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“Nessuno può darti la libertà. Nessuno può darti l’ uguaglianza o la giustizia o qualsiasi altra cosa. Se sei un uomo, te le prendi.”

Il 19 Maggio 2020 si ricorda la nascita di Malcolm Little, al secolo Malcolm X, una delle figure più controverse della storia degli Stati Uniti d’America.

La sua breve esistenza, scandita da cadute e risalite, morti e rinascite, è stata caratterizzata dalla voglia di non arrendersi, dalla necessità di cambiare la propria situazione e quella degli altri afroamericani, vittime di una società xenofoba fondata dalla “razza bianca”.

Come in un viaggio dantesco, Malcolm Little, soprannominato “Red” per l’insolito colore rosso dei capelli o “Little Satan”, ha vissuto l’inferno della prigione e nel momento più drammatico della sua esistenza ha trovato nuova forza per continuare a combattere attraverso la religione islamica ed immergendosi totalmente nella lettura, diventando in breve tempo uno dei più importanti leader nella lotta per i diritti degli afroamericani, nonché uno dei più discussi.

Un destino già scritto

Malcolm Little nasce il 19 Maggio 1925 ad Omaha (Nebraska). Sua madre, Louise Little, originaria di Grenada, era per metà bianca, essendo nata in seguito ad uno stupro. Il padre era un predicatore battista, tale Earl Little, un fervente sostenitore delle idee dello scrittore giamaicano Marcus Garvey, il quale auspicava il miglioramento delle condizioni degli afroamericani negli Stati Uniti ed il loro il ritorno in Africa, la loro terra d’origine.

Il primo episodio che sconvolge la vita di Malcolm è la morte del padre nel 1931 (quando lui aveva appena sei anni). Ufficialmente investito da un tram, Malcolm sostenne sempre il coinvolgimento della “Legione nera”, un gruppo di fautori della “supremazia bianca” vicino al Ku Klux Klan che da anni tormentava Earl e la sua famiglia.

Questo episodio verrà riportato dallo stesso Malcolm nella sua autobiografia dal titolo omonimo, scritta nel 1965 insieme al giornalista Alex Haley.

Il secondo episodio è di qualche anno dopo, quando, da studente modello, Malcolm decide di abbandonare la scuola, in seguito alle parole del suo insegnante preferito che posero fine al suo sogno di diventare avvocato, giudicato dal maestro “non un obiettivo realistico per un negro”.

La conversione di Malcolm X

Lasciata la scuola, Malcolm trova lavoro come lustrascarpe e in seguito come cameriere su un treno, finché spostandosi ad Harlem (New York), cuore della cultura afroamericana, decide di “sbarcare il lunario” attraverso attività illegali, tra cui spaccio di droga, gioco d’azzardo, estorsione e rapina, ragione per cui viene arrestato nel 1946 e condannato a 10 anni di carcere.

In prigione, grazie ad un compagno di carcere, viene a conoscenza del gruppo NOI (Nazione dell’Islam) e del suo capo, Elijah Muhammad. Malcolm rimane affascinato dal pensiero di quest’ultimo.

Muhammad, attraverso la propria organizzazione, predicava la conversione all’Islam e il ritorno in Africa da parte degli afroamericani, strappati dalle proprie terre e tradizioni dall’uomo bianco, per essere usati come schiavi. Egli inoltre, appoggiando l’ideologia del “nazionalismo nero”, auspicava la creazione di una nazione nera separata, all’interno degli Stati Uniti.

Malcolm Little, seguendo gli esempi del suo nuovo mentore, decide di convertirsi alla religione islamica e abbandonare il proprio cognome, che gli schiavi acquisivano dal proprio padrone, scegliendo quella “X” con cui verrà sempre ricordato.

In questo frangente trova rifugio anche nella cultura e nello studio: trascrive, in cella, un dizionario intero e inizia a leggere opere di filosofia e storia. Comprende il ruolo fondamentale dell’istruzione nella lotta per l’emancipazione:

“L’istruzione è il nostro passaporto per il futuro, perché il domani appartiene alle persone che lo preparano oggi”.

Gli anni dell’attivismo

Uscito di prigione nel 1952, Malcolm X ha modo di conoscere di persona Elijah Muhammad, divenendo ben presto il suo braccio destro e ministro del Tempio numero due della NOI.

