Luca Cecchini | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ Passaggi Festival. Libri vista mare Thu, 06 Aug 2020 09:12:02 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.5.1 https://2020.passaggifestival.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-nuovo-logo-passaggi-festival_rosso-300x300-1-32x32.jpg Luca Cecchini | Fano – Passaggi Festival https://2020.passaggifestival.it/ 32 32 Adorno: una vita per le masse https://2020.passaggifestival.it/theodor-adorno/ Thu, 06 Aug 2020 09:12:02 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=73740 Un musicista che finì per essere anche un intellettuale, tanto da divenire uno dei fondatori della Scuola di Francoforte.

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Pianista provetto e personaggio poco conosciuto, Theodor L. Wiesengrund nacque a Francoforte sul Meno l’11 settembre del 1903 figlio unico di Oscar Alexander, un commerciante di vini, e di Maria Cavelli-Adorno della Piana, cantante lirica e pianista corsa.

Oltre agli studi sociologici, fu proprio il pianoforte lo strumento che lo accompagnerà per tutta la vita e che lo fece legare in amicizia ad Arnold Schönberg, che Adorno additerà come uno dei più grandi compositori del Novecento.

La Scuola di Francoforte

Nel 1921, a diciott’anni, si iscrive all’Università di Francoforte seguendo i corsi di sociologia, filosofia e musica, ambiti che lo coinvolgeranno per tutta la vita e lo renderanno celebre presso i posteri dopo la morte. Lì conosce filosofi del calibro di Max Horkheimer, Friedrich Pollock e Walter Benjamin con i quali stringe un legame di amicizia e forma la cosiddetta Scuola di Francoforte, un cenacolo sociologico e filosofico in cui i membri erano accomunati dalla critica verso la società presente allontanandosi ideologicamente dal pensiero di Karl Marx, il quale non aveva previsto le evoluzioni socio-economiche come la nascita della grande potenza tedesca, infatti il compito che si propugnavano gli stessi membri consisteva nel fornire una risposta a quanto avvenuto dopo la rivoluzione bolscevica considerata da Adorno e dai suoi colleghi come rivoluzione fallita.

Dopo il quinquennio universitario il suo operato intellettuale non termina, poiché tra il 1928 e il 1932 lo troviamo frequentare i circoli marxisti alternativi di Berlino dove tra i tanti influenti membri conosce il grande letterato e drammaturgo Bertold Brecht, inoltre nel 1931 consegue l’abilitazione all’insegnamento grazie al saggio filosofico Kierkegaard.

Gli anni bui del Nazismo

Tutto questo attivismo intellettuale che caratterizzò la vita dello studioso di Francoforte sarà presto spazzato via dalla venuta del Nazismo, con la salita al potere di Hitler, infatti Adorno assisterà inerme alla chiusura della Scuola di Francoforte.

Sono anni di terrore per il giovane professore, il quale era di origini ebraiche e per scampare alle persecuzioni naziste decise di cambiare il proprio cognome, assumendo quello materno, da Wiesengrund ad Adorno, tuttavia questo non gli fu sufficiente e dovette emigrare a New York nel 1938 dove poté continuare i propri studi e collaborare con l’istituto per la ricerca sociale.

Ritornerà a Francoforte nel 1949 dove muore, a causa di un arresto cardiaco, il 6 agosto 1969 a Visp.

Una dialettica tra compositori

Tra i tanti saggi usciti dal genio di Adorno ricordiamo in particolar modo Filosofia della Musica Moderna, testo complesso in cui ambiti come la sociologia, la filosofia e la musica vanno a stretto contatto, ma per descrivere l’opera al meglio è necessario fare un passo indietro.

Ci troviamo in un Novecento in cui dopo il genio di Richard Wagner si stagliano sulla scena vari compositori di musica classica e leggera, ecco che in questo mare Adorno ci segnala gli unici due veri compositori del secolo, Schönberg e Stravinskij.

La scelta non è casuale e l’ideologia che la giustifica è quella della dialettica di stampo hegeliano, la quale vede porre in netto contrasto i due autori: da una parte troviamo Schönberg e il suo distacco completo con l’intera tradizione musicale precedente avvenuta mediante la tecnica della Dodecafonia; dall’altra parte abbiamo invece un ritorno al passato attraverso l’opera stravijnskiana la quale viene considerata dallo stesso sociologo come neoclassica.

