Indice
- 1 Il primo romanzo: la forza di Matilde
- 2 Le differenze tra autrice e protagonista
- 3 Un romanzo “il più autentico possibile”
- 4 I problemi alimentari: la ribellione
- 5 Alcuni dati
- 6 La diversa visione dell’anoressia
- 7 Gli uomini di Matilde
- 8 La visione della madre
- 9 Gli Stati Uniti: un mondo che offre a tutti delle possibilità
Nella seconda giornata di Passaggi Festival si è tenuto l’incontro della Rassegna di Saggistica (e non solo), che ha visto protagonista Costanza Rizzacasa D’Orsogna autrice di Non superare le dosi consigliate (Guanda). La scrittrice ha conversato con Flavia Fratello, giornalista di La 7 e Tiziana Ragni, alias Meri Pop, di Repubblica Live, rinominate “Le signore della San Francesco”.
Il primo romanzo: la forza di Matilde
Costanza Rizzacasa D’Orsogna scrive sul Corriere della Sera e sul supplemento La Lettura. Non superare le dosi consigliate (Guanda) è il suo primo romanzo e prende a piene mani dalla sua autobiografia, che ha molto da condividere con la protagonista Matilde. Anche lei infatti da piccola prendeva il lassativo Dulcolax per i suoi problemi di peso, su indicazione della madre bulimica.
Matilde è una bambina sovrappeso, presa in giro da tutti. A diciotto anni, per una forma di ribellione, rifiuta il cibo e da 80 kg passa a 40 kg. Poi per una serie di vicende, tra cui una relazione amorosa tossica, arriva a 130 kg, anzi 131 kg. Questo romanzo è una storia cruda, senza un lieto fine, ma durante il percorso mette a confronto noi stessi con certi fantasmi, perché ognuno di noi ha avuto a che fare con l’accettazione di sé e degli altri. Ogni pagina arriva come un pugno diritto allo stomaco. Non è detto che il lieto fine sia quello che ci aspettiamo, forse c’è comunque, ma diverso. Non ci sono eroi, né vincitori ma tutto il romanzo ha una grandissima forza, che permea ogni riga e che emerge quando Matilde sembra avere toccato il fondo ma qualcuno le scava ancora più a fondo.
Le differenze tra autrice e protagonista
Spesso non c’è nella vita un momento in cui si dice basta, anzi si va avanti senza rendersi conto di quanto si è forti. Costanza e Matilde sono vicine da bambine, poi da adulte hanno alcune cose simili ma le reazioni sono diverse perché nell’autrice c’è una certa presa di coscienza. A Matilde infatti manca quel fervore analitico di studiare ogni aspetto oppure la ricchezza di essere bilingue, che sono aspetti che hanno aiutato Costanza. Matilde è più persa nella sua condizione reale, annaspa e nemmeno si rende conto di essere forte.
Un romanzo “il più autentico possibile”
Costanza Rizzacasa D’Orsogna voleva creare un romanzo il più autentico possibile, dicendo tutto su ciò che prova una bambina a cui si dà il Dulcorax e che di notte va in bagno quindici volte. Per farlo aveva degli strumenti in più rispetto ad altre persone, ad esempio una madre bulimica. Al tempo della madre tali disturbi dell’alimentazione non erano riconosciuti, non avevano nemmeno un nome. Se non si sa nemmeno di cosa si soffre non si ha nemmeno un punto di partenza per guarire, né un piano d’azione.
Il romanzo rispecchia a pieno l’idea dell’autrice, cioè di narrare ciò che si prova quando si ha un peso di 131 kg. L’idea principale non è quindi quella di fare l’attivista o di promuovere certe tematiche come il body shaming, però questa parte ha preso un po’ il sopravvento sul suo intento letterario, sulla poesia che voleva creare, anche citando autori americani poco diffusi.
I problemi alimentari: la ribellione
Il libro non ha un finale positivo perché i disturbi alimentari sono qualcosa che rimane tutta la vita, cioè anche se si guarisce e si migliora il rapporto con il cibo, si rimane vulnerabili. Eppure la forza ad un certo punto arriva. Costanza tiene sull’inserto settimanale Sette del Corriere della Sera una rubrica che si chiama “anyBody- Ogni corpo vale”. Ogni settimana le scrivono tante persone, che gridano di avere un problema e di volerlo esternare senza vergognarsene. Questo capita a chi è stanco di essere discriminato e a chi è stato rinchiuso per tanto tempo e finisce con il non poterne più. Perché sarebbe bello che le persone non si rinchiudessero o nascondessero, ma convivessero con il loro problema magari cercando di risolverlo, ma non rinunciando alla vita sociale.
Questa voglia di ribellione si manifesta in diversi modi: persone che non usano più filtri nelle foto su Instagram, oppure il movimento #METOO che è un nuovo femminismo, volto a dire basta ad una serie di comportamenti inaccettabili di violenza sessuale e sopruso. Di questa tipologia sono anche alcuni movimenti diffusi negli USA come la Body Acceptance o Fat Acceptance. Sono tra l’altro movimenti che entrano nel romanzo quando Matilde attraversa la fase in cui è 131 kg.
