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Oggi esce in Italia il libro del regista, sceneggiatore e produttore Oliver Stone: Cercando la luce. Scrivere, dirigere e sopravvivere, edito da La Nave di Teseo. Ospite di Passaggi 2020, ieri Stone ha aperto la Rassegna Grandi Autori in Piazza XX Settembre. Il regista ha conversato con Silvia Bizio, Corrispondente de La Repubblica da Los Angeles e Collaboratrice di Genoma Films.
25 cents per una storia
Il libro è una biografia incentrata su un periodo specifico della sua vita: quello che va dai 30 ai 40 anni. In realtà il racconto è costellato di flashback legati alla genesi della sua passione per il cinema e la scrittura. Effettivamente Stone iniziò a scrivere molto presto: quando aveva 7 anni il padre gli chiedeva spesso di scrivere brevi storie (2/3 pagine) in poco tempo per 25 cents. Sempre il padre avrebbe stimolato in lui l’interesse e la passione per il cinema: un interesse critico e consapevole, “A quattordici anni mi portava a vedere i film e poi ci concentravamo sugli aspetti tecnici, sulle problematiche”, racconta Oliver Stone.
Anni di crisi
A 19 anni Stone ha una visione del mondo oscura, sta affrontando un momento difficile, si sente perso e parte verso il Sud-Est asiatico. In Vietnam insegna, poi ricopre diverse posizioni lavorative. Di lì a due anni vi tornerà come soldato arruolato nell’Esercito degli Stati Uniti.
La guerra in Vietnam, oltre a costituire successivamente il soggetto di diverse opere, gli consentirà anche di pagarsi la scuola di cinema a New York. Dopo la laurea inizia per lui un nuovo periodo difficile: senza contatti con il mondo di Hollywood, per sette anni cerca di affermarsi senza mai riscuotere successo. A 30 anni si ritrova povero, con un matrimonio fallito alle spalle, “Perso come Dante”, ci dice, “Ma ogni sogno ha un fallimento che lo accompagna”.
La svolta: trovare un significato al fallimento
Lo spartiacque nella sua vita è un evento drammatico: la morte della sua nonna francese, alla quale era molto legato, lo porta a porsi importanti domande: “Come si cresce? Come si processano le memorie?”. Oliver Stone capisce così che deve fare i conti con il suo passato, soprattutto con le esperienze più difficili e drammatiche. Stone si rende conto che non ha veramente mai elaborato il periodo della Guerra in Vietnam e nel ’76 scrive la sceneggiatura di Platoon. L’obbiettivo è trovare il significato di quella Guerra e trovare, così, significato al fallimento in generale.
La Guerra in Vietnam: una narrazione sbagliata
La Guerra era risultata in una sconfitta per il Vietnam ma era stato sicuramente un drammatico fallimento anche per gli USA. In quegli anni Stone cerca in tutti i modi di rimpiazzare la narrazione edulcorata, che fino ad allora si era fatta del conflitto, con una narrazione dura e sincera. Hollywood sembra, però, più interessata ad un racconto caratterizzato dal successo, dalle figure eroiche in grado di alimentare il mito dell’America, un’America che non voleva riconoscere in alcun modo il proprio fallimento. In quel periodo spopolano i film con Sylvester Stallone e Chuck Norris, per Stone, invece, i rifiuti furono numerosi.
Il sogno diventa reale
Ancora una volta rifiutato ed incompreso, Oliver Stone si trasferisce prima a New York e poi in Europa. A questo punto un piccolo produttore indipendente inglese, John Daly, decide di correre il rischio e di dargli fiducia. Daly, dopo aver letto le sceneggiature di Salvador e di Platoon, chiese a Stone quale dei due avrebbe voluto girare prima. Con questa domanda, “la domanda dei sogni per ogni regista”, iniziò la sua ascesa.
Nel 1986 finalmente esce Platoon. È un film controverso che, inizialmente, viene proiettato in America solo in poche sale indipendenti: l’America sembra non voler accettare il fatto che molte delle sue vittime erano cadute in Vietnam proprio a causa del fuoco amico, per errori di comunicazione, per incompetenza e frustrazione. In poco tempo, però, il film ottiene un successo inimmaginabile e si ritrova ad incassare 140 milioni di dollari. A 40 anni Stone viene catapultato “In cima al mondo per la prima volta”: è Elizabeth Taylor a consegnargli l’Oscar, il mito della sua adolescenza.
L’importanza dell’elaborazione
Stone ha concluso il suo intervento raccontando il valore che la scrittura di questo libro ha avuto per lui. “Ho realizzato i miei sogni quando era già in età avanzata”, dice, “Quando scrivi un libro su un momento della tua vita ed hai la possibilità di guardare a quello che è stato è come riviverlo una seconda volta”. Rivivere un periodo incredibile, un periodo di dolore e rinascita, e riviverlo con la lucidità e la maturità dell’età avanzata è un’enorme opportunità. “E proprio quest’età matura”, conclude Stone, “Sarà la protagonista del suo prossimo libro”.