L’analisi di Adorno non si ferma solo all’aspetto musicologico, bensì approfondisce tematiche sociologiche che il filosofo trova espresse nelle opere dei due compositori: in Die Glückliche Hand (La Mano felice) di Schönberg, Adorno denota lo scontro e la sopraffazione da parte dei nuovi modi di produzione tipici del Capitalismo rispetto alla produzione pre-capitalista ormai giunta all’estinzione.

Nelle opere di Stravinskij, invece, emerge l’idea di un Antico che è piuttosto antecedente del passato dionisiaco e di quello germanico proposto l’uno da Nietzsche e l’altro da Wagner: ci troviamo infatti di fronte ad una dimensione tribale in cui l’uomo viene recuperato nella sua selvaggia purezza, non sono esenti sulla scena, quindi, scene di cannibalismo o l’uso di vestiti che si rifanno alle principali culture africane sub-sahariane.

Sulle tracce di Adorno

Per chi abbia voglia approfondire ed esplorare il mondo filosofico-sociologico di Theodor Adorno, consigliamo la lettura delle opere Dialettica negativa, Filosofia della Musica Moderna e Dialettica dell’Illuminismo disponibili presso la casa editrice Einaudi.

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Francesco Petrarca: come le piccole scelte portano a grandi glorie https://2020.passaggifestival.it/francesco-petrarca/ Mon, 20 Jul 2020 14:14:32 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=72333 Il 20 giugno del 1304 nasceva ad Arezzo uno degli autori più importanti della storia della letteratura italiana.

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Ci sono scelte nella vita di un uomo che possono stabilire piccoli cambiamenti. Altre, invece, possono decretare il futuro di cose molto più grandi come, per esempio, la lingua di una nazione e la sua letteratura.

Una di queste scelte fu fatta secoli addietro da un giovanissimo Francesco Petrarca che, tediato dagli studi giuridici impostigli dal padre, decise di dedicarsi agli studi classico-letterari i quali gli valsero la fama del più grande autore preumanista della storia della nostra letteratura.

Nato il 20 luglio del 1304 ad Arezzo, il Petrarca può essere considerato il primo grande intellettuale classificabile come europeo in quanto, sin dall’infanzia, visse in una condizione raminga che lo portò, assieme alla sua famiglia, ad Avignone, città della Provenza, dove si trovava già dal 1309 la corte papale trasferitasi lì a seguito del cosiddetto Scisma d’Occidente.

La vita di corte e l’incontro con Laura

Qui il giovane Francesco ebbe modo di approcciarsi alla vita di corte, criticata da lui stesso come troppo sfarzosa e mondana ma che gli concesse, dopo la morte del padre, impieghi intellettuali e burocratici presso il cardinale Giovanni Colonna.

In quegli anni di soggiorno ad Avignone, precisamente il 10 aprile dell’anno 1327, Petrarca incontrò Laura, donna che sarà oggetto della raccolta poetica dei Rerum Vulgarium Fragmenta (o Canzoniere), opera che sarà classificata come capolavoro sia dai contemporanei che dai posteri.

Giudicata dallo stesso autore con il termine nugae (“cose di poco conto”, “sciocchezze”), questa opera può essere considerata lo snodo principale attraverso cui filtrò tutta la tradizione poetica precedente allo stesso Petrarca e che sarà valutata, soprattutto nel Cinquecento grazie ad intellettuali come Pietro Bembo e Antonio Sebastiano Minturno, come modello poetico per eccellenza.

Il latino come mezzo di comunicazione internazionale e la gloria poetica

Grazie al già accennato impiego presso il cardinale Colonna, Petrarca prese gli ordini minori divenendo chierico e ciò gli garantì dei benefici economici che gli concessero di viaggiare per l’Europa e accedere al materiale librario delle più importanti abbazie del suo tempo come la Biblioteca Apostolica Vaticana e la Biblioteca Capitolare di Liegi.

Oltre che essere un poeta e un uomo di corte, Petrarca fu un grandissimo cultore dell’antichità romano-classica e ciò lo spinse alla ricerca delle grandi opere del passato di cui ormai se ne era persa ogni traccia. Basti pensare che è grazie al suo operato se si possiedono opere come la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e le Epistulae ad Familiares di Cicerone.

In merito a quest’ultima scoperta è noto lo sdegno e lo stupore che provò il nostro nella lettura di un Cicerone più intimo e meno eloquente. Di lui infatti gli intellettuali medievali possedevano soltanto qualche orazione politica stilata con un latino lessicalmente aulico.

