balcone-storia-valentina-risi

di Valentina Risi

 

Il malessere è iniziato da due giorni, il momento si avvicina. Trovare sollievo è sempre più difficile, Miriam apre lo stesso l’acqua calda, è già nuda, entra nella doccia, lascia che il getto scorra addosso. Edda, la confidente di sempre le aveva raccontato del rimedio della doccia, eppure lei, che adesso sta piangendo, non riesce a trovare tregua e solo il getto delle lacrime sembra sostenerla. Si asciuga con calma e si riveste, chiama un taxi e prende la valigia lì da mesi, le azioni sono rallentate dalle fitte ora sempre più vicine e dalla paura di svenire da un momento all’altro. È sola, ma questo lo sapeva già.

Il taxi l’accompagna al pronto soccorso dell’Ospedale Bambin Gesù, è quasi mezzanotte e per fortuna non c’è traffico, ma deve avere la faccia di porcellana perché subito arriva “Giulia”, così legge sul cartellino, la rassicura e la sostiene. Ormai manca poco. Giordano sceglie di venire al mondo in un lunedì qualsiasi: sono le 2.30, pesa 3. 340 kg ed è lungo 51 centimetri. Ha dormito tutta la notte e con lui anche Miriam.
Sono tornati a casa, Edda è passata a salutare e a dare una mano, Maddalena, la signora dell’appartamento accanto, ha messo dei palloncini di benvenuto all’ingresso eppure Miriam non accenna un sorriso, anzi ringrazia e chiede alle due amiche, con cortesia, di lasciarla sola.
Il bambino sta riposando nella camera da letto, così Miriam prova a riordinare la casa lasciata in tutta fretta qualche giorno prima, le pesa raccogliere gli asciugamani delle docce buttati a terra, il bicchiere con ancora la tisana al timo che non è riuscita a bere, la sua biancheria sparsa tra il bagno e il salotto, la canotta turchese cambiata in tutta fretta appoggiata sul lavandino. Quel disordine però le fa tenerezza e mentre si guarda attorno arrancando su ogni cosa, l’occhio le cade sulla fotografia lasciata in bella mostra nel terzo ripiano della libreria, un reparto visitato spesso: Leonardo Sciascia, Yukio Mishima e Amos Oz. Miriam la prende e la guarda ancora, si avvicina al balcone per osservarla meglio, è in bianco e nero e pure un poco scolorita.

Il ragazzo indossa una camicia chiara e dei pantaloni più corti delle sue gambe, un paio di bretelle li tengono su, una mano è nella tasca e l’altra tiene la sigaretta che sta aspirando. E’ in posa: sguardo da sbruffone sicuro del fatto suo, una sfrontatezza tradita da quella coppola sghemba che probabilmente lo fa sorridere perché la bocca accenna una smorfia divertita. L’osserva con attenzione e nota che l’occhio sinistro è socchiuso, come se il sole lo stesse accecando, ma non è una reazione, è una malinconia. Col destro pavoneggia la sua determinazione, dal sinistro sembra trasparire l’ombra di un turbamento intimo. Adesso Miriam copre con la sua mano l’occhio destro del ragazzo nella foto per guardare meglio il sinistro, si, è uno sguardo pieno di tristezza, lacrime pronte a
cadere e l’impotenza di uno che vorrebbe chiedere aiuto e non sa farlo.

Cleto, suo zio, il ragazzo di ventiquattro anni che in quella stagione indefinita posava spavaldo davanti alla macchina fotografica si è suicidato e nessuno ha mai saputo perché. Era solo, nel casolare di campagna, con
un buco in testa e il fucile ancora in mano. Lo trovò sua madre, caduto sulla paglia con la testa poggiata su un lato di sangue rosso scuro. Quel ricordo la scuote, le sembra di rompere uno gioco di specchi in quella fotografia. Si ritrae con un passo indietro prima di lasciarlo andare e la fa cadere a terra come un piatto bollente che ti scotta le dita. Va in camera da letto a controllare che Giordano dorma ancora: il petto del bambino si solleva lentamente, è tranquillo e dorme profondamente, si sente rassicurata, raggiunge il rubinetto e sciacqua via il turbamento.

