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di Mattia Bernardini

 

Il cielo grigio come la polvere si rifletteva cupo e limaccioso sulla superficie leggermente increspata dell’acqua torbida. Era un miracolo, che ci fosse ancora acqua, pensò distrattamente Groodie. Sporca, piena di fango e pietre, ma pur sempre acqua. Si chinò a bere, con rapidi colpi della ruvida lingua, sempre tenendo un occhio fisso intorno. Di alberi ne erano rimasti in piedi veramente pochi. Di foglie verdi, neanche a parlarne.
C’era solo lei… Impavida, gracile per quanto forte, lontana e irraggiungibile. In qualche modo era riuscita a sopravvivere per tutti questi lunghi anni di stenti e fatica… Una piccola e rigogliosa mangrovia.
Proprio al centro della tetra palude che un tempo, quando Groodie aveva solo poche lune, era parte di una rigogliosa foresta tropicale che ospitava più forme di vita di quante se ne possa immaginare.
Da quando il disco infuocato rosso era sparito, inghiottito da quel mare di polvere e nebbia color antracite che era diventato il cielo della Terra, lentamente (ma nemmeno troppo) tutto si era trasformato, e la grande foresta verde era diventata una palude fangosa colma di scheletri, ossa e marciume. Era tutto spento, grigio e morto, da quando la luce se n’era andata. Solo i fuochi fatui brillavano di notte, leggere fiammelle blu che danzavano galleggiando leggiadre sulla superficie dell’acqua melmosa. A parte questo, null’altro risplendeva più di luce propria.

Groodie aveva smesso da tempo di sperare nel ritorno del disco infuocato, su nel cielo. Aveva smesso da tempo di struggersi con l’idea del ritorno ai tempi gloriosi dei suoi primi anni di vita. Il grande sasso incandescente caduto dal cielo aveva portato via, con il tempo, anche la sua speranza, oltre che tutto il verde della Terra.
A volte si domandava ancora perché, mentre tutti gli esseri morivano di fame e stenti, lui era riuscito a sopravvivere. La verità era che probabilmente era stato un puro miracolo. Per lunghi anni aveva migrato nelle giungle ricoperte di polvere, scappando dai predatori, nutrendosi delle foglie ingiallite delle piante ormai morte a causa dell’assenza del disco infuocato. Poi, la giungla era diventata un deserto straziante e spento. I colli lunghi, che essendo enormi creature necessitavano di molto cibo, erano stati fra i primi a desistere, seguiti poi da tutti gli altri. E infine, anche i predatori avevano cominciato a morire, per la mancanza di prede. Groodie aveva smesso di preoccuparsi di tutto questo da molto tempo… Una sola preoccupazione lo divorava, in maniera assurda e maniacale… Quella di continuare a sopravvivere.

La mangrovia era là, non troppo distante, al centro della palude. Bevve ancora qualche sorso, poi alzo la testa con il pesante corno allungato posteriore, e sempre guardandosi intorno, indietreggiò guardingo.
Lo spinosauro era da qualche parte, nascosto nell’acqua. Enorme, mostruoso. Come poteva un creatura così mastodontica essere sopravvissuta per anni? Come poteva aver trovato sostentamento per la sua mole, in quel deserto del nulla, grigio e tetro come le lande desolate oltre i picchi innevati?
Forse, esattamente come era successo a Groodie, per puro caso. O più probabilmente, come testimoniavano le innumerevoli ossa che ogni tanto tornavano a galla fra le acque limacciose, si era eletto guardiano della palude, ed il prezzo per chi si avvicinava all’isolotto verde centrale non era nient’altro che una dolorosa e straziante morte. Il problema era che Groodie doveva arrivare alla mangrovia, se voleva assaporare ancora l’ultima manciata di foglie miracolosamente verdi rimaste nella palude. E lo spinosauro, allo stesso modo, doveva affondare i suoi denti aguzzi nella carne di Groodie, se voleva sperare di sopravvivere qualche altra luna ancora.
In un modo o nell’altro, uno dei due non avrebbe più visto la luce… Ammesso che fosse mai tornata a splendere, prima o poi.