Durante questi viaggi, inoltre, Petrarca ebbe modo di conoscere e stringere contatti con i personaggi più influenti del suo tempo con i quali intratteneva rapporti epistolari in latino. Il suo amore per questa lingua era intenso. Infatti, oltre che scriverlo e parlalo, si narra che egli pensasse in un latino ripulito da ogni influenza medievale e che si accostava nella sua limpidezza a quello di Virgilio e di Cicerone.

Seguendo il modello dei grandi autori del passato, il Petrarca era avido di gloria e di onori e perciò desiderava che gli fosse concessa un’incoronazione poetica in Roma proprio come avveniva nei tempi antichi; nell’anno 1341 fu incoronato poeta laureato presso il Campidoglio e di tale titolo se ne fregiò in ogni sua opera in quanto per quel tempo era l’unico intellettuale a potersi vantare di questa grandissima onorificenza.

Il vero padre della lingua italiana

Francesco Petrarca non è stato solo un’intellettuale di spessore durante la sua vita, in quanto dopo la sua morte, avvenuta nella notte tra il 18 e il 19 luglio del 1374 ad Arquà sui Colli Euganei, fu subito acclamato come il “successore” di Dante Alighieri.

Oggigiorno quest’ultimo viene riconosciuto come il padre della lingua italiana, anche se non sarebbe propriamente corretto definirlo così poiché, quando nel 1525 il già citato Pietro Bembo stilò l’opera Prose de la volgar lingua in cui fornì il canone linguistico-letterario, egli vide nell’opera petrarchesca del Canzoniere l’unico modello linguistico e stilistico valido che porterà alla nascita della lingua italiana così come noi la conosciamo oggi.

Sulle tracce del Petrarca: consigli di lettura

Per meglio conoscere e approfondire la vita di Francesco Petrarca e le sue opere, consigliamo la lettura del Canzoniere commentato da Marco Santagata e pubblicato da Mondadori. Sempre dal pugno dello stesso studioso segnaliamo il saggio L’amoroso pensiero. Petrarca e il romanzo di Laura (edizioni Mondadori).

Tra le altre opere petrarchesche citiamo il Secretum e I Trionfi, pubblicati dalla casa editrice BUR.


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Niccolò Machiavelli, un forgiatore di scettri https://2020.passaggifestival.it/niccolo-machiavelli/ Sun, 03 May 2020 10:31:01 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=70419 Nato a Firenze nel 1469 ottenne la sua prima carica politica all'età di 29 ani e da quel momento ha iniziato a ricoprire ruoli sempre più importanti nella diplomazia del tempo

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Tra le varie memorie familiari, stese durante l’epoca umanistico-rinascimentale, capita di imbattersi in ritratti di giovani rampolli intenti a seguire il proprio padre, in giro per la città, nella direzione degli affari domestici e delle trattative commerciali.

Tra queste memorie ci viene tramandata l’immagine di un giovane vestito in elegante gonnellino che, assieme al proprio genitore, salda i conti relativi ai fiaschi di vino nei pressi di Ponte Santa Trinita.

Ci troviamo di fronte, dunque, ad un’immagine consueta per quei tempi e che potrebbe passare benissimo in secondo piano, se nonché quel bambino di sette anni menzionato sopra si chiamava Niccolò Machiavelli.

Figlio di una famiglia di commercianti, Niccolò Machiavelli nacque a Firenze il 3 maggio del 1469. Di lui si possiedono scarse informazioni riguardanti il primo periodo della sua vita, ma è lo stesso Machiavelli a fornirci le notizie sullo stato economico della famiglia: in una lettera infatti affermò nacqui povero e imparai prima a stentare che a godere.

Le condizioni economiche della famiglia Machiavelli, quindi, non erano propriamente agiate ma consentirono comunque al piccolo Niccolò di intraprendere una carriera di studi umanistici di tutto rispetto che gli permise di conoscere quegli autori da cui non si separerà mai e che definirà “cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui”.

La scalata politica e le missioni diplomatiche

All’età di 29 anni, precisamente nel giugno del 1498, Niccolò Machiavelli ottenne la prima carica politica come segretario della seconda cancelleria; questo inizio fu una sorta di trampolino di lancio per il novello magistrato che si trovò, nel luglio dello stesso anno, a divenire segretario dell’ambita magistratura denominata Dieci di libertà e pace.

Tale carica gli concesse di agire nei campi della politica interna ed estera della Repubblica fiorentina mediante missioni diplomatiche che lo impegnarono sia nel continente europeo, che nella penisola italiana.

Queste cariche politiche permisero a Macchiavelli di operare nei ranghi più alti della politica perfino divenendo collaboratore di Pier Soderini, gonfaloniere della Repubblica fiorentina.