Si rifugia in un ricordo di felicità. I primi tempi con Antonio, la smania di vederlo e l’emozione che la faceva
tornare ragazzina ogni volta che si organizzavano per incontrarsi, il timore, l’impaccio tutte le volte che lo
baciava e la voragine che le si apriva nel petto ad ogni separazione.
Giordano era stato concepito un sabato pomeriggio d’estate, un weekend che avevano tanto atteso e più
volte rimandato, esitanti, accampando impegni dell’uno o dell’altra, poi un venerdì avevano infilato qualcosa in uno zaino ed erano partiti per quell’albergo a picco sul mare.
Fecero il gioco di riconoscere le diverse imbarcazioni che navigavano o sostavano al largo; sotto la pergola c’era una coppia, leggevano e fumavano. La stanza era sospesa come un’altra barca al largo, tanto il mare era vicino che lo guardarono stesi sul letto. L’amore fu lento, mosso, il letto così le parve, beccheggiava in quell’amore calmo, un continuo baciarsi e accarezzarsi per tutto il pomeriggio. Sudarono, bagnati, nudi fino a tarda sera. Quando tornarono in sé, il mare era puntellato dalle luci delle barche.

Si separarono e non fu semplice. Dicono che la disperazione dell’addio è la vetta dell’amore. Chissà, Antonio semplicemente non ce l’aveva fatta a cambiare vita, a trasferirsi in un’altra città, a condividere la casa e la libertà con Miriam. Antonio sapeva e non diceva che era solo egoismo il suo, che l’amore non c’entrava, perché lui l’amava, che con lei era ogni giorno su un ottovolante, che poi venne il loro bambino, un’inedita felicità gli provocava una felicità disse. Non era sufficiente, pensò lei quando le disse solo “Non sono pronto” e se ne andò di punto in bianco. Miriam si tormentò per giorni, non riusciva a darsi una spiegazione e ogni ricordo era un brivido che la riconduceva a quella intimità che avevano costruito, non solo il sesso, erano le parole che si dicevano, era lo slancio di baci e altre carezze, era la naturalezza con cui si raccontavano e si capivano. Era quella complicità che li faceva sembrare una coppia di lunga data eppure si conoscevano solo da cinque mesi.

La fotografia di zio Cleto le ricordava le sensazioni dei primi mesi senza Antonio, riviveva quella disperazione che ti tortura giorno e notte. Pensò a Edda, a quanto fossero inutili i suoi tentativi di sollevarle il morale mentre lei sprofondava senza reagire in una sua solitudine che in quei momenti soltanto le sembrò di capire.
Ci fu una notte, al quinto mese di gravidanza, che Miriam si era alzata di scatto e in dormiveglia aveva spalancato la finestra della sua stanza, fuori c’era la luna piena che illuminava gli alberi sulla strada, le luci nelle case erano tutte spente e sotto la sua finestra, quattro metri più in basso, la luce lunare riflessa dalla carrozzeria di una fila di macchine parcheggiate lì sotto. Un paesaggio notturno inedito, le parve per qualche istante, mai la città le era sembrata emanare una sua sconosciuta poetica. Con le mani aggrappate e la pancia appoggiata contro il davanzale, la gamba pronta a scavallare, Miriam penso che sì, era una giusta soluzione, un altro atto di liberazione poteva essere l’ultimo atto della sua vita, perché nel pieno della solitudine non c’era spazio per lei e per il bambino.

Ma a quel punto Giordano aveva iniziato a scalciare, le sembravano i piedi quelli che spingevano sullo stomaco e la spinta le arrivava fino al petto, un altro movimento nella parte basse del suo ventre, come un pesciolino che nuota da una parte all’altra della vasca, salì il singhiozzo, si staccò dal marmo e cominciò ad accarezzarsi la pancia. Piangeva, si disse, con gocce che anticipano un violento temporale di fine estate.

Così la fotografia dello zio Cleto diventò un pugno di coriandoli, sfogliandoli, li chiuse nel sacco verde della pattumiera, si assicurò che Giordano non si fosse svegliato e corse a buttare tutto nel cassonetto fuori al palazzo. Rientrò che in casa c’era un’atmosfera diversa, le sembrò che il disordine avesse ceduto a un bozzolo confortevole dove il pianto di Giordano, sveglio e affamato, le sembrò sostituire tutti i vuoti e le voragini di quelle storie di uomini, dissolvendo tutta la nostalgia rivissuta in quel pomeriggio, il primo pomeriggio che trascorrevano insieme a casa, il primo di una lunga serie con un uomo nuovo.

 


 

Valentina Risi, 36 anni di Palomonte in provincia di Salerno, è una conduttrice radiofonica di una emittente locale e da tre anni è stata eletta consigliere comunale nel suo paese. “Leggere, passeggiare e viaggiare -ci scrive- sono le mie attività preferite anche quando il tempo libero scarseggia”.  

CONDIVIDI!