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L’ultimo incontro della giornata alla San Francesco ha avuto come protagonisti due autori albanesi Arben Dedja e Durim Taci che hanno presentato le loro opere, rispettivamente Trattato di medicina in 19 racconti e ½ (Vague Edizioni) ed Extra Time (la tua seconda persona) edito da Mimesis Edizioni.
Europa/Mediterraneo
Il legame con gli autori albanesi non è nuovo per il Festival: la Rassegna di Narrativa Europa/Mediterraneo è stata inaugurata lo scorso anni con l’intento di sottolineare il legame storico e culturale profondo che intercorre tra i paesi che sono collegati e allo stesso tempo separati dal Mar Adriatico. Ad intervistare i due autori c’era la giornalista del Corriere della Sera Jessica Chia che ha ricordato all’inizio dell’intervento la generosità del premier albanese Edi Rama che, nel momento più cupo della pandemia, ha mandato trenta medici a Bergamo.
È intervenuta sul palco anche L’ambasciatrice albanese che ci ha tenuto a sottolineare come queste figure siano un patrimonio sia per la letteratura albanese che per quella italiana.
Trattato di medicina in 19 racconti e ½
Arben Dedja presenta il suo Trattato di medicina in 19 racconti e ½ edito da Vague Edizioni. La Chia sottolinea come il libro sia pervaso da una componente ironica: ciò che accade negli ospedali, e che solitamente è riportato evidenziando la tragicità del luogo, diventa tragicomico e macabro nei racconti di Dedja che è un medico come suo padre e suo nonno prima di lui e che esercita la professione a Padova.
Il bilinguismo
il tema della lingua usato nella scrittura è centrale e viene analizzato più volte durante l’incontro: si tratta, infatti, di scrittori albanesi che scrivono in italiano.
Dedja spiega come gli intellettuali nell’Albania comunista facessero a gara a per far imparare ai figli più lingue straniere. L’autore racconta come tutto ciò avesse anche la necessaria copertura, una frase di Marx infatti recitava: “A foreign language is a weapon in the struggle of life” (Una lingua straniera è l’arma nella lotta della vita, ndr). Indubbiamente è traumatico e dispendioso di energie per la mente usare più lingue ma Dedja afferma di voler comunque rimanere in questa “su questo bilico”.
Anche Durim Taci si è confrontato con il tema del bilinguismo. Racconta di aver trovato a quattordici anni una rivista lasciata in spiaggia da diplomatici italiani: Taci ha conservato quella rivista per anni ammaliato dalle immagini splendide della Basilicata che emergevano dalle pagine. L’autore racconta di come l’unico modo per sopravvivere a quella dittatura durante la quale è cresciuto era il fascino per la cultura italiana. Da quella rivista Taci è arrivato poi a tradurre Svevo.
Extra Time (la tua seconda persona)
“La mia opera è un’uscita di casa” dice Durim Taci: raccoglie la strada, raccoglie il viaggio concepito sempre e solo come un ritorno e non come un “andare verso”. Taci ha avvertito la necessità di raccogliere ciò che vedeva per impastarlo con la sua storia. La storia di Taci è stata definita dall’autore “trans-autobiografica”: quando si scrive un’autobiografia, secondo Taci, non si può essere del tutto sinceri ed obbiettivi, “Quel ‘trans’, infatti”, dice Taci, “Sta per tramite: un passaggio che è inevitabile che ci sia nel raccontare la propria esperienza”.
Le emozioni non si possono scrivere ma si possono proiettare: questo libro è frutto di una perdita. Extra Time è ciò che viene trovato quando si perde qualcosa e si cerca un senso, è il tempo in più, in cui riflettere e ricercare.
Italia/Albania
I due autori hanno concluso l’incontro riflettendo sulla reale identità delle loro opere: “Si tratta di opere italiane o albanesi?” chiede Jessica Chia. Per Taci è il contesto culturale, la connotazione culturale, l’approccio a rendere l’opera parte della letteratura italiana. Per Dedja, invece, la chiave sta nel riconoscere di avere due punti di riferimento, in questo caso l’Italia e l’Albania: “Riscrivere il testo in due lingue da la possibilità di fondere razionalità ed istinto”.