Ciò che Machiavelli trasse da quegli anni di operato fu la possibilità di toccare con mano, attraverso le missioni diplomatiche, le varie realtà politiche delle principali potenze europee e italiane, tra le quali segnaliamo il suo viaggio in Francia e in Germania,le cui esperienze confluirono negli scritti intitolati Ritratto delle cose di Francia e Ritratto delle cose della Magna.

Ancor di più gli valse, grazie ad una missione compiuta nel giugno del 1502, la conoscenza di Cesare Borgia, detto il duca Valentino, che in quegli anni si era impadronito della Romagna e del Ducato di Urbino; il rappresentante della Repubblica fiorentina rimase talmente affascinato dall’audacia e dalla spregiudicatezza di quest’uomo da additarlo come esempio di virtù all’interno dell’opera che lo rese celebre presso i posteri, Il Principe.

Il Principe e la Ragion di Stato

Frutto delle riflessioni maturate durante il primo decennio del Cinquecento nel quale Machiavelli si trovava in esilio dopo la presa di potere da parte della famiglia Medici, Il Principe è, a detta dello stesso autore, un opuscolo scritto con lo scopo di guidare il regnante di qualsiasi stato nella presa e nella conservazione del potere.

Tale opera destò sin da subito scalpore per il suo contenuto altamente innovativo e che non si allineava per nulla a quegli Specula Principis, ovvero quei manualetti di origine medievale, che fornivano al sovrano un’immagine ideale di sé stesso, il quale doveva esercitare una serie di virtù come per esempio la clemenza, la giustizia e la liberalità.

Machiavelli invece non propose un modello ideale di far politica, bensì affermò una visione totalmente reale in cui l’unico fine, a cui il sovrano doveva tendere, era il compimento della Ragion di Stato, la quale consisteva nella salvaguardia e nel mantenimento dello stato stesso mediante ogni mezzo a lui concesso, operando perfino attraverso la crudeltà e la menzogna.

Quanto detto è frutto di un’ideologia pessimistica nei confronti dell’uomo, che viene paragonato ad un centauro e stando alle parole dello stesso Machiavelli gli uomini dimenticano piuttosto la morte del padre che la perdita del patrimonio, quindi colui che intende governarli deve necessariamente agire in maniera cinica e spregiudicata affinché il proprio stato non vada in rovina.

L’importanza della Storia

L’autore che, a detta del Foscolo, “temprò lo scettro a’ regnatori“, ci consegna molto di più che un semplice manualetto di scienza politica: scritto negli anni più neri del Rinascimento, quando le truppe francesi e imperiali devastavano l’Italia facendosi guerra, Il Principe è un’esortazione all’autonomia dell’Italia, la quale doveva essere liberata dai cosiddetti barbari e guidata da un signore virtuoso capace di donare alla penisola l’antica gloria e l’antica pace da tempo perdute.

Per fare ciò Machiavelli si avvale di un’arma che oggigiorno viene scartata a priori, la Storia: questa scienza fu riconosciuta dal politico fiorentino come un bacino di esempi volti all’uso affinché l’Uomo impari dai propri errori e possa rendere alla posterità un futuro migliore.

Sulle tracce del Principe

Data l’importanza che Machiavelli esercitò presso la posterità sul piano letterario e sociopolitico, molto si è scritto su di lui, segnaliamo dunque i principali testi e saggi per chi si volesse approcciarsi alla figura del segretario fiorentino.

Senza dubbio tra i testi primari non può mancare Il Principe con il saggio introduttivo del celebre critico letterario Vittore Branca e Istorie Fiorentine e altre opere storiche e politiche, opera curata dal critico Alessandro Montevecchi.

Tra le tante opere saggistiche spuntano Niccolò Machiavelli – Ragione e Pazzia di Michele Ciliberto e Il sorriso di Niccolò-Storia di Machiavelli di Maurizio Viroli.

In ultima istanza consigliamo un testo per tutti coloro che non si sono mai approcciati alla realtà intellettuale umanistico-rinascimentale, si tratta del saggio La mente inquieta, scritto dal filosofo Massimo Cacciari il quale è stato anche ospite a Passaggi Festival nell’estate del 2018.


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I Promessi Sposi: il vero come oggetto e la nascita di un classico https://2020.passaggifestival.it/i-promessi-sposi/ Fri, 24 Apr 2020 08:41:01 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=69956 Il 24 aprile di quasi due secoli fa Alessandro Manzoni stendeva leprime righe che avrebbero formato l’incipit di una delle opere più grandi della Letteratura Italiana.