La lunga coda di Groodie urtò un tronco spezzato, che si sbriciolò come polvere pochi instanti dopo. Il terreno era scuro, fangoso, coperto di piccole chiazze bianche di gelo e neve. Non esistevano più le stagioni, da quando il sasso era caduto ed il disco infuocato era sparito dal cielo. Non esisteva più pioggia né vento. Solo un inferno di polvere e gelo. Groodie guardò verso centro della palude. Qualcosa si mosse, fra la melma. Nel punto in cui
l’acqua era più profonda, un paio di bolle salirono in superficie, gorgogliando.

Faceva freddo. Sempre troppo freddo, da quando il disco infuocato se n’era andato. Un volatile nero si stagliò nel cielo nuvoloso, seguito a ruota da un altro paio. Erano piccoli. Quelli grossi, con le ali enormi ed una protuberanza cornea come quella di Groodie dietro la testa, erano spariti da un pezzo. E anche quelli piccoli, ormai non ne potevano più. Per anni avevano rosicato tutte le ossa delle carcasse che trovavano, ma non era abbastanza. Niente era abbastanza, per nessun essere… Esclusi ovviamente i coccodrilli, che per qualche assurda ragione, continuavano imperterriti la loro esistenza come se nulla fosse accaduto.
A proposito, c’erano coccodrilli nella palude, oltre allo spinosauro?? Groodie non lo sapeva. Ma presumeva proprio di no. Quel mostro non avrebbe mai lasciato che qualcun altro girellasse indisturbato intorno alla mangrovia.

La mangrovia… Riusciva a vederla, seppure lontana, ma più che altro, riusciva a sentirla. Quel profumo inconfondibile di clorofilla, così soavemente dolce in mezzo ad un mare di marciume, fango e morte. Così irresistibile… Le bolle sparirono. Groodie aspettò qualche secondo, poi entrò con le grandi zampe nell’acqua
scura. La coda lo bilanciava perfettamente, mentre affondava sul fondo melmoso, e si lasciava andare immergendosi con gli occhi a pelo dell’acqua. Innumerevoli sciami di piccoli insetti tempestavano la superficie della laguna. Per qualche strano motivo, come i coccodrilli, anch’essi non volevano mollare l’osso, e continuavano imperterriti ad infestare ogni luogo, proliferando nelle carogne. L’acqua era densa, ed era difficile nuotare. Ma Groodie era abituato. Il suo corpo squamato e voluminoso si muoveva restando a galla senza sforzo. La mangrovia era là, ormai sempre più vicina. Un’isola galleggiante di tronchi ed arbusti gli sbarrava la strada, proprio a metà via. Fece per aggirarla, accorgendosi troppo tardi del proprio errore.

Una voragine si apri in mezzo ai rami. L’acqua fangosa schizzò ovunque. La vela enorme fu la prima cosa ad uscire fuori. Un ampio ventaglio costellato di lunghe spine ossee che scaturivano dalla schiena del mostro disegnando un profilo a cresta d’onda. Poi la coda, enorme, possente. Infine, la testa mostruosa, simile a quella dei coccodrilli, ma ancora più grande, con gli occhi rossi iniettati di sangue ed i denti aguzzi che scintillavano nel
buio della palude. Groodie si allontanò con un vigoroso colpo di coda, ma il mostro era agile, veloce, enorme. Gli
si gettò addosso, azzannando l’aria a pochi passi dalla sua schiena. Una, due, tre volte. L’aveva mancato di un soffio! Groodie lottava nuotando disperatamente per raggiungere la mangrovia. Voleva solo assaggiare
per un’ultima volta una foglia verde… E morire così felice, con il sapore idilliaco sulla lingua ruvida, prima di spirare e lasciare questa esistenza di stenti. Un’ultima volta, un ultimo istante. Un pensiero a tutti i suoi antenati, agli spiriti della foresta, ai tempi gloriosi in cui le creature con le tre corna correvano in branco per le praterie.
Lo spinosauro gli piombò addosso lanciando un gemito di puro odio e furore. Gli occhi accecati dalla fame, le zanne avide di sangue, gli artigli ricurvi e letali. Groodie c’era quasi, ancora qualche passo, ancora un piccolo sforzo… Ecco, la foglia verde, ecco la mangrovia, ecco gli antenati che lo salutavano dal cielo…