In questi anni di comizi e discorsi che rimarranno impressi nella storia, Malcolm X, con il proprio carisma e
con la propria rabbia, si fa portavoce della lotta degli afroamericani contro le ingiustizie e la violenza perpetuata da parte dell’uomo bianco.

La Nazione dell’Islam, dal 1952 al 1963 vede, grazie al lavoro di Malcolm, un enorme incremento del numero di iscritti, passando da cinquecento a trentamila membri.

La Cia e l’Fbi intanto iniziano ad indagare su di lui, sia per una sua presunta vicinanza all’ideologia comunista, sia per il suo continuo inneggiare alla violenza come risposta e come unico fondamentale diritto della comunità nera.

Il successo ottenuto da Malcolm X comincia però, ad essere considerato ingombrante anche per la stessa Nazione dell’Islam ed Elijah Muhammad inizia a temere un suo tradimento.

Nel novembre del 1963, davanti ai giornalisti, commentando la morte di John Kennedy, Malcolm dice: “Quando i polli tornano a casa per farsi arrostire io non sono triste”.

In seguito allo scalpore per queste parole, la Noi si distanzia da lui, vietandogli di tenere discorsi pubblici per almeno novanta giorni. Malcolm X decide allora di abbandonare l’organizzazione e fondare un
nuovo movimento, il Muslim Mosque, inc.

Nel 1964 Malcolm si reca in Egitto ed in seguito alla Mecca ed in lui avviene un altro cambiamento. Non solo abbraccia la corrente sunnita dell’Islam e sceglie il nome islamico di El-Hajj Malik El-Shabazz, ma una volta tornato negli Stati Uniti, inizia a parlare di diritti umani inalienabili per tutti, non soltanto per gli afroamericani.

Insieme al giornalista A.Peter Baily, inoltre, fonda l’Organizzazione per l’Unità Afro-americana (OAAU).

La morte di Malcolm X

Fin dal suo ritorno negli Stati Uniti, Malcolm e la sua famiglia sono vittime di diversi attentati e minacce.

Il 21 Febbraio 1965 egli viene invitato a tenere un discorso all’Audon Ballroom di Manhattan (New York), davanti a 400 persone, compresa sua moglie e le sue figlie.

Durante l’ intervento, tre persone, poi identificate come membri della NOI, si alzano in piedi in mezzo al pubblico e iniziano a sparare.

Malcolm X muore così, a 39 anni; sul suo corpo vengono trovate ventuno ferite da arma da fuoco, inferte non da membri di un’organizzazione estremista per la “supremazia bianca”, ma  da quelle persone di cui si era sempre fatto portavoce.

L’eredità

L’eredità lasciata da Malcolm X, al pari di quella di Martin Luther King jr, è incommensurabile e per questo è giusto oggi ricordare uno dei leader più grandi della storia afroamericana.

Contemporaneo a King, Malcolm ha sempre avuto idee molto diverse, sebbene nell’ultimo periodo della loro vita i due si fossero avvicinati.

Egli ha sempre considerato la politica non violenta del reverendo impraticabile, l’autodifesa era a suo dire, l’unico modo di portare un reale cambiamento; mentre l’uno parlava del “sogno”, l’altro parlava dell’”incubo americano”.

Martin Luther King veniva dal mondo piccolo borghese di Atlanta, mentre la rabbia di Malcolm X veniva dalla strada, dalla povertà e dalle ingiustizie perpetuate dall’”uomo bianco”, ai danni della comunità nera in America.

Ogni uomo vittima di soprusi avrebbe potuto nascondersi dietro quella X, dietro a quel volto e a quella voce che inneggiavano al cambiamento, “con ogni mezzo necessario”.

Dall’autobiografia di Malcolm X, il regista Spike Lee ha tratto l’omonimo film nel 1992, con una grande interpretazione di un giovane Denzel Washington.

Nelle ultime sequenze del film viene mostrato un discorso toccante di Nelson Mandela, prima di questo, le parole di una maestra ai suoi studenti: “Il 19 Maggio, noi celebriamo la nascita di Malcolm X, perché è stato un grande, grande afro-americano. Malcolm X siete voi, ognuno di voi, e voi siete Malcolm X”


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