordano Bruno, Copernico, Keplero, Newton, Margherita Hack. Alcuni di loro sono ricordati proprio per i loro scontri con le istituzioni religiose che non si mostravano aperte a nuove possibilità.

Ipazia, capo della scuola neoplatonica d’Alessandria d’Egitto e importante matematica e astronoma, formulò ipotesi riguardo al movimento della terra e venne poi lapidata nel 415 D.C. da alcuni vescovi fanatici dell’epoca; su di lei Margherita Hack disse: “Ipazia rappresentava il simbolo dell’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio cominciò quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tentò di soffocare la ragione”.

La “colpa” di Giordano Bruno qualche secolo dopo, fu invece quella di affermare che Dio è presente in natura e la rende viva, e che il cosmo è infinito. Furono proprio questi pensieri che lo portarono ad essere arso vivo in Campo dei Fiori a Roma nel 1600. Copernico con la sua teoria eliocentrica aprì la strada a Keplero e Galilei, ma fortunatamente per lui, morì in contemporanea alla pubblicazione del proprio libro e non fece in tempo a vederlo messo all’indice.

Ma è solo con l’arrivo di Newton che le vecchie credenze medioevali secondo le quali in cielo valevano leggi diverse da quelle in terra vennero messe a tacere; la concezione eliocentrica del mondo otteneva così, una spiegazione definitiva. Per raccontare la lunga strada che porta alla scoperta dell’universo Margherita Hack disse: “Nell’antichità l’uomo, ingannato dai propri sensi, riteneva che la Terra fosse il centro dell’universo. Poi ha capito che la Terra e i pianeti ruotavano attorno al Sole, posto al centro del sistema solare. In seguito ha compreso che il Sole è una stella come miliardi di altre, mentre l’inganno dei sensi aveva ancora fatto ritenere che il Sole si trovasse al centro della Via Lattea, e che questa abbracciasse tutto l'universo. Nel tempo, ha scoperto che il Sole occupa una posizione periferica nella Via Lattea, che questa è una galassia fra miliardi di altre, e che tutte insieme costituiscono il nostro universo. E ora ci domandiamo: ma questo è veramente tutto ciò che esiste, o è solo un universo fra infiniti altri?

Fede e scienza

Un altro esempio della reazione controversa da parte della religione rispetto ad una scoperta scientifica è senza dubbio il caso della teoria dell’evoluzione delle specie di Charles Darwin. La chiesa infatti, non accettava di buon grado l’idea che noi e le scimmie potessimo essere in qualche modo imparentati e ne nacque un grande dibattito nel 1860 in cui le autorità religiose furono per la prima volta attivamente coinvolte. Di nuovo, come nel caso di Galilei, si andava a mettere in discussione una di quelle convinzioni che esistevano da secoli (il creazionismo in questo caso) e apparivano pertanto incontestabili.

Non tutti gli esponenti della chiesa però rifiutarono gli studi di Darwin, vale infatti la pena ricordare lo scrittore e sacerdote Charles Kingsley, che sin da subito appoggiò le sue teorie dichiarando che “da molto tempo, guardando la traversata di animali addomesticati e piante, imparava a non credere al dogma della permanenza delle specie”. Nel suo celebre libro The water babies criticò aspramente la chiusura mentale di fronte alle nuove scoperte e si fece difensore della natura e degli animali che intendeva come parte integrante del progetto divino. Lo stesso Darwin era un fervente cattolico e si chiedeva come il semplice fatto di affermare l’evoluzione delle specie potesse essere in contrasto con la fede in Dio.

A questo proposito nel Mondo di Sofia di Jostein Gaarder, i protagonisti hanno una conversazione riguardo alla relazione tra le scoperte scientifiche e il sentimento religioso:

“E gli esseri umani dovettero accettare l’idea di vivere su un pianeta qualsiasi nello spazio infinito?” chiese infine. “Sì, la nuova concezione del mondo fu sotto molti aspetti un duro colpo, simile a quello che l’umanità dovrà subire nell’Ottocento a causa delle teorie evoluzionistiche di Charles Darwin. In entrambi i casi gli uomini dovettero rinunciare, almeno in parte, alla loro posizione di privilegio nel creato, e in entrambi i casi la Chiesa si oppose strenuamente.” […] “Quando Newton affermò che le stesse leggi fisiche valgono in tutto l’universo, c’era da credere che egli mettesse in dubbio la fede nell’onnipotenza divina. Invece la fede di Newton in Dio non vacillò affatto: al contrario, egli considerava le leggi naturali una testimonianza della potenza e della grandezza di Dio.”