“Matteo! È pronta la cena!” urlò la mamma, prima di piombare in camera all’improvviso. Il bambino lascio cadere i pupazzetti per lo spavento.
“Dai, su, non farmelo ripetere un’altra volta. Sono dieci minuti che ti chiamo!” disse la mamma, con un sorriso sulle labbra. “Mamma, sto giocando!” protestò Matteo, raccogliendo i suoi dinosauri dal gommoso tappeto rosso componibile. “Forza, non fare i capricci” insistette la mamma. “Ho fatto le cotolette di merluzzo che ti
piacciono tanto”. Gli occhi del bambino si illuminarono. “Con gli spinaci??” chiese.
La mamma sorrise ancora di più, mostrando i denti bianchi. “Sì, certo, con gli spinaci. Forza, vai a lavarti le mani e vieni a tavola”. Matteo corse in bagno, si lavò le mani, e poi si gettò a tavola stringendo il coltello e la forchetta con i pugni, e battendoli sul tavolo. “Merluzzo e spinaci!”, urlò tutto contento.
Il babbo rise. Il televisore era sintonizzato sul telegiornale, a basso volume.
“Possiamo spegnere quella roba, almeno mentre si mangia??” disse la mamma. Lui alzò le spalle, e premette il tasto sul telecomando. Lo schermo mandò una scintilla, e l’immagine morì, spegnendosi di colpo.
“Matteo fai piano, sembra che non mangi da un secolo!”.
“Groodie non la penserebbe allo stesso modo” replicò il bambino, con la bocca piena. “Metti che cade un meteorite e muoiono tutte le piante?? Bisogna mangiare velocemente, finché si può!” concluse euforico. Gli spinaci erano deliziosi, e lui ci andava matto. Proprio come Groodie. La madre alzò gli occhi al cielo. “Forse non è stata una buona idea regalargli il cofanetto di Jurassic Park per il compleanno” ammise, allungandosi sul tavolo per prendere la brocca d’acqua. Il padre allungò una mano e scompigliò i capelli del figlioletto.
“Invece io penso proprio che sia stata una ottima idea”, sentenziò soddisfatto.

Oltre la finestra, il disco infuocato era ancora un pelo sopra l’orizzonte, ad occidente. Lanciava i suoi raggi ovunque, colorando di arancione il profilo dei monti, e facendo risplendere di rosa e oro i contorni delle candide nubi che navigavano lente in cielo. Alla fine, dopotutto, era tornato.
E ci sarebbe rimasto ancora per un bel pezzo.

Nota dell’autore
Ovviamente, come è ben noto, al momento del limite K-T, ovvero la grande estinzione di massa del Cretaceo Paleocene (sessantacinque milioni di anni fa), sia lo Spinosauro che il Parasaurolophus erano già scomparsi da qualche decina di milioni di anni. Ma in fondo, un bambino di sette anni potrebbe anche non saperlo, no?

 


Mattia Bernardini, trentatré anni, vive a Sestino in provincia di Arezzo, è un ingegnere elettronico, musicista e scrittore italiano. Mezzo toscano e mezzo romagnolo, vive al confine fra queste due regioni in mezzo ai monti selvaggi dell’Appennino. Oltre al lavoro come progettista hardware, suona la chitarra elettrica in due gruppi musicali italiani che godono di una buona notorietà all’estero: Manovalanza e NH3.
Fin da ragazzo ha sempre tenuto diari personali che narrano le avventure vissute suonando in giro per l’Italia e per il mondo. Nel 2017 una di queste avventure è diventata la sua prima pubblicazione. Il libro, intitolato “La buena onda” (StreetLib), è un dettagliato diario di viaggio della rocambolesca tournée dei Manovalanza in Messico del 2015.
“Qualche rotella fuori posto” è la sua seconda opera, un romanzo originale in cui i temi principali sono skateboard, musica, emarginazione e, soprattutto, amicizia.

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