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“Quel ramo del lago di Como d’onde esce l’Adda”. Così il 24 aprile di quasi due secoli fa Alessandro Manzoni stendeva quelle prime righe che avrebbero formato l’incipit di una delle opere più grandi della Letteratura Italiana, I Promessi Sposi. Correva l’anno 1821 e Manzoni stava portando a compimento l’Adelchi, una tragedia che aveva come sfondo storico un’Italia longobarda assediata dall’esercito franco di Carlo Magno.

Durante la stesura della suddetta opera però l’autore si rese conto che per esprimere al meglio la sua poetica, la quale intendeva realizzare il vero come oggetto, aveva bisogno di un nuovo genere letterario che gli consentisse di adempiere a questo fine. Ecco che, dunque, nacque la prima redazione del celeberrimo romanzo manzoniano, il quale ebbe all’epoca il titolo, poi modificato, di Fermo e Lucia.

L’opera fu successivamente corretta nel 1824 e vide la sua prima pubblicazione nell’anno 1827, con il famoso titolo de I Promessi Sposi, redazione nota anche con il nome di Ventisettana.

Un’opera saggistica in fase di elaborazione

L’edizione del Fermo e Lucia differiva completamente da quella della Ventisettana. La prima infatti si presentava più come un saggio nel quale prevaleva un tono polemico e a cui si accompagnava una documentazione storica. Questa differenza tra le due edizioni si stagliava anche dal punto di vista linguistico.

Manzoni puntava, infatti, a raggiungere un pubblico vasto e, per adempiere a questo scopo, si servì di una lingua formata da una base di toscano letterario e arricchita da termini derivanti dal linguaggio parlato appartenenti alla lingua francese e al dialetto milanese.

La tappa intermedia della Ventisettana

Con la redazione della Ventisettana, invece, l’autore decise di orientarsi esclusivamente dal punto di vista linguistico verso il toscano parlato dalle persone colte. Intraprese quindi una lenta e minuziosa operazione di sostituzione riguardante i vocaboli e le espressioni convertite dalla lingua milanese a quella toscana.

Manzoni, tuttavia, non rimase soddisfatto della revisione effettuata e decise di rimettere mano al testo che sarebbe approdato alla sua versione definitiva, la Quarantana.

La Quarantana e il genio linguistico manzoniano

Pubblicata sotto forma di dispense, dal 1840 al 1842, l’edizione detta Quarantana è considerata non soltanto una semplice revisione del romanzo, bensì la concretizzazione di una fortunata teoria linguistica.

Per mezzo di essa Manzoni trovò la soluzione definitiva alla questione linguistica, che proprio in quegli anni, era oggetto di dibattito presso gli intellettuali italiani.

L’autore ritenne che quella da impiegare nelle opere letterarie non era la parlata inconsueta degli autori trecenteschi e cinquecenteschi, bensì una lingua viva e utilizzabile sia nella letteratura sia nella vita sociale; in particolar modo Manzoni indirizzò la sua scelta nel fiorentino colto, il quale era usato in quegli anni a Firenze dalle classi medio-alte della popolazione.

Un classico intramontabile: i Promessi Sposi

Da quel lontano 1842, I Promessi Sposi divennero un classico della Letteratura Italiana e fu presto inserito nei programmi scolastici; tutti noi, infatti, sui banchi di scuola ci siamo ritrovati di fronte a qualche passo tratto dalla celeberrima opera manzoniana. La sua fortuna non deve essere soltanto considerata in base alla vicenda scritta dall’autore, bensì il romanzo deve essere preso in considerazione anche e soprattutto dal punto di vista linguistico.

Revisionando pezzo dopo pezzo quest’opera, Alessandro Manzoni è stato capace di contribuire all’evoluzione e alla formazione della lingua italiana come oggi noi la conosciamo.

Non sbagliano quindi gli studiosi di Storia della Lingua nell’affermare che l’italiano parlato ai giorni nostri è figlio più del genio manzoniano che di quello dantesco, in quanto la realtà su cui Manzoni fonda la sua teoria linguistica è concretamente più vicina alla nostra.


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Christopher Tolkien, una vita per la Terra di Mezzo https://2020.passaggifestival.it/christopher-tolkien-scrittore-editore/ Wed, 11 Mar 2020 19:53:14 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=67490 Christopher Tolkien, figlio del grande autore J.R.R. Tolkien, scrittore a sua volta ma anche curatore delle straordinarie opere postume del padre che hanno segnato il panorama letterario fantasy del Novecento.