Alla fine, anche il nostro Galileo si riappacificò con le istituzioni ecclesiastiche quando Papa Wojtyla si scusò con 359 anni, 4 mesi e 9 giorni di ritardo nel 1992. Oggi la chiesa si dimostra sempre più disponibile nei confronti della scienza, ma a noi tutti resta comunque il compito di celebrare il coraggio di donne e uomini come Galileo, che hanno dedicato la propria vita all’amore per la verità in tempi in cui non molti erano disposti a vederla.

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Ulisse, porte aperte sul mito al San Domenico di Forlì https://2020.passaggifestival.it/ulisse-mostra-forli/ Fri, 12 Jun 2020 10:33:47 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=71312 La mostra ha aperto i battenti il 19 maggio ed è un percorso nella storia di uno dei racconti più celebri della storia della letteratura

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Martedì 19 Maggio 2020, Ulisse è tornato a vivere al museo San Domenico di Forlì. All’indomani
della Giornata Internazionale dei Musei, con tutte le precauzioni del caso, finalmente un primo
spiraglio di speranza si è riaperto sul mondo dell’arte.

Il suddetto museo, rappresenta per la città il cuore pulsante della cultura, il luogo in cui recarsi per sentirsi accolti in uno spazio dai mille volti sempre pronto ad incantare. I suoi grandi ambienti adornati da bellissimi affreschi di quello che era un tempo sede di un convento domenicano del XIII secolo, ne fanno poi un’ottima cornice per le appassionanti mostre che si susseguono qui ogni anno.

Un viaggio lungo secoli

“Ulisse. L’arte e il mito”: così è intitolato il percorso che i visitatori sono chiamati ad intraprendere
alla scoperta dell’eroe greco. Un itinerario dove la realtà è sospesa e si avvertono la magia e la
potenza della narrazione di un mito che attraversa i secoli e si fa storia nella storia.

Il visitatore – viaggiatore, si fa strada così nella miscellanea delle 250 opere esposte che lo accompagnano in un’indagine storica dall’archeologia fino alle inquietudini dell’uomo moderno.

La nave, simbolo molto caro al protagonista della mostra, è celebrata nella prima sala del San Giacomo che riserva un posto d’onore al legno di un’imbarcazione mercantile greca risalente al V secolo avanti Cristo. Questo straordinario reperto proveniente da Gela, posto all’inizio della mostra, è da intendere come
un invito ad imbarcarsi nella mitica avventura, muniti dell’immancabile curiosità che è propria di
ogni partenza.

Dopo una prima sezione dedicata all’archeologia greco-romana, si procede in direzione del Medioevo dove, lasciandosi le prime sirene alle spalle, il sommo Poeta accoglie gli ospiti con la suggestiva narrazione del suo ventiseiesimo canto dell’Inferno, che introduce agli affascinanti manoscritti illustrati dell’epoca.

Ulisse approda poi nel Quattrocento dove indossa le vesti dell’uomo rinascimentale e, con la sua storia, diventa il protagonista dei dipinti di cinque cassoni nuziali.

Le vicende dell’eroe nel Cinquecento, poi, insegnano agli uomini ad affrontare difficili prove per avvicinarsi alla virtù e i grandi personaggi dell’epoca richiedono per tanto, realizzazioni di cicli pittorici qui visibili, da esporre nelle proprie dimore.

Il poema omerico, incontra fortuna anche nel corso del Seicento in cui viene celebrato da svariati artisti trai quali vale certamente la pena ricordare Rubens. È questo il medesimo periodo in cui ci si concentra sulla magica figura di Circe che diventa la protagonista di numerose opere.

Proseguendo il cammino, si è nuovamente tentati dalle sirene che incantano dai dipinti dei preraffaelliti, dai quali si fanno portatrici di una nuova femminilità dominata dall’eros che si fonde con la libertà.

Passando poi attraverso il Romanticismo, è possibile perdersi nella contemplazione di opere che portano l’attenzione sulle tematiche drammatiche e commoventi di abbandoni e ritrovamenti.

Avvicinandosi invece al Simbolismo, si respirano la decadenza di fine secolo e le conseguenti rappresentazioni visionarie, che non mancano di affrontare tematiche moderne come quella dell’emancipazione femminile.