Alcuni dati
In una ricerca condotta da Harvard, si è stimato che negli ultimi dieci anni i pregiudizi contro gli omosessuali e la razza sono diminuiti o rimasti uguali, mentre quelli contro le persone grasse sono aumentati. Spesso vi è una sorta di ultima spiaggia, che è quella in cui la persona consiglia come dimagrire alla persona grassa e poi si supera il limite e certe parole diventano invalidanti.
La stessa medicina a volte confondono il disturbo delle abbuffate incontrollate (Binge Eating Disorder) con l’obesità, ma quest’ultima è solo un sintomo, il cibo è solo uno strumento.
La diversa visione dell’anoressia
Una persona magra, che ha problemi a mangiare viene identificata come una persona in difficoltà e suscita un sentimento di pena. Chi è obeso invece suscita repulsione e non ha la giusta attenzione.
Le percentuali di persone anoressiche sono le stesse in Italia e in America, ma nel nostro paese è diventato una moda, quasi uno stile di vita, visto con benevolenza. Questo crea il doppio nel male nella persona che ne soffre.
A volte comunque vi è discriminazione anche per le persone troppo magre, come nel caso di Elodie a Sanremo. L’eccessiva magrezza resta però un ideale, mentre l’obesità non lo sarà mai.
L’eccezione è la Mauritania dove le giovani promesse spose vengono fatte ingrassare, però con serie conseguenze sulla propria salute, perché rimpinguate di cibo nei mesi precedenti il matrimonio.
Gli uomini di Matilde
Meri Pop, blogger dei cuori infranti, si è soffermata sulla tipologia di uomini incontrati dalla protagonista del libro, Matilde. Ad un certo punto ci si chiede se è una sfortuna incontrare certe persone o se sono le stesse donne che si svalutano così tanto da accettare tutto, chiunque rivolga un accenno. D’altronde il cibo è solo un mezzo per saziare una fame d’amore. L’amore che la famiglia opprimente di Matilde, che la indirizza verso la carriera, non le sa dare. Su di lei si riversano le aspettative che i genitori non hanno realizzato. Una mamma che non riesce a dirle ti voglio bene, ma la chiama cretina e che solo una volta per mail, quando è in America, le manda una dimostrazione d’affetto che però non può sanare anni ed anni di un rapporto di critica.
Questo affetto non ricevuto dalla famiglia lo richiede agli uomini che incontra. Molti di questi sono narcisisti patologici, concentrati su di sé e con il desiderio di distruggerla. Sono persone che nei momenti di soddisfazione vogliono buttarla giù. Ma tanti altri sono uomini comuni che semplicemente non riescono a darle il tipo di amore di cui lei ha bisogno e fuggono, ma senza cattiveria.
La visione della madre
Nonostante la madre sia un peso terribile nella vita di Matilde, lei la capisce. Capisce che è una donna che ha rinunciato al suo sogno di fare la scrittrice accontentandosi di un lavoro in banca, una donna che soffre e verso cui Matilde non prova odio o rancore. C’è una sorta di volontà di perdonare e comprendere chi le fa del male volontariamente. Anche Costanza, scrivendo le prime pagine del romanzo, ha provato queste sensazioni. Le ha scritte di getto, 75 pagine che equivalgono ad una seduta psicoanalitica liberatoria, frutto quindi di ricordi di bambina ma che ha potuto sviscerare a fondo grazie al tempo trascorso. Sua madre era una donna che stava male, ma all’epoca non si sapeva nemmeno cosa fosse la bulimia. A 14 anni come figlia si sentiva colpa della rovina di sua madre. Il tempo le ha permesso di trovare la pace, la non rabbia e una maggior consapevolezza. Per anni non ha capito la madre, ma dopo molto tempo è riuscita a capire la sua sofferenza. Si è vergognata quindi di ciò che provava e ha cambiato il suo punto di vista.
Gli Stati Uniti: un mondo che offre a tutti delle possibilità
Vivendo per tanto tempo negli Stati Uniti Costanza si è resa conto del diverso modo di intendere l’istruzione. Negli Usa ogni persona è libera e trova il suo posto e soprattutto ogni aspetto della persona deve essere nutrito: la matematica è importante per uno scrittore e la letteratura è fondamentale per un fisico o un matematico. Questo tipo di rapporto con le varie discipline non esiste in Italia, non si nutre in toto la persona. Noi idealizziamo il talento e pensiamo che solo possedendolo si possa raggiungere qualcosa. Invece in America c’è la concezione che se ci si impegna si può ottenere tutto.
L’autrice ha concluso l’incontro leggendo alcune pagine del suo libro, dalle quali emerge lo stile del romanzo:
“Non c’è un problema che un farmaco non curi, mamma lo dice sempre. A casa nostra non si parla, si prendono medicine. Così lei mi dà il Dulcolax ogni sera perché sono una bambina grassa. Due compresse, quattro, otto. E io non so che legame ci sia tra il Dulcolax e una bambina grassa, visto che non dimagrisco, tra i lassativi e la bulimia di mia madre, che è magra scarna e il Dulcolax lo sgrana direttamente in bocca, due-tre blister al mattino, e mangia tutto ciò che vuole, e poi va a vomitare. Due dita in gola, finché non torna su, ma a lei ritorna subito. Due dita in gola, è così facile, mi dice. M’incoraggia. Non mi ha insegnato a truccarmi, ma mi ha insegnato a vomitare.”