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Christopher Tolkien

Lo scorso 16 gennaio su Twitter, la Tolkien Society, l’associazione letteraria no profit che ha l’obiettivo di divulgare le opere dell’autore J. R. R. Tolkien, ha annunciato la morte, alla veneranda età di 95 anni, di Christopher Tolkien, scrittore ed editore nonché figlio del già citato J. R. R. Tolkien, autore di opere quali Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e Il Silmarillion.

Terzogenito di quattro figli, Christopher Tolkien è nato il 21 novembre del 1924 a Leeds, in Inghilterra. Durante la Seconda Guerra Mondiale ha servito il proprio Paese come aviatore per la Royal Air Force, ma di certo non è questo il motivo per cui viene ricordato oggigiorno. 

Infatti, oltre ad essere figlio di uno degli autori che più ha segnato con le sue opere il panorama letterario fantasy del Novecento, Christopher Tolkien fu, al tempo delle stesure delle opere paterne, il primo lettore se non uno dei primi critici, dando così un contributo sostanziale nella stesura di quelle opere ben salde nel nostro immaginario collettivo.

Un bambino e un futuro pilota come critici letterari

Tolkien, non a caso, scrisse e pubblicò nel 1937 il romanzo Lo Hobbit come fiaba da raccontare ai figli: Christopher, allora tredicenne, fu il primo a leggere l’opera. 

Come lo stesso J. R. R. Tolkien affermò nel suo epistolario (pubblicato in Italia dalla casa editrice Bompiani sotto il titolo J. R. R. Tolkien, Lettere 1914/1973) durante la stesura dei suoi due principali romanzi si servì in maniera costante delle critiche sia da parte dei suoi figli sia da persone esterne alla sua famiglia: gli appassionati tolkeniani non possono infatti  dimenticare la magnifica ed efficace recensione che fece il piccolo Rayner, figlio dell’editore Stanley Unwin, del romanzo Lo Hobbit.

Con la successiva stesura de Il Signore degli Anelli, avvenuta a più riprese tra il 1937 e il 1949, Tolkien si servì principalmente, se non esclusivamente, di Christopher come critico di questa opera.

Quest’ultimo in quegli anni, precisamente nel 1944, si trovava in Sud Africa come pilota per conto della Royal Air Force. Nonostante i pericoli della guerra, Christopher riuscì a leggere e commentare i vari capitoli e le ricche documentazioni sul romanzo che il padre gli inviò man mano, aiutandolo fino alla pubblicazione avvenuta nel 1954.

Il miracolo ri-compositivo de Il Silmarillion 

Con la morte del padre, avvenuta nel 2 settembre del 1973, Christopher fu l’unico dei quattro figli di Tolkien ad ereditare il patrimonio letterario allora inedito del padre; inoltre seguì le orme del genitore esercitando la professione di insegnante di lingua inglese presso il New College di Oxford, carica da lui ricoperta dal 1964 al 1975.

La vera svolta nel panorama letterario fantasy arrivò nel 1977 con la pubblicazione de Il Silmarillion.

Dopo la morte del padre, infatti, Christopher iniziò un lungo lavoro di riorganizzazione di tutti gli scritti che includevano note e scartoffie manoscritte in foglietti spaiati: un lavoro enorme svolto assieme all’autore canadese Guy Gavriel Kay. Entrambi riuscirono a ricomporre e a infondere nuova linfa a ciò che era stato per il padre il lavoro di tutta una vita.

Concepito come corpus mitologico della Terra di Mezzo (l’universo inventato da Tolkien) Il Silmarillion vide la sua prima stesura tra i rimbombi dei mortai presso il fronte della Somme nel 1917, in piena Prima Guerra mondiale.

Ci troviamo di fronte, dunque, all’opera tolkeniana per eccellenza, che l’autore scrisse e revisionò fino all’ultimo istante della sua vita e che, forse anche per questo, fu pubblicata postuma.

Grazie al lavoro di Christopher, infatti, è stato possibile, per tutti i lettori delle opere paterne di contestualizzare i romanzi pubblicati in vita e soprattutto rendere quello che prima era una semplice lettura, un vero e proprio oggetto di studio, il quale viene tuttora approfondito nelle sedi universitarie.

La morte di Christopher Tolkien pertanto non è la scomparsa di un uomo che ebbe la fortuna di avere come padre un personaggio del calibro di Tolkien, bensì una personalità che seppe non render vani gli sforzi del padre.

Pubblicandone le opere inedite, Christopher Tolkien è riuscito a rivelare al grande pubblico ed alla stessa critica letteraria la grande opera e soprattutto il grande genio di quell’uomo che fu J. R. R. Tolkien.