Giunti al Novecento, e quindi al termine del viaggio, invece che assistere ad un ritorno, siamo infine
testimoni del suo contrario che si palesa nelle manifestazioni artistiche dell’uomo smarrito del
ventesimo secolo che cerca nell’antico mito di Ulisse un nostalgico ritrovamento dell’identità.

Ulisse: l’eroe umano

Ma chi era Ulisse? E perché è così importante? Il fatto che la sua figura sia stata ripresa più volte
nella storia, come è evidente da questa mostra che ne riporta esempi provenienti dai diversi
linguaggi delle arti visive, dice molto su di lui.

Ulisse ci assomiglia, e di questo se ne sono accorte generazioni di artisti che lo hanno raccontato enfatizzandone diversi aspetti. Dato che lingua e identità sono due concetti interconnessi, è forse a partire dai suoi tanti epiteti e appellativi che si può comprendere la sua essenza.

Omero si serve prevalentemente della parola poly- per descriverlo, che sta appunto per “multi o molti”. Una personalità quindi dotata di diversi attributi che a seconda della situazione, in questo caso, possono essere: polýtropos (dai mille viaggi), polyméchanos (dai molti ingegni), ma anche polymétis (dai mille inganni), o ptolíporthos (saccheggiatore di città).

Odisseo poi, il suo nome originale, deriva dal greco “odussamenos” ovvero “l’odioso”, tutto questo ad
indicare che l’eroe era più umano che mai e, in quanto tale disponeva di tutti i pregi e difetti tipici
degli uomini.

Coraggioso, bugiardo, curioso, scaltro, traditore e viaggiatore, rappresenta l’umanità in tutta la sua imperfetta bellezza. Emblema del viaggio, lui e la sua storia continuano ad intrigarci ed emozionarci facendoci da guida nel nostro percorso, qualunque sia la nostra meta.


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Miles Davis, musica in movimento https://2020.passaggifestival.it/miles-davis/ Tue, 26 May 2020 07:44:09 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=70952 Il 26 maggio del 1926 nasceva a Saint Louis (IL) uno dei più importanti musicisti e compositori nella storia della musica jazz

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Dalla personalità decisa, graffiante ed instancabilmente curiosa, Miles Davis è sempre stato in costante movimento. Seguendo il ritmo incalzante della sua mente creativa, chi si prende del tempo per ascoltare la sua storia, ottiene il ritratto di un uomo spesso incurante delle norme di una società “perbenista”, qualcuno di irriverente capace al contempo di toccarti l’anima con una sola nota.

Nella ricerca ostinata di una propria verità, mai stanco di sperimentare, sconfina poi in terreni lontani dal proprio stile originale nel tentativo di mantenersi al passo coi tempi nella seconda parte della sua carriera musicale, finendo così per diventare una figura controversa nella storia del jazz.

Nonostante ciò, la sua è una musica sincera. Una dote non trascurabile per chi si dedica al genere musicale più onesto e democratico per eccellenza.

Chiunque tenda volenteroso l’orecchio a questi scambi musicali infatti, si accorge senza fatica che si tratta semplicemente di un racconto dell’umanità, un dialogo tra persone che si ascoltano mentre esprimono i propri sentimenti e le proprie idee riguardo alla vita, ed è per questo che si tratta di un linguaggio vero che tutti possono comprendere.

Un inizio memorabile

Miles nasce il 26 maggio del 1926 da una famiglia agiata afro-americana e trascorre la giovinezza a Saint Louis, nello stato dell’Illinois. Incoraggiato dall’amore per la musica dei genitori, a tredici anni riceve una tromba per il compleanno e da quel momento non se ne separa fino alla morte.

Mio padre è ricco, mia mamma è bella. OK? E io so suonare il Blues. Non ho mai sofferto e non intendo soffrire”, dice appunto di sé facendo riferimento al testo del celebre standard jazz “Summertime”.

Trasferitosi a New York per studiare musica (prevalentemente classica) alla prestigiosa Juilliard School of Music, si scopre in realtà molto più interessato alla vivace vita notturna del panorama jazz dell’epoca, dove si lascia inghiottire dalla frenesia di lunghe jam session. Parker, Gillespie e Monk diventano così un valido motivo per cui lasciare gli studi e dare inizio alla propria carriera.

Nella seconda metà degli anni ‘50 crea il memorabile sestetto con John Coltrane e Cannonball Adderley.

È a questo periodo che risalgono i grandi classici a partire dagli album con la casa discografica Prestige fino ai dischi orchestrali come Miles Ahead, Porgy and Bess e Sketches of Spain.

Il suo spirito innovatore, lo porta poi alla creazione dell’album The birth of the cool, punto di partenza del cosiddetto stile cool jazz e al capolavoro per cui è universalmente noto: Kind of Blue, che rivoluziona il jazz dell’epoca e influenza quello successivo, grazie alle sperimentazioni con la musica modale.

Nel 1964 nasce inoltre, un eccezionale quartetto formato da Herbie Hancock, Tony Williams, Ron Carter e Wayne Shorter, in cui Miles dimostra ancora una volta grande apertura mentale e fiuto per i nuovi talenti che lo porta a scegliere di suonare con musicisti in questo caso molto più giovani di lui.

Non una leggenda passata, ma qualcuno che sta ancora facendo

L’onere di una famiglia a carico non riesce comunque a fare di lui un classico padre di famiglia dalla vita tranquilla. Ritrovatosi con dei figli ad una giovane età, non volle rinunciare alle possibilità che offre una carriera artistica.

La sua avventura, tra le altre cose, è segnata dalla dipendenza dalle droghe causa di forti instabilità emotive e di ricadute, che lo portano ad allontanarsi dalla scena per sei lunghi anni nel 1975.

Ma proprio quando nessuno ci spera più, Miles riprende la sua tromba e si avvicina a sonorità moderne tra cui il rock, il funk, il pop e l’elettronica. Fedele alla sua indole di sperimentatore e indifferente alle critiche chiede al pubblico di non continuare ad apprezzarlo soltanto per Kind of Blue ma: “per quello che sto facendo ora”.

Ed è proprio la versione pop di Davis, l’ultima che il mondo vede prima che la polmonite lo uccida nel 1991 all’età di sessantacinque anni.

L’eredità che ci lascia, è grande non solo in termini di musica ma anche umani in quanto le sue sonorità profonde si sono spesso intrecciate anche con quelle della musica bianca.

Sebbene vittima di ingiustizie e sostenitore delle lotte contro la segregazione razziale, Miles non si è mai rifiutato di collaborare con musicisti bianchi e di prendere persino ispirazione da questi, incarnando così alla perfezione l’ideale jazz.

Se la storia di questo genere, è strettamente legata a quella della segregazione, la musica in sé è invece universale perché parla di umanità e affronta temi estranei al concetto di razza.


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Sguardo letterario sui Balcani https://2020.passaggifestival.it/letteratura-balcanica-albania/ Tue, 12 May 2020 05:26:22 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=70618 La letteratura balcanica, negli ultimi anni, si è fatta strada nel panorama italiano. Questa è una realtà che si deve alla dedizione di case editrici come Besa e Bottega Errante

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letteratura balcanica

Letteratura balcanica. Una finestra sullo spettacolare ponte di Mostar, in Bosnia. Foto di AlemCoksa da Pixabay

 

Letteratura balcanica: è da qui che, nella scorsa edizione, Passaggi Festival è partito per ampliare la sua offerta culturale, inaugurando una rassegna dedicata alla narrativa. In particolare, si è deciso iniziare il viaggio a partire dai Balcani, dando vita così ai “Passaggi ad Est” (ospiti Bashkim Shehu, Andrej Nikolaidis, Zdravka Evtimova).

Poco prima tappa dell’epidemia, una delegazione di Passaggi è stata a Tirana, in occasione del primo convegno degli scrittori albanesi della diaspora, perché l’idea portante è quella di arricchire la rassegna con le voci che arrivano dall’altra sponda adriatica e dai Balcani.

Per comprendere lo stato attuale della letteratura balcanica, abbiamo conversato con Livio Muci insieme a Matteo Sabato e Alessandro Venier con Elisa Copetti, rappresentanti rispettivamente delle case editrici Besa Bottega Errante.

Letteratura balcanica. Gli autori: “Un caleidoscopio di voci imperdibili”

La letteratura balcanica, negli ultimi anni, si è fatta strada nel panorama italiano. Questo grazie alla dedizione di case editrici come Besa e Bottega Errante che, anche con l’aiuto di finanziamenti europei per il sostegno alla traduzione e con l’attenzione crescente da parte di festival e fiere dell’editoria, rendono possibile ai lettori italiani la scoperta di un caleidoscopio di voci interessanti.