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Giornata Internazionale della Radio https://2020.passaggifestival.it/giornata-internazionale-radio/ Wed, 12 Feb 2020 14:28:53 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=66873 Il 13 febbraio si celebra la giornata internazionale della radio, un mezzo di comunicazione che si è trasformato nel tempo senza mai perdere la sua forza.

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Giornata internazionale della Radio

La radio, sin dalla sua invenzione da parte dell’imprenditore Guglielmo Marconi nel 1897, si è inserita sempre di più nel contesto della vita quotidiana.

Lo strumento inizialmente è stato utilizzato per le comunicazioni a distanza, ad esempio tra Europa e America attraverso l’impiego del codice Morse, un sistema per trasmettere lettere, numeri e segni di punteggiatura tramite un segnale in codice ad intermittenza.

Uno dei celebri protagonisti di queste prime trasmissioni radiofoniche fu il transatlantico Titanic, che durante il tragico naufragio il 14 aprile 1912, lanciò l’apposito segnale Morse di soccorso, noto a tutti come SOS.

Col passare degli anni la radio fu sempre più perfezionata fino ad essere impiegata, sia per l’informazione politica, che per lo svago e l’intrattenimento musicale.

La radio in guerra

La radio divenne un potente alleato, per non dire un’arma, con cui gli stati democratici e i principali regimi totalitari del Novecento entravano nelle case del popolo per divulgare notizie ed ideologie.

Le principali informazioni che caratterizzano le fasi salienti della nostra storia contemporanea, furono diffuse proprio attraverso la radio: un esempio su tutti è la comunicazione trasmessa dal maresciallo Pietro Badoglio l’8 settembre del 1943, che sancì l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati.

Se si parla poi della Seconda Guerra mondiale si deve assolutamente menzionare Radio Londra, l’insieme dei programmi radiofonici trasmessi dalla radio inglese BBC e indirizzati alle popolazioni europee continentali a partire dal 27 settembre del 1938.

Tale radio, considerata fuorilegge dai principali regimi totalitari, trasmetteva i suoi “messaggi speciali” sulle vicende di guerra con un apposito linguaggio in codice.

La radio come fruitrice di svago e libertà

Nel dopo-guerra la radio divenne anche uno strumento di svago adatto per tutte le generazioni.

Proprio dalla radio, infatti, venivano diffusi e resi popolari i principali brani musicali degli anni Cinquanta e Sessanta.

Se i nostri nonni ascoltavano, timorosi, le tragiche notizie belliche che sconvolgevano il mondo, i nostri genitori hanno avuto la fortuna di cantare e ballare sulle musiche che, ai loro tempi, la radio trasmetteva.

Ecco allora irrompere nei salotti degli italiani i programmi radiofonici che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese, si pensi a Bandiera Gialla diretto dalla coppia Arbore-Boncompagni o allo stesso Festival di Sanremo che, sin dalla prima edizione, nel 1951, è stato trasmesso in diretta radiofonica.

Gli anni Settanta costituirono, invece, il decennio delle cosiddette radio libere, emittenti di piccole dimensioni, che trasmettevano musica, ma trattavano anche argomenti legati all’attualità e alla politica.

Tra queste, ricordiamo Radio Aut fondata nel 1977 da Peppino Impastato, con lo scopo di combattere la mafia nelle zone di Cinisi e Palermo.

L’avvento di Internet e l’occultamento radiofonico

Il sociologo spagnolo Manuel Castells, mette a confronto la velocità odierna con il ritmo di cambiamento precedente:

Negli Stati Uniti la radio ha impiegato trent’anni per raggiungere sessanta milioni di persone, la televisione ha raggiunto questo livello di diffusione in quindici anni; Internet lo ha fatto in soli tre anni dalla nascita del world wide web.

L’innovazione tecnologica nel campo della comunicazione ha determinato una vera e propria trasformazione e i “vecchi media” si sono dovuti adeguare di conseguenza.

Nel caso specifico della radio, si sono sviluppate, in America, nei primi anni novanta, le web radio in cui vennero pubblicati i primi podcast su Internet che offrivano la possibilità di scaricare e ascoltare in qualsiasi momento il contenuto registrato.

In questo modo, l’utente sceglieva cosa e quando ascoltare i diversi contenuti, senza dover rispettare i vincoli della programmazione e del palinsesto radiofonico.