Chi sono dunque gli autori protagonisti della scena attuale? Se all’appello non mancano grandi classici come le opere di Ivo Andrić e Meša SelimovićBesa riserva un posto d’onore agli scrittori emergenti nella propria rivista “Crocevia”, progetto legato ad un concorso in patria, dove appaiono i nomi più interessanti della letteratura albanese.

Trai vari autori, vale certamente la pena ricordare anche Kòstas Tachtsìs, scrittore greco di qualità, scomparso nel 1988, ma quasi del tutto sconosciuto in Italia e di cui è stata pubblicata l’opera Il resto.

E poi ancora Zuvdija Hodžić, una delle voci montenegrine da conoscere con La stella di David e L’anno di Gusigne, o l’albanese Virgjil Muçi, la cui vivacità culturale ha superato i confini della sua patria e lo ha portato ad essere presentato al Festivaletteratura di Mantova con il suo La piramide degli spiriti.

Segnaliamo, inoltre, la stessa Zdravka Evtimova, la cui straordinaria umanità e lo sguardo crudo e profondo sulla contraddittoria società bulgara l’ha resa un’autrice tradotta in tutto il mondo.

Letteratura balcanica, i temi da romanzi-mondo

Gli scrittori e le scrittrici (queste ultime in leggera prevalenza nelle nuove generazioni) che si dedicano anche alla drammaturgia e sceneggiatura, trattano temi vari e nuovi.

Se da un lato non manca l’attenzione alle storie di regime o a quelle legate all’esodo albanese, dall’altro assistiamo ad una grande apertura nei confronti del mondo. Il viaggio viene individuato come uno dei temi più attuali che, insieme alle descrizioni della terra natale ad opera di seconde generazioni di scrittori che vivono all’estero, crea identità ibride affascinanti che coinvolgono i lettori al punto di generare in loro un sentimento specifico definito da Bottega Errante come “mal dei Balcani”.

Besa descrive tali romanzi come “romanzi-mondo che permettono al lettore di respirare a pieni polmoni non solo usi e costumi di una nazione, ma l’intera visione delle vite e delle relazioni che ci regalano una prospettiva sul mondo diversa dalla nostra”, definendo così l’essenza del viaggio attraverso la lettura.

Gli ostacoli di una letteratura poco sostenibile

Quali dunque le difficoltà del settore? Le criticità maggiori, sembrano riscontrarsi nei fattori
economici.

Per Livio Muci di Besa, che definisce questa letteratura come “poco sostenibile”, la risposta del mercato italiano è ancora troppo debole ed aggiunge: “Ho un’esperienza specifica per aver fatto l’editore in Albania dal 1994 al 2004, anno in cui ho dovuto lasciare perché non riuscivo a gestire le due situazioni contemporaneamente, anni in cui ho vissuto più sulle navi che sulla terraferma. Ebbene non c’è proporzione tra quello che un editore può pubblicare e commercializzare in Albania rispetto all’esiguità italiana; naturalmente a patto che si consideri la proporzionalità tra ricchezza pro-capite e popolazione attiva”.

Bottega Errante, invece, riconduce le cause delle difficoltà economiche soprattutto ad una certa ricercatezza nella cura e nella componente estetica delle opere pubblicate e delle opere di traduzione. “In Italia si traduce poco ma con attenzione” dicono.

Un esempio di lettura viva

Uno speciale riconoscimento, va senza dubbio al valore che i Balcani attribuiscono alla letteratura.

Nonostante Bottega Errante ci ricordi che i prezzi dei libri sono più elevati per i lettori locali rispetto all’Italia, entrambe le case editrici sono concordi nel sottolineare una grande tendenza alla lettura. Si tratta di una lettura “viva”, anche più che in Italia. Qui i servizi di booksharing sono sfruttati al massimo e le biblioteche sono rifornite e numerose.

Besa poi aggiunge: “Bisogna considerare che questi paesi, anche nel pieno del terrore di regimi molto duri, hanno avuto una particolare tendenza alla lettura”. Commento che ci riporta alle drammatica vicenda della “Viječnica”, la grande biblioteca di Sarajevo simbolo di cultura e di incontro per tutti i cittadini tanto che, dopo la distruzione avvenuta nel 1992, furono i cittadini stessi a contribuire fortemente alla rinascita di questo cuore pulsante della cultura balcanica.


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Il resto di Kostas Tachtsìs

La stella di David di Zuvdija Hodžić

L’anno di Gusigne di Zuvdija Hodžić

La piramide degli spiriti di Virgjil Muçi

 

 

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