Il podcast diventa uno strumento sempre più utilizzato, soprattutto dalle nuove generazioni, proprio perchè presenta:

  • un linguaggio più chiaro,
  • maggiore immediatezza e fruibilità dei contenuti,
  • la possibilità di ascoltare solo argomenti che effettivamente interessano,
  • l’opportunità di essere sia fruitori che autori, perchè consente di dare voce a diverse realtà.

 Radio, someone still loves you.

La radio è sempre stata un mezzo utile per l’umanità, rendendo possibile una comunicazione di tipo globale.

E’ simbolo di cooperazione e di condivisione, ed è un vero e proprio fenomeno sociale capace di attrarre a sé grandi e piccini, uomini e donne di tante generazioni.

Ha avuto la forza di resistere ad Internet, strumento ben più potente in termini di velocità, di capillarità e di diffusione di notizie e contenuti, riuscendo sempre a rinnovarsi e a consentire una maggiore libertà di espressione e di confronto, grazie ad una tecnologia che nel tempo è divenuta più semplice ed immediata.

Passaggi Festival considera la radio un importante ed insostituibile strumento di comunicazione, di intrattenimento e di diffusione della cultura.

Per questo, si avvale della collaborazione di Rai Radio 3 (media partner nazionale) con la quale organizza, all’interno del Festival la rassegna ‘Ad alta voce’ e di Radio Fano (media partner locale).

 

 

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La pirateria, un danno economico e sociale https://2020.passaggifestival.it/pirateria-piaga-sociale-economica/ Sat, 01 Feb 2020 12:45:17 +0000 https://2020.passaggifestival.it/?p=66792 Il web è il canale con il più alto numero di atti di pirateria, un fenomeno che sta provocando un danno oltre che economico anche e soprattutto sociale.

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Pirateria

Leggere è un atto quotidiano e accompagna l’uomo da secoli, ma con lo sviluppo delle tecnologie digitali si è arrivati a rendere più semplice e più veloce l’acquisizione di quelle conoscenze che fino a pochi decenni fa erano disponibili soltanto su carta.

Il digitale, però, ha anche fatto nascere un processo corrosivo come la pirateria, che sta dilagando in tutto il mondo, Italia compresa, danneggiando pesantemente il mercato editoriale.

La pirateria e l’ammontare delle perdite

Stando alle fonti, si calcola che in Italia sono stati persi 528 milioni di euro, pari al 23% del valore del mercato, per colpa di questa dilagante piaga, a cui si annette un deficit di 1,3 miliardi di euro.

Oltre al danno pecuniario vi è anche un danno che possiamo definire come umanitario, cioè la perdita di 8.800 posti di lavoro.

A questo dannoso fenomeno il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che si occupa di Editoria, Andrea Martella, si oppone con una “campagna istituzionale” di sensibilizzazione degli utenti.

Martella riconosce che nel settore editoriale, in particolar modo in quello relativo al genere saggistico e alla fiction, si continua ad avere una perdita pari a 29,2 milioni di copie all’anno che porta a un danno del fatturato pari a 324 milioni di euro.

Seguono le copie perse nel settore universitario, le quali corrispondono ad un valore economico di 105 milioni, mentre per quanto riguarda il settore editoriale professionale e bancario le perdite ammontano a 99 milioni di euro.

Il Web come fruitore di pirateria

Il principale canale in cui avvengono questi atti, che sono veri e propri furti, è il web.

Un servizio del quotidiano La Stampa, ci spiega che un italiano su quattro sopra i 15 anni ha almeno una volta scaricato gratuitamente un e-book o un audiolibro da siti illegali, si parla quindi di un numero pari al 25%.

“Il 17%  – prosegue il quotidiano torinese – ha ricevuto da amici/familiari almeno un ebook, l’8% ha ricevuto da amici/conoscenti almeno un libro fotocopiato. L’incidenza della pirateria è particolarmente alta tra i lettori forti (lettura giornaliera o settimanale) di libri cartacei (45%), tra quelli di ebook (68%), e tra quelli di audiolibri e podcast (66%)”.

Tramite , che ammonta al 68%, rispetto agli atti di pirateria relativi ai libri su supporto cartaceo, i quali appunto ammontano ad una cifra del 45%.

La pirateria: un danno economico e umanitario

In tutto ciò gli italiani si pongono in maniera palesemente ambigua.

A segnalarcelo è l’agenzia Ipsos: il suo presidente, Nando Pagnoncelli (ospite dell’edizione 2019 di Passaggi Festival), dichiara che l’84% degli italiani, su di un campione di 4.000 intervistati, è consapevole che “piratare” libri o e-book da siti web sia illegale, ma una buona fetta (il 39%) lo considera un comportamento poco grave.

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